1515_VIKING (Викингa). Russia 2016; Regia di Andrej Kravchuk.
Non bisogna lasciarsi ingannare dal titolo: per quanto la connessione coi Vichinghi esista, qualcosa di attinente alla figura di Vladimir I di Kiev sarebbe stato più appropriato per il film Viking di Andrey Kravchuk. Intendiamoci: non è chi si possa bocciare un film semplicemente perché il titolo non convince; tuttavia è importante che il nome che compare sui cartelloni, sui trailer e nei titoli di testa, non sia troppo ingannevole. In effetti, la “svista” di autore e produttori sembra troppo clamorosa per essere in “buona fede”, diciamo così: quale sia il motivo che li abbia indotti a scegliere Viking come titolo, è davvero difficile credere che possa essere il debole legame presente in un racconto che si snoda per oltre due ore ripercorrendo una delle fasi più cruciali dell’intera Storia russa. Questo elemento, il titolo stranamente fuorviante, insieme ad altri dello stesso tipo, finisce per essere gli spunti più intriganti del film di Kravchuk. Che di suo, per quanto è mostrato sullo schermo, svolge il suo compito, tutto sommato raggiungendo lo scopo. Viking, film storico con le tipiche licenze poetiche dei racconti epico-avventurosi, non è poi diverso da una contemporanea, rutilante, produzione hollywoodiana. C’è, probabilmente, uno spiccato gusto per l’esibizione della crudeltà e dei suoi effetti, il “politicamente corretto” lavora decisamente meno da quelle parti, ma si tratta di dettagli marginali. Vedere la lama di una spada che entra in un corpo umano con una sorta di panoramica interna all’anatomia della vittima non è che possa turbare lo spettatore più di tanto. E lo stesso dicasi per quel che riguarda le scene di battaglia, che costituiscono uno dei piatti forti dell’opera: sangue, sudore, fango, adrenalina e testosterone scorrono a fiumi come da protocollo del cinema mainstream di questo genere. Il rigore storico e dei dettagli tecnologici, che in una vicenda storico-bellica fanno sempre la differenza, lascia un po’ il tempo che trova ma, come detto, si tratta di peccati veniali. Lasciano perplesse alcune trovate, le ruote infuocate e le navi che scendono dalle colline, ad esempi, ma si tratta di stratagemmi narrativi bizzarri ma che non pregiudicano la fruibilità del testo.
Insomma, da un punto di vista formale Viking può essere accettabile, poi il godimento va in base ai gusti, essendo l’esibizione della violenza una cosa comprensibilmente soggettiva, tanto per citare l’elemento che potrebbe essere più discutibile. Gli aspetti intriganti dell’opera di Kravchuk sono, come accennato, altri. Perché non si tratta di un film a basso costo, ma di una produzione maestosa, costata tempo e denaro e viene da chiedersi se ci siano altri motivi, oltre a quelli di guadagno economico, dall’imbastire una simile ricostruzione storica. La vicenda narrata, infatti, se non si conoscono almeno a sommi capi i dettagli storici, rischia di essere poco comprensibile, anche per via del modo in cui viene raccontata. Protagonista degli eventi è Vladimir I di Kiev (Danila Kozlovsky), il Gran Principe della Rus’ di Kiev, famoso per aver introdotto a livello ufficiale la religione cristiana nell’area. Vladimir era il figlio illegittimo di Svjatoslav I della dinastia dei Rjurikidi che, alla sua morte, lasciò il suo dominio frazionato sotto la guida dei figli: il primogenito Jaropolk (Aleksandr Ustyugov) ricevette Kiev, Oleg (Kirill Pletnyov) Drelinia e a Vladimir toccò Novgorod. In breve si scatenò una lotta fratricida per controllare l’intera Rus’: Jaropolk uccise Oleg, mentre Vladimir non era considerato degno di ambire alla corona, dal momento che era figlio della serva di Svjatoslav. Il film si dilunga in abbondanza su queste lotte, coinvolgendo una miriade di personaggi minori, tra i quali vale la pena almeno ricordare Irina, moglie greco-bizantina di Jaropolk interpretata dalla splendida Svetlana Khodchenckova.
