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lunedì 1 gennaio 2018

GLI SPIETATI

79_GLI SPIETATI (Unforgiven) Stati Uniti, 1992;  Regia di Clint Eastwood.

Gli Spietati di Clint Eastwood è stato salutato dalla critica, anche grazie alla fruttifera notte degli Oscar, come l’ultimo grande classico: una definizione che, se presa come generico titolo di merito, ci sta’ tutta, senza obiezioni o ulteriori considerazioni. Ma, se pensiamo a un film  classico, difficilmente troviamo una storia tanto sporca, sudicia, come Gli Spietati; una storia anche volgare, visto che il pretesto narrativo da cui prende il via tutta la vicenda è legato allo scherno di una prostituta all’indirizzo della dotazione di un cliente. Ma è vero, Gli Spietati è un classico, e Clint Eastwood è un regista classico, ormai; e proprio questo film sembra sancire o celebrare il suo essere divenuto autore che interpreta, con la semplicità e la purezza dei maestri, il mestiere del cinema. Per molti è una cosa innata, vuoi per talento, vuoi per il periodo storico: si pensi a John Huston che esordì con Il mistero del falco; ad essere un cineasta classico, Eastwood ci arriva invece con un percorso lungo e faticoso, e proprio Gli Spietati è punto di arrivo ma anche, simbolicamente, racconto di questa evoluzione. Intanto, cominciamo a verificare l’affidabilità della traduzione dal titolo originale, perché spesso, a discapito di quanto pensano gli addetti alla distribuzione italiana dei film stranieri, la definizione di un’opera viene data con un preciso significato. In questo caso, Gli spietati è in originale Unforgiven: e per noi italiani è un bel cambio di prospettiva, perché dal nostro titolo sembra che i protagonisti del film siano aditi ad agire senza concedere pietà, mentre per quello americano è usato un termine che indica chi non è perdonato.
C’è quindi una colpa da scontare, per il protagonista dell’opera, Will Munny, nel film lo stesso Eastwood, che ora è vedovo con due figli, e vive in una fatiscente fattoria badando ai maiali. La febbre che attacca i suini sembra quasi una sorta di flagello, un’ulteriore punizione divina, che costringe l’uomo a discernere i soggetti sani dai malati, cosa improba per un vecchio malandato costretto a rotolarsi nel fango del recinto degli animali. Munny è stato a suo tempo un pistolero, un bandito, un assassino di uomini, donne e bambini, ma poi è stato convertito dall’amore della moglie, una santa donna purtroppo morta. 
La figura del Munny giovane avvezzo alla violenza, sembra riportare alla mente il primo Eastwood di un certo rilievo visto al cinema, quello interprete del pistolero nella trilogia del dollaro di Sergio Leone; in seguito l’altro ruolo nel quale si è maggiormente identificato Clint è stato l’ispettore Callaghan, nel corso degli anni come attore ma anche come regista. E sia il pistolero dei film di Leone che lo spietato poliziotto sono due personaggi emblematici del cambiamento epocale che mise in crisi il modello di eroe cinematografico classico, quello cioè affermatosi dal dopoguerra fino all’alba degli anni 60; e con lui andò in crisi anche il cinema classico stesso. 
Negli anni 60 i film di Sergio Leone alimentarono quella dissacrazione dell’epopea western che era già in atto con il filone crepuscolare del genere e, in seguito, il fronte erosivo nel decennio successivo si spostò attaccando un altro caposaldo del cinema classico, il poliziesco. Nel mezzo, un crocevia in tal senso può essere rappresentato da L’uomo dalla cravatta di cuoio (uomo che ovviamente era Clint), regia di quel Don Siegel, a cui, insieme al citato Sergio Leone, è dedicato proprio Gli spietati. Clint Eastwood, quindi, a ben vedere, è uno dei maggiori interpreti della de-costruzione della mitologia classica hollywoodiana, sia come interprete nel pieno della carriera, che come giovane regista. 


E’ forse un po’ anche questa, la colpa di cui è Unforgiven (non perdonato), Will Munny/Clint Eastwood? Aver distrutto, con l’uso esagerato della violenza, di figure antieroiche sprezzanti delle regole, l’establishment sociale e cinematografico, e quindi aver causato il decadimento successivo? Per rimanere attinenti all’ipotetica metafora illustrata in Unforgiven, possiamo notare come, nel film, abbiamo una comunità fortemente decadente, con l’unica figura istituzionale, lo sceriffo (un superbo Gene Hackman), senza un minimo di senso di Giustizia e che pensa solo ad un opportunistico quieto vivere. Che non sia un personaggio onesto, lo si capisce già dal nome, che ne certifica l’indole bugiarda: Little Bill, si fa chiamare, ma è evidente, e poi lo dice lo stesso Munny, che è un pezzo d’uomo tutt’altro che piccolo.

