433_PERCHE' SI UCCIDE UN MAGISTRATO ; Italia 1974. Regia di Damiano Damiani.
Dopo qualche anno di pausa, il regista Damiano Damiani
ritorna sui temi dell’impegno civile con il film Perché si uccide un magistrato, titolo a pensarci bene piuttosto
scioccante. Ma ancora più spiazzante è la traccia metalinguistica presente
nell’opera, dove il regista Giacomo Solaris (Franco Nero, puntuale) mette in
scena un film in cui un magistrato corrotto paga con la vita la propria
condotta. Nella narrazione, il film nel
film è una palese opera di denuncia, una facilmente leggibile metafora dell’operato
del giudice istruttore palermitano Alberto Traini (Marco Guglielmi). Soltanto
che l’opera di fantasia (alquanto
ispirata alla realtà, come si è detto) si scopre essere fin troppo profetica
quando l’ambiguo giudice viene ammazzato per davvero. Qui subentrano i sensi di
colpa di Solaris che, nel cercare di spiegare la sua posizione puramente
dialettica, sembra invaghirsi della bella vedova del magistrato, Antonia (una
Francoise Fabian molto brava, algida ma conturbante al tempo stesso). Tra il
giornalista/regista che cerca di dimostrare la sua estraneità alla piega che
hanno preso gli eventi e il gioco di potere tra mafiosi, politici, colleghi di
giornale, mentre la vedova prova a difendere l’onorabilità del marito, ci
attende una svolta imprevedibile. Ma prima, non si può fare a meno di leggere,
nella complessità dell’intreccio, una sorta di punto della situazione di
Damiani sulla sua opera in materia di impegno civile. E’ dunque pericoloso
trattare i delicati temi della società in quelle opere di finzione che fungano
anche da denuncia?
C’è il rischio che qualcuno prenda alla lettera quelle che dovrebbero
essere unicamente delle provocazioni artistiche, visto che, per quanto vi possa
essere un ruolo di denuncia sociale, il cinema rimane comunque arte e quindi
puramente concettuale? Insomma, c’è il rischio che il cinema d’impegno sociale possa venire strumentalizzato? La risposta di Damiani è un
si, ma lo è in modo imprevedibile. Perché se è vero che l’opera di Solaris
funge da spunto per uccidere il giudice Traini, le motivazioni dietro questo
delitto sono del tutto estranee ai problemi affrontati dal regista interpretato
da Franco Nero nel suo provocatorio film. Nello specifico il movente è una
banale questione di corna che vede coinvolti il giudice Traini, sua moglie
Antonia e il dottor Valgardeni (Giorgio Cerioni). Quindi c’è
strumentalizzazione, ma manca il nesso. E allora la riflessione finale sembra
essere che si, ci sono rischi nel raccontare i problemi reali del paese, ma non
sarà mai il cinema ad essere la scusante per chi vuole delinquere.
Almeno non il valido cinema di Damiani o di chi opera in
buona fede.
Françoise Fabian
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