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sabato 21 dicembre 2024

THE OTHER SIDE (2024)

1595_THE OTHER SIDE . Regno Unito 2024: Regia di Sean Langan

È clamoroso, e anche emblematico, che, dopo più di dieci anni di guerra, si stia ancora cercando di capire meglio le ragioni alla base del conflitto russo-ucraino. Per carità, a livello ufficiale, le dichiarazioni da parte del Cremlino sono state abbastanza chiare, eppure anche Sean Langan, noto giornalista e documentarista inglese, ha avuto la necessità, nel 2024, di andare a sentire quale aria tirasse in prima linea nella guerra russo-ucraina, ma, per una volta, sulla sponda degli invasori. Quello che preme a Langan, oltre alla sua propensione a ficcarsi nei luoghi più scomodi e pericolosi in chiave geopolitica, è sapere cosa ne pensano i russofoni dell’invasione in ottica generale. Siano essi i civili ucraini filorussi di quelle aeree che vengono definite «occupate» o «liberate» a seconda dei punti di vista, o siano i militari inviati da Mosca. Andando poi nello specifico, il giornalista azzarda anche qualche domanda a proposito delle accuse di cui vengono imputati i soldati russi, quei crimini di guerra a danno della popolazione civile che hanno fatto tanto scalpore in occidente. Tuttavia, com’è anche comprensibile, Langan rimane piuttosto vago, e non mette certo spalle al muro gli intervistati; si tratta pur sempre di militari convinti del proprio ruolo. Ma il dubbio più grande sembra proprio riguardare la motivazione alla base della guerra: esiste una ragione, anche pretestuosa, che possa realmente motivare questa catastrofe, oppure o è una manovra di Putin per conservare il potere? Se in Ucraina e in occidente, sappiamo benissimo qual è l’opinione corrente, Langan cerca di scoprire cosa ne pensano i russi e da Londra si reca a Mosca, per poi giungere nel Donbas, facendo base a Donetsk. Ad accompagnare il giornalista inglese è Sasha, che fornisce subito la sua versione della questione: non è a favore del Cremlino ma dell’Ucraina, ma l’affermazione nasconde una sorta di giravolta dialettica. Secondo la guida, il punto sarebbe che il governo attuale di Kyiv non lavora per il bene del Paese, e l’accusa implicita è che sia al servizio degli interessi occidentali. L’accompagnatore di Langan tocca subito uno dei punti cruciali della questione: la difficoltà ad accettare un regime eletto democraticamente, in un sistema realmente funzionante, da parte dei russi. Certamente anche Putin è al potere perché ha vinto le elezioni, ci mancherebbe, ma di un Paese che, da quando è stato istituito l’attuale sistema di governo nel 1991, non ha mai premiato l’alternanza, e non sembra quindi esattamente un modello di democrazia. Il che non deve essere preso necessariamente come una critica negativa, in quanto la democrazia ha i suoi limiti e se i russi han sempre votato Boris El’cin prima, Vladimir Putin poi, con Dmitrij Medvedev chiamato in causa giusto per evitarne il quarto mandato consecutivo, si vede che gli sta bene così. Il punto è che nei paesi dove il sistema democratico è applicato in regime di libertà, al netto delle varie pressioni propagandistiche presenti ovunque, si è verificata praticamente sempre una frammentazione tale delle opinioni politiche che ha portato ad uno scollamento tra il popolo e le varie leadership. Non essere d’accordo con il proprio governo è, in sostanza, la condizione abituale per un cittadino di un Paese democratico, diciamo così, evoluto. Ma non per questo ci si mette a far la guerra; semplicemente alle elezioni successive si vota la controparte. I russi come Sasha, per quanto di dicano curiosamente contrari al Cremlino, probabilmente voteranno ancora Putin, lo dice la statistica; mentre accettano l’idea di far la guerra a Zelensky in quanto non ne approvano le politiche e la differenza di atteggiamento nei confronti dei due leaders non sembra avere una giustificazione se non di comodo. E, volendo vedere, il viaggio di Langan potrebbe finire anche qui, ancora prima di iniziare, perché è stato già abbondantemente esplicativo della situazione. Al contrario, si va naturalmente avanti e il primo soldato interrogato a proposito offre una chiave di lettura della situazione più semplice: l’ovest dell’Ucraina si aggreghi pure ai paesi occidentali, così l’est potrà congiungersi alla Federazione Russa. Tra i civili intervistati da Langan, interessante il colloquio con Yulia, giovane nipote di Nina, un’anziana signora abituata a dormire col sottofondo dei bombardamenti. Se per Nina restare a Donetsk, nonostante il pericolo costante di finire sotto una bomba, è tutto sommato comprensibile, la scelta di rimanere di sua nipote è già più ardua da capire. Yulia si sente ucraina, si sente del Donbas, e rimpiange i tempi precedenti ad Euromaidan, quando a Donetsk, si esibirono in concerto