79_GLI SPIETATI (Unforgiven) Stati Uniti, 1992; Regia di Clint Eastwood.
Gli Spietati di Clint Eastwood è stato salutato dalla critica,
anche grazie alla fruttifera notte degli Oscar, come l’ultimo grande classico: una definizione che, se presa
come generico titolo di merito, ci sta’ tutta, senza obiezioni o ulteriori
considerazioni. Ma, se pensiamo a un film
classico, difficilmente troviamo una storia tanto sporca, sudicia, come Gli Spietati; una storia anche volgare, visto che il pretesto narrativo
da cui prende il via tutta la vicenda è legato allo scherno di una prostituta
all’indirizzo della dotazione di un
cliente. Ma è vero, Gli Spietati è un
classico, e Clint Eastwood è un regista classico, ormai; e proprio questo film
sembra sancire o celebrare il suo essere divenuto autore che interpreta, con la
semplicità e la purezza dei maestri, il mestiere del cinema. Per molti è una
cosa innata, vuoi per talento, vuoi per il periodo storico: si pensi a John Huston che esordì con Il mistero del falco; ad essere un cineasta classico, Eastwood ci
arriva invece con un percorso lungo e faticoso, e proprio Gli Spietati è punto di arrivo ma anche, simbolicamente, racconto di questa evoluzione. Intanto, cominciamo a verificare l’affidabilità
della traduzione dal titolo originale, perché spesso, a discapito di quanto
pensano gli addetti alla distribuzione italiana dei film stranieri, la
definizione di un’opera viene data con un preciso significato. In questo caso, Gli spietati è in originale Unforgiven:
e per noi italiani è un bel cambio di prospettiva, perché dal nostro titolo sembra che i protagonisti
del film siano aditi ad agire senza concedere pietà, mentre per quello
americano è usato un termine che indica chi non
è perdonato.
C’è quindi una colpa da scontare, per il
protagonista dell’opera, Will Munny, nel film lo stesso Eastwood, che ora è
vedovo con due figli, e vive in una fatiscente fattoria badando ai maiali. La
febbre che attacca i suini sembra quasi una sorta di flagello, un’ulteriore
punizione divina, che costringe l’uomo a discernere i soggetti sani dai malati,
cosa improba per un vecchio malandato costretto a rotolarsi nel fango del
recinto degli animali. Munny è stato a suo tempo un pistolero, un bandito, un
assassino di uomini, donne e bambini, ma poi è stato convertito dall’amore
della moglie, una santa donna
purtroppo morta.
La figura del Munny giovane avvezzo alla violenza,
sembra riportare alla mente il primo Eastwood di un certo rilievo visto al
cinema, quello interprete del pistolero nella trilogia del dollaro di Sergio Leone; in seguito l’altro ruolo nel
quale si è maggiormente identificato Clint è stato l’ispettore Callaghan, nel
corso degli anni come attore ma anche come regista. E sia il pistolero dei film
di Leone che lo spietato poliziotto sono due personaggi emblematici del cambiamento
epocale che mise in crisi il modello di eroe cinematografico classico, quello cioè
affermatosi dal dopoguerra fino all’alba degli anni 60; e con lui andò in crisi anche il cinema classico stesso.
Negli anni 60 i film di Sergio Leone alimentarono
quella dissacrazione dell’epopea western che era già in atto con il filone
crepuscolare del genere e, in seguito, il fronte
erosivo nel decennio successivo si spostò attaccando un altro caposaldo del
cinema classico, il poliziesco. Nel mezzo, un crocevia in tal senso può essere
rappresentato da L’uomo dalla cravatta di
cuoio (uomo che ovviamente era
Clint), regia di quel Don Siegel, a cui, insieme al citato Sergio Leone, è
dedicato proprio Gli spietati. Clint
Eastwood, quindi, a ben vedere, è uno dei maggiori interpreti della de-costruzione della mitologia classica
hollywoodiana, sia come interprete nel pieno della carriera, che come giovane
regista.
E’ forse un po’ anche questa, la colpa di cui è Unforgiven (non perdonato), Will Munny/Clint
Eastwood? Aver distrutto, con l’uso esagerato della violenza, di figure
antieroiche sprezzanti delle regole, l’establishment
sociale e cinematografico, e quindi aver causato il decadimento successivo? Per
rimanere attinenti all’ipotetica metafora illustrata in Unforgiven, possiamo notare come, nel film, abbiamo una comunità
fortemente decadente, con l’unica figura istituzionale, lo sceriffo (un superbo
Gene Hackman), senza un minimo di senso di Giustizia e che pensa solo ad un
opportunistico quieto vivere. Che non sia un personaggio onesto, lo si capisce
già dal nome, che ne certifica l’indole bugiarda: Little Bill, si fa chiamare,
ma è evidente, e poi lo dice lo stesso Munny, che è un pezzo d’uomo tutt’altro che piccolo.
Ma il tasto dolente, per Little Bill, è la sua
incapacità, pur avendone il ruolo, di contribuire a creare una comunità, perché
l’unica regola che segue è quella della convenienza, e mai della giustizia o
della comprensione. Lo sfregio alla prostituta viene considerato solo in
relazione al danno provocato al proprietario del bordello, e non per il dolore
e la dignità della persona offesa. E anche quando arriva Bob l’inglese (un Richard Harris un po’
troppo stralunato), lo sceriffo sembra
utilizzare la brutale prepotenza unicamente per prevenire ed evitarsi
guai, più che per motivi legittimi.
