432_TARAS IL MAGNIFICO (Taras Bulba); Jugoslavia, Stati Uniti 1962. Regia di J. Lee Thompson.
Alla base di Taras il
magnifico, film di J. Lee Thompson, c'è Taras
Bul'ba, una sorta di racconto epico di Nikolaj Gogol', nel quale, il grande
scrittore russo, romanzava alla bisogna le cronache storiche della steppa
ucraina. Non si tratta quindi di un fondamento storicamente attendibile, e
quindi non è certo in quella direzione che dobbiamo cercare gli spunti di
interesse del film hollywoodiano con protagonisti Yul Brynner e Tony Curtis. Taras il magnifico è piuttosto un
gustoso film di avventure, di forte evocazione storica, con una vicenda romantica che irrompe nel flusso delle battaglie, creando una sorta di isola sentimentale all'interno del racconto filmico, creando i presupposti
per il finale a suo modo educativo. Va detto che il pastiche storico creato da Thompson sullo schermo è piuttosto
efficace e, in fondo, non poi così storicamente inattendibile più di quanto
probabilmente non lo sia il testo di Gogol' all'origine. D'altronde nessuno dei
due si propone di essere una cronaca storica: se quello dello scrittore russo
era un testo con finalità epiche, Thompson si serve degli aspetti storici,
culturali e folcloristici della steppa ucraina del dopo XV secolo, per
raccontare una vicenda di conflitti nazionali e relazioni sentimentali tra le
parti avverse. Perfetto Yul Brynner nei panni del cosacco Taras, molto meno
convincente Tony Curtis, il cui aspetto moderno stona all'interno di una
pellicola che fa della messa in scena molto convincente uno dei suoi punti di
forza. E dire che il copione gli riserva il ruolo principale (in contraddizione
col titolo che fa riferimento al personaggio di Brynner), ovvero di colui che,
grazie all'amore per Natalia (Christine Kaufman), nobildonna polacca, riuscirà
a superare l'odio per il nemico.
Perché tra cosacchi e polacchi non correva
certo buon sangue, e questo è un fatto anche storicamente attendibile; nel
film, all'inizio, pur non potendo essere definiti popoli amici e stimati, sono
però alleati contro i turchi. Ed è proprio dopo una vittoria militare polacca
ottenuta anche grazie all'intervento cosacco, che sorgono i problemi: a quel
punto i polacchi vorrebbero amministrare i rozzi alleati, e Taras rompe dunque il
sodalizio con un colpo di shaska, la
spada cosacca. La scena in cui mozza parte della mano all'ufficiale polacco è
improvvisa e particolarmente forte, in linea col temperamento dell'ardimentoso
cosacco coprotagonista del film. Pur con queste premesse, il clima del film non
è affatto truce, in quanto ben presto prende il centro della scena Andrei, il
figlio di Taras, a cui Curtis provvede a fornire la sua tipica faccia da
schiaffi rubacuori, e la pellicola vira sui canoni della commedia sentimentale
persino troppo sdolcinata. Ma è solo un intermezzo, per altro piuttosto
corposo, perché poi si ritorna al conflitto tra cosacchi e polacchi, sebbene il
seme dell'amore tra i popoli (nello specifico tra il cosacco Andrei e la
polacca Natalia) sia ormai stato gettato e quindi la disputa secolare finirà
per essere superata. A parte l'edificante messaggio che sintetizza la situazione, ovvero l'amore è l'unica arma
per combattere l'odio e quindi la guerra, di questo Taras il magnifico ci rimangono le scene di battaglia, molto
evocative, e alcuni passaggi che, probabilmente, ci rendono abbastanza bene lo
spirito cosacco. Ad un certo punto, due cavalieri sono in arrivo al campo
cosacco, il padrone di casa li avvista, prende il fucile, dice unicamente una
parola, ‘stranieri!’, e gli spara.
Mancandoli, grazie a Dio, essendo i due i figli di Taras di ritorno dagli studi
presso l'università di Kiev, al tempo governata dai polacchi. Il loro ritorno
semina qualche discordia: proprio in quel momento i cosacchi sono chiamati alle
armi dai nuovamente alleati polacchi ma Andrei, che da Kiev è fuggito tumultuosamente
a causa dei problemi avuti per aver disonorato Natalia, la figlia del
governatore, non ne vuole sapere di partire a combattere per conto degli odiati
rivali. Nell’accesa riunione, vola la parola ‘codardo’, cosa non accettabile presso i cosacchi; e allora, per
lavare l'offesa, si deve ricorrere ad una sorta di salto del coniglio stile Gioventù
bruciata, sennonché bisogna saltare oltre un precipizio a cavallo e non è
assolutamente prevista l'ipotesi di gettarsi prima del baratro. Esagerata come
soluzione del diverbio? Forse, ma come sentenzia Taras: ‘ci sono parole per cui gli uomini devono morire’. Perlomeno gli
uomini cosacchi.
Christine Kaufmann
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