Non si tratta di un omaggio alla bellezza dell’attrice –o almeno non solo– in quanto è proprio l’influenza di Irina a spingere Vladimir verso la fede cristiana, svolta che è il vero epicentro di tutta quanta la faccenda. Il personaggio di Vladimir, pur essendo il protagonista, non è certo idealizzato, e in questo il film si dimostra particolarmente convincente: il principe dimostra molto spesso, nel corso del racconto, di essere semplicemente al centro degli eventi e non sembra possedere la forza di piegarli al proprio volere. Non è, insomma, un super-eroe o anche solo un vero personaggio epico, ma un uomo che si barcamena come può in un tourbillon clamoroso di situazioni terribili; si distingue, per la verità, per alcune scene disgustose, come ad esempio lo stupro della futura moglie Rogneda (Aleksandra Bortch), posseduta con la forza davanti ai sui genitori, i signori di Polotsk. Che, successivamente, Vladimir farà uccidere. Queste, più altre efferatezze, il principe confesserà poi al momento di convertirsi al cristianesimo, dimostrando, almeno nel film di Kravchuk, sincero pentimento. Come già nel precedente film di animazione Prince Vladimir (2006, regia di Youriy Batanin e Yuri Kulakov), imbastito sullo stesso argomento e anch’esso di produzione russa, l’aspetto più importante è la conversione della Rus’ di Kiev, antenata della moderna Russia, al cristianesimo. È quindi questo un particolare che, da un punto di vista storico, sembra premere all’industria cinematografica di Mosca: sia Prince Vladimir che Viking sono due produzioni in grande stile, con ingenti investimenti di capitali. Gli intenti sembrano simili, ribadire l’importanza religiosa della Russia, sede di Mosca –la cosiddetta Terza Roma, l’unica a non essere mai capitolata– quasi per recuperare un ruolo di primaria importanza sullo scacchiere mondiale. Nel 2006, ai tempi del film di animazione di Batanin e Kulakov, l’operazione fu fatta abbastanza scopertamente. Il tipo del film era, tra l’altro, palesemente educativo e formativo, essendo i film d’animazione un genere prevalentemente rivolto ai ragazzi, e quindi l’intento di insegnare le origini della propria Storia al popolo russo era evidente.
Ribadito, ce ne fosse stato bisogno, anche dalla data di uscita del film, dal momento che il 23 febbraio, in Russia, si celebrano i Difensori della Patria. Nel 2016, due anni dopo i fatti di EuroMaidan e l’inizio della contesa tra Russia e Ucraina, con l’annessione della Crimea e gli scontri nel Donbas, il cinema russo ritorna sulla questione. E lo fa con un film storico avventuroso, certamente con un target più vasto di un cartone animato, coi crismi del cinema in grande stile. La scelta del titolo apparentemente fuorviante appare quindi straniante e, volendo, assume nuove opzioni. Certamente vanno considerati vari elementi, ad esempio il tentativo di sfruttare l’effetto “traino” della quasi omonima serie televisiva, Vikings (nel 2013 venne trasmessa la prima stagione, ideata da Michael Hirst) oltre a ribadire il richiamo con le origini Variaghe, tribù di Vichinghi scandinavi, della Rus’ di Kiev. E a questo proposito che può sorgere qualche “sospetto”, per così dire: forse l’idea di intitolare il film Viking rivela l’intenzione di togliere la primogenitura a Kiev, e quindi all’Ucraina, nella Storia della Russia. Con la forte caratterizzazione vichinga dei personaggi, il film di Kravchuk cerca di raccontare come la Russia nasca da una migrazione dei Variaghi che, quasi per caso –un po’ come si muove Vladimir nel film– si trovino in quella che oggi è nota come Ucraina nel momento della conversione, vero spartiacque della Storia russa. Kiev, in effetti, non ha nel racconto filmico particolare importanza. Il punto chiave della vicenda di Vladimir è, come del resto insegnano anche i libri di Storia, la conversione al cristianesimo, che porterà alla nascita della Chiesa Ortodossa di Kiev. Ma sarà poi Mosca ad assurgere al ruolo di Terza Roma, e non Kiev; conclusione che, se non viene detta esplicitamente nel film di Kravchuk, è però apparecchiata a dovere. Dietrologia spicciola?
Aleksandra Bortch
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