92_DIFRET - IL CORAGGIO PER CAMBIARE (Difret). Etiopia, 2014; Regia di Zeresenay Berhane Mehari .
Prima di sbilanciarsi in qualche considerazione a
proposito del film etiope Difret - Il
coraggio per cambiare, vale la pena riflettere sul significato del
termine Difret che è, emblematicamente, il titolo originale dell’opera. In amarico,
la lingua ufficiale dell’Etiopia, il termine ha due significati: normalmente
vuol dire coraggio, e questo corrisponde, grosso modo, al senso della
traduzione data dai distributori per il mercato italiano; ma, in maniera
abbastanza spiazzante, difret viene
usato anche per indicare la violenza dello stupro. E prima di affrontare
l’argomento trattato nell’opera, occorre rimarcare come ci sia da rimanere sconcertati
dal fatto che, evidentemente, anni e anni di consuetudine abbiano prodotto una
lingua nella quale vengano accumunati nello stesso vocabolo l’atto di
violentare una donna con una prova di coraggio. Hai voglia a cercare di
intendere il racconto filmico di Mehari come un’opera di finzione e, quindi,
non essendo un documentario, non necessariamente da prendere alla lettera; (per
quanto le didascalie ci indichino che i fatti narrati siano veri). Diventa
evidente che quelli narrati possono essere, e lo saranno sicuramente, fatti
realmente accaduti, anche semplicemente basandosi, come prova inconfutabile, sul
fatto che in quel paese si adotta una soluzione linguistica tanto aberrante
come accomunare due concetti diametralmente opposti: l’atto più vile, la
violenza sessuale, definito come una prova di coraggio. Nel film, una povera
ragazza di 14 anni viene rapita dall’uomo che la vuole sposare, che poi
provvede a picchiarla duramente, rinchiuderla e violentarla nella speranza di
metterla incinta.
Il padre di lei ne aveva rifiutato una sua precedente richiesta
di prenderla in sposa. Pare che, nelle campagne etiopi, in queste circostanze sia (quasi) abitudine andare
in gruppo di mezze dozzine di uomini, a cavallo e armati di fucile, a rapire ragazzine
riluttanti. Poi una mano di botte, giusto per far capire come gira il mondo, e infine
la violenza sessuale; che se la ragazza rimane in stato interessante poi anche
il padre si convincerà che la soluzione più accomodante
sia celebrare il matrimonio. La ragazza della storia, Hirut (Tizita Hagere), è però un tipetto
tosto e dopo la bella nottata approfitta della distrazione degli uomini per
scappare con il fucile del presunto futuro marito: verrà ripresa ma, a
sorpresa, userà il fucile in modo anche troppo preciso, eliminando il focoso
pretendente.
Omicidio a sangue freddo: se una donna lo commette
ai danni di un uomo, deve essere impiccata, è l’antica legge. Meno male che ad
Addis Abeba opera Meaza (Meron Getnet), un’avvocatessa di Andenet,
un’associazione che difende le donne e i bambini dalle violenze e che
prontamente si incarica di prendere le parti della povera ragazza.
Pur nelle difficoltà create sia della comunità rurale, che
rinuncerà a giustiziare la troppo giovane ragazza ma ne imporrà
l’allontanamento dalla famiglia, sia dalle istituzioni ufficiali, restie ad
approfondire una questione che appare più opportuno liquidare come omicidio, la
brava Meaza riuscirà, anche mettendosi addirittura contro il ministro di
giustizia del governo, a far assolvere Hirut. Dal punto di vista strettamente
cinematografico il film è appassionante, evidentemente anche per via dell’argomento ma, in ogni caso, la storia ha ritmo e gli attori sono professionali.
Amaro costatare ancora una volta come chi detenga il privilegio, a
qualunque latitudine, faccia di tutto, anche a fronte delle peggiori porcate, per difendere la propria
categoria.
Meron Getnet
Tizita Hagere
Nessun commento:
Posta un commento