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domenica 7 luglio 2024

ANNA KARENINA

1509_ANNA KARENINA - LO SCENEGGIATO . Italia 1974; Regia di Sandro Bolchi.

Tra i molti adattamenti per lo schermo di Anna Karenina di Lev Tolstoj –almeno una ventina per il cinema e una dozzina per la televisione– un posto di rilievo lo merita lo sceneggiato Rai di Sandro Bolchi. Spesso si legge che, in quei tempi, la grande stagione della fiction televisiva italiana era agli sgoccioli; in realtà, negli anni Settanta inoltrati la televisione di stato del Belpaese sfornò alcuni dei suoi più compiuti capolavori e Anna Karenina fu tra quelli. Basti citare, tanto per dire l’impegno produttivo profuso, i quattro mesi di lavorazione sul set, con le complicatissime e affollatissime scene dei balli ottocenteschi, un via vai di eleganti dame e cavalieri impettiti. Sandro Bolchi, in regia, conosceva perfettamente i tempi e i movimenti degli sceneggiati, format molto particolare che, a fronte di budget non particolarmente elevati per le scenografie, si affidava alla teatralità degli interpreti. In quegli anni Settanta, questa peculiarità dei film televisivi Rai si era attenuata, trovando un maggior equilibrio, aumentando la resa scenica degli ambienti, si è detto delle sontuose scene nel mondo aristocratico russo, e richiedendo agli attori prestazioni più «moderne», più sobrie, meno enfatizzate, che in passato. Bolchi, come detto, sapeva gestire al meglio questi aspetti tecnici che stanno «alle spalle» del prodotto finito, con intuizioni funzionali alla riuscita del film. In questo caso, essendo Anna Karenina un racconto incentrato sulla protagonista, è vincente la scelta di lasciare campo libero al carisma naturale di Lea Massari, in una delle migliori prestazioni della sua grande carriera. La Massari non solo era bella, ma aveva anche una presenza scenica superba: nel corso degli eventi raccontati dalla trama, ha tuttavia modo di sfoderare tutto il suo campionario espressivo, apparendo, in qualche frangente, se certamente non brutta, quantomeno sofferta. 

La storia mette al centro questa nobildonna russa dell’Ottocento che, ad un certo punto della sua vita, si innamora perdutamente del conte Vronskij (Pino Colizzi), in un contesto in cui l’apparenza e il rispetto dell’etichetta e del buon nome erano requisiti imprescindibili. Che a buttare a carte quarant’otto tutto quanto –una famiglia altolocata, un matrimonio sicuro, un marito con una posizione invidiabile, un figlio non ancora adolescente– fosse una donna –siamo in Russia, nel 1800, all’epoca dello Zar– era, al tempo del romanzo di Tolstoj, un fatto inaudito. Nell’Italia degli anni Settanta, la vicenda rappresentava invece una sorta di «prova del nove» delle idee rivoluzionarie legate alla contestazione sessantottina. Come avrebbe reagito, il pubblico di Rai 1, emittente molto conservativa e legata alla politica democristiana del paese, a fronte di una donna che, in modo del tutto arbitrario, tradiva il marito (Karenin, interpretato da Giancarlo Sbraglia) perché trovava un amante più bello, più giovane e più aitante? Nel loro adattamento, Bolchi e Renato Mainardi, non tradiscono lo spirito rivoluzionario del romanzo, non cercano né offrono alibi alla protagonista; Anna Karenina è, da un punto di vista socio-culturale, dalla parte del torto, oltre a tradire il marito ed infrangere il giuramento matrimoniale, colpisce alle spalle l’istituzione cardine della nostra società, la famiglia. E lo fa, molto semplicemente, perché è innamorata di Vronskij e, nonostante i tentativi di mitigare in qualche modo la cosa, si tratta di una scelta libera e consapevole di cui, quindi, si assume piena responsabilità. Se questa «naturalezza» nel prevedere un personaggio principale che non rispettasse i vigenti codici sociali, era amplificato nel romanzo dal fatto che la protagonista era una donna e Tolstoj scriveva nella Russia di fine Ottocento, nello sceneggiato era la sacralità del matrimonio ad alimentare l’ambiguità del comportamento della Karenina. Nel 1974 il divorzio era già in uso, nello Stivale, ma da soli quattro anni e, pur essendo garantito da una Legge apposita, non era del tutto accettato dalla comunità, soprattutto dalla consistente componente cattolica per cui il sacramento era inviolabile. 

Figuriamoci come potesse essere accettato un adulterio e, almeno per larghe parti del paese, peggio ancora se a commetterlo era la moglie. Qui, in soccorso di Bolchi, arriva la prestazione attoriale e scenica della Massari che ha una forza naturale tale da rendere plausibili e accettabili tutti i tormenti interiori e le debolezze del proprio personaggio. A far da contraltare alla torbida storia tra Anna e Vronskij c’è una vicenda sentimentale che procede assai lentamente ma poi trova sfogo nel classico lieto fine, tra Levin (Sergio Fantoni) e Kitty (Valeria Ciangottini). Levin e Kitty sono la risposta tradizionale e conforme alla norma e al buon senso, all’irrazionalità di Anna e dei suoi travagli sentimentali. A turno, Levin prima e Kitty poi, devono pazientemente sopportare le incertezze del partner ma tutto si supera in nome di un amore devoto e solido. Levin, pur essendo nobile, è, tra l’altro, interprete anche di alcune aperture progressiste in ambito politico, influenzato forse dal fratello Nicolaj (Sergio Graziani), vero rivoluzionario. La traccia politico sociale non è però il vero motore della vicenda, anche perché, pur se Levin viene spesso ritenuto una sorta di alter ego di Tolstoj, non ha la forza dirompente della Karenina. Anna è un personaggio disposto a tutto, persino a perdere il proprio figlioletto, pur di stare con Vronskij, figura peraltro, almeno nello sceneggiato, piuttosto monodimensionale. Le due storie d’amore raccontate dal film sono, in un certo senso, speculari, almeno rispetto ai canoni della famiglia nella tradizione europea, e alcuni intrecci ne sottolineano il rapporto. Vronskij, in principio, ha un’intesa con Kitty che, proprio per questo, rifiuta le avances di Levin; ma, a quel punto, irrompe sulla scena Anna e il conte perde completamente la bussola, nonostante la Karenina fosse già una donna sposata. La stessa situazione, in qualche modo rovesciata e quindi speculare, avviene quando Kitty e Levin sono ormai sposati e questi incontra per la prima volta Anna, rimanendone invaghito. In questo caso, la volontà tanto di Levin che di Kitty, riesce a respingere l’elemento perturbante la quiete famigliare, e l’amore iscritto nella più antica istituzione sociale riesce a sopravvivere. A confermare l’alternatività di queste due situazioni è la loro posizione all’interno del racconto: la prima è giusto all’inizio, la seconda sul finale, in mezzo il corpo narrativo perlopiù basato sulle vicende della Karenina, vera e propria mattatrice. A cui tanto il romanzo che lo sceneggiato riservano un finale tragico, anticipato, o meglio gemellato, anche questo caso da una scena analoga in apertura. Le motivazioni dell’estremo gesto della Karenina sono, in genere, ricercate nell’intolleranza subìta dalla donna in una società fortemente ipocrita, a fronte dei suoi sconvenienti comportamenti. Forse anche qualche dubbio di Anna, in merito alla propria moralità, è da mettere in conto: dubbi che rimangono probabilmente anche nello spettatore, perché Anna Karenina non è un film che fornisca risposte. Men che meno alibi.    


Lea Massari 



Valeria Ciangottini 

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