82_IN NOME DELLA LEGGE . Italia, 1949; Regia di Pietro Germi.
Il giovane regista genovese Pietro Germi si prende
il difficile compito di affrontare il tema mafioso siciliano, traducendo in
pellicola il romanzo autobiografico Piccola
pretura di Giuseppe Guido Lo Schiavo. Questa estraneità dell’autore
rispetto ad un argomento tanto delicato porta in dote almeno due aspetti, uno
positivo e l’altro più discutibile; che sono poi facce della stessa medaglia.
Germi affronta infatti l’ambiente provinciale siciliano di petto, senza troppi
preamboli, alibi o scusanti; e nemmeno pregiudizi. Uno sguardo lucido e
critico che finisce per mettere spalle al muro soprattutto l’omertà, il male
peggiore che affligge la Sicilia. A
livello tecnico questa scelta si traduce in un approccio molto cinematografico: Germi individua nel
western americano (ma in parte anche nel noir) il genere con gli stilemi più
adeguati a rappresentare la storia da narrare e vi si adegua. Ne nasce un film
che, sebbene mantenga i punti di contatto con il neorealismo, se ne discosta per l’impostazione molto più classica,
praticamente americana. E’ sicuramente un fattore positivo, quindi, questo
sguardo distaccato sugli aspetti sociali, perché permette di trarne un film di
svago, oltre che di denuncia. Ma forse Germi finisce per farsi prendere la mano
dalle trame della storia raccontata (sceneggiata, tra gli altri, da Fellini e
Monicelli), e questo è il rovescio della medaglia perché, se è vero che il
finale del suo film necessitava di un colpo di scena, una volta messo sullo
schermo questo suona però come un pericoloso ammiccamento alla mafia e alle
sue criminali caratteristiche.
E’ questo il cruccio che rimane alla fine di questo In nome della legge: può essere
accettabile un film che mostra in modo credibile la mafia che si sottopone alle
leggi dello stato? La mafia
non lo ha mai fatto, ne lo potrà mai fare, essendo nei fatti una contraddizione
di termini: la mafia
è uno stato nello stato; se accetta la
Legge , smette di esistere. In questo senso certe critiche al
film sono legittime, perché la mafia siciliana è diversa dal crimine organizzato della
Chicago degli anni ’30 o dalla violenza del Far West, per restare ai modelli
cinematografici utilizzati da Germi. Quelli erano uomini violenti che si
opponevano alle leggi dello Stato; la mafia siciliana, sempre attraverso la violenza, si
sostituisce allo Stato; e non ha ancora smesso di farlo.
Dal punto di vista strettamente visivo il film è
eccellente: un western ambientato in un entroterra siciliano più ostile e
desolato del sudovest americano, con un eroe, il pretore Guido Schiavi,
interpretato da un ottimo Massimo Girotti, che cammina a schiena dritta,
cappello in testa, deciso a far rispettare la Legge. Interessante
anche il resto del cast: il regista Camillo Mastrocinque interpreta bene la
parte del Barone Lo Vasto; Charles Vanel è un assai credibile Turi Passalaqua,
il capo mafia; Saro Urzì è il coraggioso Maresciallo Grifò; la bellissima Jone
Salinas dona le proprie grazie alla Baronessa Teresa; ci sono poi ancora altre
figure molto ben caratterizzate, i mafiosi, l’avvocato, il sindaco, il
cancelliere, fino allo sfortunato Paolino.
Bellissima la fotografia e da rimarcare almeno la
scena con l’arrivo a cavallo dei mafiosi: splendida citazione, ma comunque
contestuale alla storia, del cinema western. E’ forse raro vedere nel cinema
italiano un uso così strumentale
delle proprietà cinematografiche; utilizzare cioè il cinema al servizio di sé
stesso, e non di un diverso fine, che si suppone sia, più elevato. Insomma, sembra quasi che Germi sia
più interessato a fare un bel film che a fare un’opera che abbia presunzioni
di impegno sociale: in questo senso si può forse spiegare anche la scelta del
finale che tanto fa discutere. Non è certo una scelta sbagliata, di per sé; il
cinema americano arriva assai spesso a svolgere funzioni socialmente utili pur
prefiggendosi prevalentemente scopi di mero intrattenimento. Resta da capire se
questo metodo sia applicabile anche in un paese come il nostro, dove, in quello
che forse è il primo vero e proprio tentativo in tal senso, ci si è subito
scontrati con un tabù come la mafia che ha già messo questa pratica in discussione.
Jone Salinas
anche se vivo in sicilia da sempre, ci sono diverse cose della mia regione che proprio non mi piacciono, l'omertà è una di queste...
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