1508_KOKOMO CITY . Stati Uniti 2023; Regia di D. Smith.
Il film documentario di D. Smith, si chiude con una
dedica a Koko Da Doll –al secolo Rasheeda Williams– che, nell’aprile del 2023,
pochi mesi dopo l’uscita nelle sale di Kokomo City, fu trovata uccisa da
un colpo di un’arma da fuoco. L’importanza della morte di una delle
protagoniste, non è legata all’eco che il fatto provocò, anche intorno al film;
il punto cruciale è che la crudele fine di Koko Da Doll certifica tragicamente i
problemi che l’opera di D. Smith evidenzia. Ambientato nel mondo transgender, Kokomo
City non riesce, nonostante i ripetuti riferimenti dei personaggi
intervistati, a concentrarsi su quello che, a prima vista, dovrebbe essere
l’argomento portante. Ovviamente l’identità sessuale ambigua, mettiamola così,
delle protagoniste è rimarcata, ma ci sono altri problemi che finiscono per
sovrastare questo tema. Se quello legato alla sfavorevole condizione della
donna nella moderna società –e qui abbiamo individui che, per scelta o natura,
vi aderiscono– è già una questione delicata, a rendere tutto ancora più
difficile da sopportare e la questione razziale. Il film è ambientato negli
Stati Uniti e, ascoltando le parole di Dominique Silver, Daniella Carter, Koko
Da Doll, Liyah Mitchell e del resto del cast, non sembra affatto che vi sia una
qualche speranza per una possibile futura integrazione pacifica e serena tra
gli afroamericani e gli americani di origine caucasica. È chiaro che per le
ragazze intervistate la situazione sia assai critica, visto che, alla
discriminazione omofoba, in quanto gay, si somma quella sessuale, in quanto
donne, e, per chiudere il cerchio, si aggiunge appunto quella razziale, essendo
afroamericane. Per una trans nera, insomma, la vita non sembra particolarmente
rosea, e anche la metafora colorata appare spietatamente crudele. Il racconto
di D. Smith gronda il risentimento scaturito da questa situazione, sebbene tra
le protagoniste ci sia anche un provvidenziale senso dell’ironia necessario a
sopportare tutta questa pressione. Ci sono, ma è inevitabile, molti passaggi
contradditori, del resto si tratta di testimonianze prese a caldo da persone
particolarmente spontanee ed esuberanti. Il passaggio migliore è, in ogni caso,
quello in cui la più aspra e dura delle protagoniste, Dominique Silver, arriva
a commuoversi, mostrando un lato tenero alla camera che, necessariamente, nella
sua «professione» non
può permettersi.
Non un capolavoro tecnico –nonostante il bel bianco e nero molto contrastato e
i tanti premi ricevuti– quello di D. Smith, ma un film certamente utile se
riesce a portare a galla alcuni tra quelli che vengono ritenuti i problemi di
oggi. E che, al contrario, dovrebbero essere le soluzioni: essere transessuali,
gay, donne, nere, ma anche cisgender, etero, uomini, bianchi, gialli, rossi, e
via dicendo, sono unicamente sfumature che arricchiscono l’umanità.
Dominique Silver
Daniella Carter
Koko Da Doll
Liyah Mitchell
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pienamente d'accordo! ;)
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