alla Donbas Arena artisti di fama mondiale come Rihanna o Beyoncé. Star dello spettacolo che avevano scelto la città del Donbas piuttosto che Kyiv o Charkiv: in quei giorni, Donetsk non era confinata in un angolo sperduto nel pianeta ma si sentiva parte della comunità mondiale. A conti fatti, le parole della giovane ragazza, ingenue solo ad un primo ascolto, sono forse le più interessanti dell’intero film, oltre che le poche che lasciano un filo di speranza. Per il resto del documentario, man mano che Sasha e Langan si avvicinano al fronte, arrivando fino alla primissima linea, prendono sempre più spazio i militari e il loro modo allineato modo di pensare. Per la verità, sorta di eccezione, ad un certo punto si assiste alla realizzazione di un’intervista della TV russa per la strada, in cui due militari non sono propriamente d’accordo sulla questione dei territori contesi ma, francamente, l’impressione è che nessuno dei due riesca ad essere chiaro e convincente né per l’interlocutore  né tantomeno per lo spettatore. Ma nella maggior parte dei casi i soldati sono grosso modo tutti convinti, o si dicono tali, delle ragioni del loro operato e fiduciosi nel successo dell’Operazione Militare Speciale, come dimostra l’ottimismo che trapela da alcune loro dichiarazioni, ad esempio “lo spirito russo è invincibile” oppure “Stiamo perdendo la guerra della propaganda ma vincendo la guerra con le armi”. Timofey Yermakov, blogger oltre che soldato, è anche più perentorio: “Noi non siamo mostri. Noi siamo umani. Difendiamo la nostra gente, qui nella nostra patria. Vogliamo Kyiv non per conquistarla ma per processare Zelensky. La guerra finirà quando uccideremo l’ultimo nazista”. La questione dei crimini di guerra è quindi ribaltata e a finire sotto accusa è il governo di Kyiv. A proposito di Buča, uno dei soldati della Redut, una Compagnia Militare Privata russa che affiancava il famigerato Gruppo Wagner nelle operazioni, sostiene che lasciarono la cittadina intatta il primo aprile. Stando al militare, le atrocità furono rivelate al 4 aprile, tre giorni dopo che le truppe russe avevano lasciato Buča, scagionando quindi gli uomini di Mosca da qualsiasi accusa. In realtà, già il 2 aprile la giornalista Alona Mazurenko su Ukrainska Pravda rivelava la gravità di quanto accaduto durante l’occupazione di Buča [Alona Mazurenko, Almost 300 people buied in “mass grave” in Bucha, dozen of bodies found in the streets, Ukrainska Pravda, pagina web https:// www.pravda.com.ua/eng/news/2022/04/2/7336702/, visitata l’ultima volta il 12 dicembre 2024]. È una situazione che ne ricorda altre, ad esempio quella dell’abbattimento del Boing malese MA17, quando Putin in persona affermò pubblicamente che nessun mezzo militare russo avesse varcato la frontiera, salvo poi ritrovarselo filmato dalle telecamere di mezza Ucraina. Il Cremlino parlò di notizie false costruite ad arte ma, sentenze dei tribunali a parte –che di fatto accertarono la responsabilità di Mosca– l’impressione è che da quelle parti manchi l’abitudine al contraddittorio. Probabilmente, in Russia, se un militare della stimata Compagnia Redut dice che quando han lasciato Buča era tutto in ordine, tanto deve bastare. Il finale del documentario è dedicato alla Battaglia della Foresta di Sherwood nei pressi di Avdiivka, uno scontro bellico particolarmente duro e adatto a comprendere l’intera guerra russo-ucraina. I russi hanno caricato di significato questa posizione, e il riferimento al bosco dove si nascondeva Robin Hood è probabilmente frutto della loro voglia di dare un senso a quello che stanno facendo. A tal proposito, giova ricordare che, nella popolare leggenda inglese, il Principe dei Ladri era devoto al legittimo sovrano Riccardo Cuor di Leone, il cui trono era stato usurpato da suo fratello Giovanni Senza Terra. Basti sostituire Riccardo con Vladimir e Giovanni con Volodymyr per capire come conquistare la Foresta di Kreminna, ribattezzata Sherwood per l’occasione, fosse importante per la propaganda russa. The Other Side è un documentario interessante e alla domanda che si era idealmente posto Langan, offre almeno due risposte: se diamo retta ai diretti interessati, almeno da questo film, i russi non sono invasori, ma stanno solo “proteggendo quello che è nostro”, per usare le parole di uno dei militari intervistati. La replica a questa affermazione, che è l’altra risposta contenuta nel film di Langan, arriva direttamente da quella che un tempo era la meravigliosa Foresta di Kreminna, ridotta ora ad un cumulo di cenere. Metafora per metafora: altro che Robin Hood e gli Allegri Compari, sembra che di lì sia passato l’Attila della tradizione italiana. Sì, proprio quello di cui le leggende raccontano che, quando passava con i suoi Unni, non cresceva nemmeno più l’erba.   


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