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domenica 7 gennaio 2018

IN NOME DELLA LEGGE

82_IN NOME DELLA LEGGE . Italia, 1949;  Regia di Pietro Germi.

Il giovane regista genovese Pietro Germi si prende il difficile compito di affrontare il tema mafioso siciliano, traducendo in pellicola il romanzo autobiografico Piccola pretura di Giuseppe Guido Lo Schiavo. Questa estraneità dell’autore rispetto ad un argomento tanto delicato porta in dote almeno due aspetti, uno positivo e l’altro più discutibile; che sono poi facce della stessa medaglia. Germi affronta infatti l’ambiente provinciale siciliano di petto, senza troppi preamboli, alibi o scusanti; e nemmeno pregiudizi. Uno sguardo lucido e critico che finisce per mettere spalle al muro soprattutto l’omertà, il male peggiore che affligge la Sicilia. A livello tecnico questa scelta si traduce in un approccio molto cinematografico: Germi individua nel western americano (ma in parte anche nel noir) il genere con gli stilemi più adeguati a rappresentare la storia da narrare e vi si adegua. Ne nasce un film che, sebbene mantenga i punti di contatto con il neorealismo, se ne discosta per l’impostazione molto più classica, praticamente americana. E’ sicuramente un fattore positivo, quindi, questo sguardo distaccato sugli aspetti sociali, perché permette di trarne un film di svago, oltre che di denuncia. Ma forse Germi finisce per farsi prendere la mano dalle trame della storia raccontata (sceneggiata, tra gli altri, da Fellini e Monicelli), e questo è il rovescio della medaglia perché, se è vero che il finale del suo film necessitava di un colpo di scena, una volta messo sullo schermo questo suona però come un pericoloso ammiccamento alla mafia e alle sue criminali caratteristiche. 

E’ questo il cruccio che rimane alla fine di questo In nome della legge: può essere accettabile un film che mostra in modo credibile la mafia che si sottopone alle leggi dello stato? La mafia non lo ha mai fatto, ne lo potrà mai fare, essendo nei fatti una contraddizione di termini: la mafia è uno stato nello stato; se accetta la Legge, smette di esistere. In questo senso certe critiche al film sono legittime, perché la mafia siciliana è diversa dal crimine organizzato della Chicago degli anni ’30 o dalla violenza del Far West, per restare ai modelli cinematografici utilizzati da Germi. Quelli erano uomini violenti che si opponevano alle leggi dello Stato; la mafia siciliana, sempre attraverso la violenza, si sostituisce allo Stato; e non ha ancora smesso di farlo.

Dal punto di vista strettamente visivo il film è eccellente: un western ambientato in un entroterra siciliano più ostile e desolato del sudovest americano, con un eroe, il pretore Guido Schiavi, interpretato da un ottimo Massimo Girotti, che cammina a schiena dritta, cappello in testa, deciso a far rispettare la Legge. Interessante anche il resto del cast: il regista Camillo Mastrocinque interpreta bene la parte del Barone Lo Vasto; Charles Vanel è un assai credibile Turi Passalaqua, il capo mafia; Saro Urzì è il coraggioso Maresciallo Grifò; la bellissima Jone Salinas dona le proprie grazie alla Baronessa Teresa; ci sono poi ancora altre figure molto ben caratterizzate, i mafiosi, l’avvocato, il sindaco, il cancelliere, fino allo sfortunato Paolino. 

Bellissima la fotografia e da rimarcare almeno la scena con l’arrivo a cavallo dei mafiosi: splendida citazione, ma comunque contestuale alla storia, del cinema western. E’ forse raro vedere nel cinema italiano un uso così strumentale delle proprietà cinematografiche; utilizzare cioè il cinema al servizio di sé stesso, e non di un diverso fine, che si suppone sia, più elevato. Insomma, sembra quasi che Germi sia più interessato a fare un bel film che a fare un’opera che abbia presunzioni di impegno sociale: in questo senso si può forse spiegare anche la scelta del finale che tanto fa discutere. Non è certo una scelta sbagliata, di per sé; il cinema americano arriva assai spesso a svolgere funzioni socialmente utili pur prefiggendosi prevalentemente scopi di mero intrattenimento. Resta da capire se questo metodo sia applicabile anche in un paese come il nostro, dove, in quello che forse è il primo vero e proprio tentativo in tal senso, ci si è subito scontrati con un tabù come la mafia che ha già messo questa pratica in discussione.




Jone Salinas






1 commento:

  1. anche se vivo in sicilia da sempre, ci sono diverse cose della mia regione che proprio non mi piacciono, l'omertà è una di queste...

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