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giovedì 11 gennaio 2018

FUKUSHIMA: A NUCLEAR STORY

84_FUKUSHIMA: A NUCLEAR STORY . Italia, 2016;  Regia di Matteo Gagliardi.

Troppo spesso si dimentica che il documentario non è solo un prodotto televisivo, ma è anche un genere cinematografico: non che la cosa debba per questo significare una maggior qualità solo per l’appartenenza alla settima arte, ma una caratteristica tipica del cinema è la completa autonomia dell’opera rispetto a tutto il resto. Viceversa, in genere, alla televisione, i produttori devono fare i conti con il palinsesto, gli orari, la pubblicità; insomma, la vera grande differenza non è certo nel formato dello schermo, ma è che il prodotto televisivo nasce, (parlando in generale, salvo eccezioni, sia chiaro), per far parte di un contesto, mentre il cinema non ha (o non dovrebbe avere) vincoli se non quelli che si pone l’autore. E questa autonomia del cinema non è un vezzo ma, al contrario, è basilare: dovrebbe garantire una maggior libertà di espressione e indipendenza al regista e ai suoi collaboratori. Perché, ad esempio, Fukushima: a nuclear story si presenta in modo un po’ diverso rispetto ad un classico documentario di Piero Angela o di David Attemborough. E una questione generale e non solo perché ci sono delle ricostruzioni con disegni in stile manga o perché il protagonista, il giornalista della rete televisiva Sky Italia Pio d’Emilia, sembra quasi un detective di un film noir che, attraverso la voce narrante, ci racconta il suo privilegiato (per così dire) punto di vista  ai tempi  del disastro. In apparenza, proprio per il coinvolgimento diretto del protagonista, il documentario sembra meno neutrale, più sentito, più vissuto, rispetto ad uno televisivo, e quindi verrebbe da dire anche meno obiettivo; ma il cinema non si arroga mai (o non dovrebbe mai farlo) la pretesa di imparzialità (che quando si può approfondire, è spesso poi disattesa quando proclamata). Lo dice anche il manifesto di questo documentario: "Fukushima: a nuclear story un film di Matteo Gagliardi": c’è quindi l’onestà di una persona che si prende la responsabilità di quanto mostrato. A parte queste disquisizioni formali, e venendo al tema del testo filmico, il disastro della centrale nucleare di Fukushima è ben lungi dall’essere risolto, e l’impossibilità di accedere al cuore del problema, al luogo preciso in cui il materiale radioattivo di uno dei reattori si è fuso e ha bucato la parete inferiore della struttura, non lo permetterà nemmeno nell’imminente futuro. 


Impossibile fermare la continua fuoriuscita di acqua contaminata nel sottosuolo, con possibili, anzi probabili, infiltrazioni nelle falde acquifere. Non che i vapori rilasciati o l’acqua sversata nell’oceano siano criticità secondarie: sono tutte incognite che di certo hanno solo il fatto che siamo di fronte ad una situazione senza possibilità di riparazione dei danni causati, per altro assai gravi e impossibili da stimare. E questo senza rischio di passare per allarmisti: la radioattività, dei tre gravissimi fattori (terremoto, tsunami, disastro nucleare) che ha interessato il Giappone nel marzo del 2011, è sicuramente il peggiore, perché non avendo effetti visibili tende a essere dimenticato o, perlomeno, messo in un angolo in disparte, anche perché si tratta di un problema senza soluzione.

E non è enfatizzato nemmeno il paragone fatto per il protagonista del film, il coraggioso giornalista Pio d’Emilia: egli è davvero come un eroe dei vecchi film in bianco e nero che, nonostante la consapevolezza dei rischi, sente il dovere di andare a vedere le cose il più vicino possibile al luogo del disastro: fu il primo giornalista straniero a entrare nella zona proibita e nella centrale nucleare stessa. Il suo racconto è altamente preoccupato ma sobrio, e non cede mai al qualunquismo, all’allarmismo o, peggio, ad un certo complottismo tanto in voga oggi. Vive da oltre 30 anni in Giappone e con il paese del sol levante ha un rapporto talmente radicato che può essere paragonato a quello che si ha con la propria nazione di origine: amore, certo, ma anche fastidio, insoddisfazione, frustrazione a fronte di quelle cose che non girano come devono.

E nel caso del disastro della centrale atomica di Fukushima Dai-Ichi, di cose che non sono andate per il verso giusto ce ne sono state più d’una, se è vero che, come riconosciuto dalla ricostruzione dei fatti, Tokyo, ma in buona sostanza l’intero Giappone, quel giorno, si salvarono solo perché una valvola cedette. E come dice lo stesso d’Emilia, che si debba la salvezza ad un malfunzionamento tecnico, proprio nel paese della tecnologia, sembra paradossale. Ma, d’altronde, il paradosso sembra il tema dominante di tutta questa storia: a partire dal fatto che la nazione che per prima ha conosciuto sulla propria pelle gli effetti devastanti delle radiazioni, si converta anima e corpo all’energia nucleare. E, per chiudere con un’ultima assurda contraddizione, è incredibile che un tale cataclisma ecologico mondiale, lo si debba ad un paese dove la gente ha un livello di civiltà, di senso civico, elevatissimo, e che lo dimostra proprio e soprattutto nei momenti critici. Come nel sopportare stoicamente, senza isterismi, polemiche, proteste e lamentele, un trittico catastrofico come terremoto del nono grado della scala Richter, tsunami con onde alte decine di metri e peggior disastro nucleare della storia. Un disastro di proporzioni bibliche che, per la sua entità, riguarda non solo il Giappone ma tutto il pianeta. 


Ad un certo punto nel film è inquadrata una scritta su un cartellone, sopra una strada, i cui ideogrammi giapponesi vogliono dire: ‘il nucleare illumina il nostro futuro’; chissà perché ricorda tremendamente un'altra insegna, altrettanto ottimista, Arbeit macht frei, (il lavoro rende liberi, in tedesco). Ma la radioattività non la puoi confinare nel filo spinato come in un lager nazista.
E il rischio è che tutto il mondo sia già uno spazio oltre quell’insegna giapponese. 


2 commenti:

  1. curioso questo paragone che facevi con i prodotti televisivi, proprio in questi giorni in TV stanno proponendo una fiction con Sabrina Ferilli che tratta argomenti simili, un caso di polveri sottili in una fabbrica avvenuto quasi vent'anni fa...

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  2. Si, beh, mi riferivo ai documentari. Delle fiction televisive italiane non mi azzarderi a scrivere perchè sono allergico a quel tipo di linguaggio. :)

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