Ma il tasto dolente, per Little Bill, è la sua incapacità, pur avendone il ruolo, di contribuire a creare una comunità, perché l’unica regola che segue è quella della convenienza, e mai della giustizia o della comprensione. Lo sfregio alla prostituta viene considerato solo in relazione al danno provocato al proprietario del bordello, e non per il dolore e la dignità della persona offesa. E anche quando arriva Bob l’inglese (un Richard Harris un po’ troppo stralunato), lo sceriffo sembra  utilizzare la brutale prepotenza unicamente per prevenire ed evitarsi guai, più che per motivi legittimi. La sua incapacità di essere un simbolo attorno a cui edificare una comunità è resa esplicita dalla sua scarsissima abilità di carpentiere. La casa che si sta’ costruendo è completamente fuori squadra e il tetto gronda acqua quando piove: la cosa è rimarcata più volte nel film, perfino dal giornalista presente nella storia, almeno per una volta veritiero nel suo lavoro di cronista. Infatti la stampa asservita al prepotente di turno (ora un killer, ora uno sceriffo), impersonata dal giornalista Beauchamp, è un altro tassello negativo della società simbolicamente descritta nel lungometraggio: la vediamo piegata all’inseguimento di scoop e biografie che si possano vendere, più che alla ricerca della verità.
Ecco, se il personaggio antieroico della trilogia del dollaro era imperdonabile per il suo eccessivo ricorso alla violenza, potrebbe divenire ora necessario, legittimo, a fronte di una comunità che sembra uscita dal Libro della Genesi al pari di Sodoma e Gomorra: Will Munny può essere quindi l’angelo vendicatore che porta la punizione divina ai peccatori? Allo sceriffo, poco prima di finirlo brutalmente, a sangue freddo, Munny dice di no, che non si tratta di questo. ‘Non me lo merito di morire in questo modo’ pronuncia infatti Little Bill guardando la canna del fucile di Munny; ‘I meriti non c’entrano in questa storia, è la prima lapidaria risposta (la seconda e definitiva Munny l’affida alla doppietta Spencer). E’ certamente per vendetta che Munny scatena il massacro nel finale, per l’uccisione dell’amico Ned (Morgan Freeman), ma non certo divina; sembra un moto strettamente legato al quadro che viene dato del vecchio west. 
Un mondo sporco, buio, piovoso, falso, con gente cattiva e opportunista, molto lontano dalla mitologia western e, del resto, c’è da crederci visto il lavoro della stampa che rese celebre il periodo coi suoi fasulli resoconti. Quella stampa che, con un artificio dialettico, trasformava uno spregevole baro della morte nell’altisonante Barone della morte. E anche la storia raccontata ne Gli Spietati non si presenta certo come epica: il pretesto che spinge Munny e Ned ad unirsi a Schofield Kid (interpretato dal giovane sconosciuto Jaims Wollvets) per vendicare la prostituta sfregiata, è meramente economico. Dello sfregio interessa relativamente, e infatti l’episodio viene ingigantito, che forse in se e per se non giustificherebbe, nemmeno moralmente, di scomodarsi; ma pare evidente che si cerchi un pretesto buono per poter intascare una bella somma facendo un lavoro (ammazzare qualcuno) rapido e sbrigativo. Ma il lavoro è nient’affatto rapido e sbrigativo: uccidere un uomo è già difficile di per sé, figuriamoci per chi ormai è invecchiato e non riesce nemmeno più a montare in sella al cavallo. E chi invece non lo ha realmente mai fatto, come il Kid, che ha letto le gesta del vecchio west solo sui posticci resoconti della stampa, si accorgerà della difficoltà, e sarà costretto, per poter compiere il suo gesto, ad approfittare vigliaccamente dell’impossibilità di difendersi della sua vittima predestinata. La scena del giovane che uccide lo sfregiatore mentre questi è alla latrina con le braghe calate, è l’ultimo chiodo sulla bara del mito del west, ormai definitivamente seppellito.
Eppure... eppure, possibile che non ci fosse davvero niente di valore, in quel mito, se non in quello storico, almeno in quello cinematografico? Possibile che fosse tutto fasullo?
Qualcosa c’era eccome, e comincia a ricordarsene anche William Munny mentre la prostituta gli racconta di come Little Bill abbia legato e pestato fino ad ammazzare il suo amico Ned, e poi lo abbia esposto al pubblico ludibrio con un cartello attaccato sopra. L’amicizia, il senso di lealtà uno per l’altro, questi erano valori certamente un po’ primitivi, ma legati sia al west che soprattutto al genere western, metalinguisticamente parlando, e la violenza per farli rispettare era parte integrante del conto da pagare. E quindi Munny può tornare a bere, ritrovando forza e sangue freddo, e farla pagare a tutte le carogne, sceriffo per primo, che hanno barbaramente ucciso l’amico Ned.
E’ davvero un classico, Gli spietati: e non è un film sulla violenza, ma sull’amicizia. Quell’amicizia che spinge, quasi costringe, Munny allo scontro finale: non è più il cinico violento che ammazza per soldi, e nemmeno l’angelo vendicatore che punisce i peccatori, i cattivi.
No, Munny è solo un uomo che vuole, anzi deve fare Giustizia al suo amico brutalmente ucciso: ecco, questo senso del dovere, è lo stesso che aveva John Wayne nei western degli anni 50.
E questo è il motivo, semplice e profondo, per cui Gli Spietati è un film pienamente e splendidamente classico.


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