La sua incapacità di essere un simbolo attorno a cui edificare una comunità è
resa esplicita dalla sua scarsissima abilità di carpentiere. La casa che si
sta’ costruendo è completamente fuori squadra e il tetto gronda acqua quando
piove: la cosa è rimarcata più volte nel film, perfino dal giornalista presente
nella storia, almeno per una volta veritiero nel suo lavoro di cronista. Infatti
la stampa asservita al prepotente di turno (ora un killer, ora uno sceriffo),
impersonata dal giornalista Beauchamp, è un altro tassello negativo della
società simbolicamente descritta nel lungometraggio: la vediamo piegata
all’inseguimento di scoop e biografie che si possano vendere, più che alla ricerca
della verità.
Ecco, se il personaggio antieroico della trilogia
del dollaro era imperdonabile per il
suo eccessivo ricorso alla violenza, potrebbe divenire ora necessario,
legittimo, a fronte di una comunità che sembra uscita dal Libro della Genesi al
pari di Sodoma e Gomorra: Will Munny può essere quindi l’angelo vendicatore che
porta la punizione divina ai peccatori? Allo sceriffo, poco prima di finirlo
brutalmente, a sangue freddo, Munny dice di no, che non si tratta di questo. ‘Non me lo merito di morire in questo modo’
pronuncia infatti Little Bill guardando la canna del fucile di Munny; ‘I meriti non c’entrano in questa storia,
è la prima lapidaria risposta (la seconda e definitiva Munny l’affida alla
doppietta Spencer). E’ certamente per vendetta che Munny scatena il massacro
nel finale, per l’uccisione dell’amico Ned (Morgan Freeman), ma non certo
divina; sembra un moto strettamente legato al quadro che viene dato del vecchio
west.
Un mondo sporco, buio, piovoso, falso, con gente cattiva e
opportunista, molto lontano dalla mitologia western e, del resto, c’è da
crederci visto il lavoro della stampa che rese celebre il periodo coi suoi
fasulli resoconti. Quella stampa che, con un artificio dialettico, trasformava
uno spregevole baro della morte
nell’altisonante Barone della morte. E
anche la storia raccontata ne Gli Spietati non si presenta certo come epica: il pretesto
che spinge Munny e Ned ad unirsi a Schofield Kid (interpretato dal giovane
sconosciuto Jaims Wollvets) per vendicare
la prostituta sfregiata, è meramente economico. Dello sfregio interessa relativamente,
e infatti l’episodio viene ingigantito, che forse in se e per se non
giustificherebbe, nemmeno moralmente, di scomodarsi; ma pare evidente che si
cerchi un pretesto buono per poter intascare una bella somma facendo un lavoro (ammazzare qualcuno) rapido e
sbrigativo. Ma il lavoro è nient’affatto rapido e sbrigativo:
uccidere un uomo è già difficile di per sé, figuriamoci per chi ormai è
invecchiato e non riesce nemmeno più a montare in sella al cavallo. E chi
invece non lo ha realmente mai fatto, come il Kid, che ha letto le gesta del
vecchio west solo sui posticci resoconti della stampa, si accorgerà della
difficoltà, e sarà costretto, per poter compiere il suo gesto, ad approfittare
vigliaccamente dell’impossibilità di difendersi della sua vittima predestinata.
La scena del giovane che uccide lo sfregiatore mentre questi è alla latrina con
le braghe calate, è l’ultimo chiodo sulla bara del mito del west, ormai
definitivamente seppellito.
Eppure... eppure, possibile che non ci fosse davvero niente
di valore, in quel mito, se non in quello storico, almeno in quello
cinematografico? Possibile che fosse tutto fasullo?
Qualcosa c’era eccome, e comincia a ricordarsene anche
William Munny mentre la prostituta gli racconta di come Little Bill abbia legato
e pestato fino ad ammazzare il suo amico Ned, e poi lo abbia
esposto al pubblico ludibrio con un cartello attaccato sopra. L’amicizia, il
senso di lealtà uno per l’altro, questi erano valori certamente un po’
primitivi, ma legati sia al west che soprattutto al genere western,
metalinguisticamente parlando, e la violenza per farli rispettare era parte
integrante del conto da pagare. E quindi Munny può tornare a bere, ritrovando
forza e sangue freddo, e farla pagare a tutte le carogne, sceriffo per primo,
che hanno barbaramente ucciso l’amico Ned.
E’ davvero un classico, Gli
spietati: e non è un film sulla violenza, ma sull’amicizia. Quell’amicizia
che spinge, quasi costringe, Munny allo scontro finale: non è più il cinico
violento che ammazza per soldi, e nemmeno l’angelo
vendicatore che punisce i peccatori,
i cattivi.
No, Munny è solo un uomo che vuole, anzi deve fare Giustizia al suo amico
brutalmente ucciso: ecco, questo senso del dovere,
è lo stesso che aveva John Wayne nei western degli anni 50.
E questo è il motivo, semplice e profondo, per cui Gli Spietati è un film pienamente e
splendidamente classico.
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