84_FUKUSHIMA: A NUCLEAR STORY . Italia, 2016; Regia di Matteo Gagliardi.

Impossibile fermare la continua fuoriuscita di acqua
contaminata nel sottosuolo, con possibili, anzi probabili, infiltrazioni nelle
falde acquifere. Non che i vapori rilasciati o l’acqua sversata nell’oceano
siano criticità secondarie: sono tutte incognite che di certo hanno solo il
fatto che siamo di fronte ad una situazione senza possibilità di riparazione
dei danni causati, per altro assai gravi e impossibili da stimare. E questo
senza rischio di passare per allarmisti: la radioattività, dei tre gravissimi
fattori (terremoto, tsunami, disastro nucleare) che ha interessato il Giappone
nel marzo del 2011, è sicuramente il peggiore, perché non avendo effetti
visibili tende a essere dimenticato o, perlomeno, messo in un angolo in
disparte, anche perché si tratta di un problema senza soluzione.
E non è enfatizzato nemmeno il paragone fatto per
il protagonista del film, il coraggioso giornalista Pio d’Emilia: egli è
davvero come un eroe dei vecchi film in bianco e nero che, nonostante la
consapevolezza dei rischi, sente il dovere di andare a vedere le cose il più
vicino possibile al luogo del disastro: fu il primo giornalista straniero a
entrare nella zona proibita e nella
centrale nucleare stessa. Il suo racconto è altamente preoccupato ma sobrio, e
non cede mai al qualunquismo, all’allarmismo o, peggio, ad un certo complottismo tanto in voga oggi. Vive da
oltre 30 anni in Giappone e con il paese
del sol levante ha un rapporto talmente radicato che può essere paragonato
a quello che si ha con la propria nazione di origine: amore, certo, ma anche
fastidio, insoddisfazione, frustrazione a fronte di quelle cose che non girano
come devono.
E nel caso del disastro della centrale atomica di
Fukushima Dai-Ichi, di cose che non sono andate per il verso giusto ce ne sono
state più d’una, se è vero che, come riconosciuto dalla ricostruzione dei
fatti, Tokyo, ma in buona sostanza l’intero Giappone, quel giorno, si salvarono
solo perché una valvola cedette. E come dice lo stesso d’Emilia, che si debba
la salvezza ad un malfunzionamento tecnico, proprio nel paese della tecnologia,
sembra paradossale. Ma, d’altronde, il paradosso sembra il tema dominante di
tutta questa storia: a partire dal fatto che la nazione che per prima ha
conosciuto sulla propria pelle gli effetti devastanti delle radiazioni, si
converta anima e corpo all’energia nucleare. E, per chiudere con un’ultima
assurda contraddizione, è incredibile che un tale cataclisma ecologico
mondiale, lo si debba ad un paese dove la gente ha un livello di civiltà, di senso
civico, elevatissimo, e che lo dimostra proprio e soprattutto nei momenti
critici. Come nel sopportare stoicamente, senza isterismi, polemiche, proteste
e lamentele, un trittico catastrofico come terremoto del nono grado della scala
Richter, tsunami con onde alte decine di metri e peggior disastro nucleare
della storia. Un disastro di proporzioni bibliche che, per la sua entità,
riguarda non solo il Giappone ma tutto il pianeta.
Ad un certo punto nel film è inquadrata una scritta su un
cartellone, sopra una strada, i cui ideogrammi giapponesi vogliono dire: ‘il nucleare illumina il nostro futuro’;
chissà perché ricorda tremendamente un'altra insegna, altrettanto ottimista, Arbeit macht frei, (il lavoro rende liberi, in tedesco). Ma la radioattività non la
puoi confinare nel filo spinato come in un lager nazista.
E il rischio è che tutto il mondo sia già uno spazio oltre quell’insegna giapponese.
curioso questo paragone che facevi con i prodotti televisivi, proprio in questi giorni in TV stanno proponendo una fiction con Sabrina Ferilli che tratta argomenti simili, un caso di polveri sottili in una fabbrica avvenuto quasi vent'anni fa...
RispondiEliminaSi, beh, mi riferivo ai documentari. Delle fiction televisive italiane non mi azzarderi a scrivere perchè sono allergico a quel tipo di linguaggio. :)
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