1595_THE OTHER SIDE . Regno Unito 2024: Regia di Sean Langan
È clamoroso, e anche emblematico, che, dopo più di dieci anni di guerra,
si stia ancora cercando di capire meglio le ragioni alla base del conflitto
russo-ucraino. Per carità, a livello ufficiale, le dichiarazioni da parte del
Cremlino sono state abbastanza chiare, eppure anche Sean Langan, noto
giornalista e documentarista inglese, ha avuto la necessità, nel 2024, di
andare a sentire quale aria tirasse in prima linea nella guerra russo-ucraina, ma,
per una volta, sulla sponda degli invasori. Quello che preme a Langan, oltre
alla sua propensione a ficcarsi nei luoghi più scomodi e pericolosi in chiave
geopolitica, è sapere cosa ne pensano i russofoni dell’invasione in ottica
generale. Siano essi i civili ucraini filorussi di quelle aeree che vengono
definite «occupate» o «liberate» a seconda dei punti di vista, o siano i
militari inviati da Mosca. Andando poi nello specifico, il giornalista azzarda
anche qualche domanda a proposito delle accuse di cui vengono imputati i
soldati russi, quei crimini di guerra a danno della popolazione civile che
hanno fatto tanto scalpore in occidente. Tuttavia, com’è anche comprensibile,
Langan rimane piuttosto vago, e non mette certo spalle al muro gli intervistati;
si tratta pur sempre di militari convinti del proprio ruolo. Ma il dubbio più
grande sembra proprio riguardare la motivazione alla base della guerra: esiste una
ragione, anche pretestuosa, che possa realmente motivare questa catastrofe, oppure
o è una manovra di Putin per conservare il potere? Se in Ucraina e in
occidente, sappiamo benissimo qual è l’opinione corrente, Langan cerca di
scoprire cosa ne pensano i russi e da Londra si reca a Mosca, per poi giungere
nel Donbas, facendo base a Donetsk. Ad accompagnare il giornalista inglese è
Sasha, che fornisce subito la sua versione della questione: non è a favore del
Cremlino ma dell’Ucraina, ma l’affermazione nasconde una sorta di giravolta dialettica.
Secondo la guida, il punto sarebbe che il governo attuale di Kyiv non lavora
per il bene del Paese, e l’accusa implicita è che sia al servizio degli
interessi occidentali. L’accompagnatore di Langan tocca subito uno dei punti cruciali
della questione: la difficoltà ad accettare un regime eletto democraticamente,
in un sistema realmente funzionante, da parte dei russi. Certamente anche Putin
è al potere perché ha vinto le elezioni, ci mancherebbe, ma di un Paese che, da
quando è stato istituito l’attuale sistema di governo nel 1991, non ha mai
premiato l’alternanza, e non sembra quindi esattamente un modello di
democrazia. Il che non deve essere preso necessariamente come una critica
negativa, in quanto la democrazia ha i suoi limiti e se i russi han sempre
votato Boris El’cin prima, Vladimir Putin poi, con Dmitrij Medvedev chiamato in
causa giusto per evitarne il quarto mandato consecutivo, si vede che gli sta
bene così. Il punto è che nei paesi dove il sistema democratico è applicato in
regime di libertà, al netto delle varie pressioni propagandistiche presenti
ovunque, si è verificata praticamente sempre una frammentazione tale delle
opinioni politiche che ha portato ad uno scollamento tra il popolo e le varie
leadership. Non essere d’accordo con il proprio governo è, in sostanza, la
condizione abituale per un cittadino di un Paese democratico, diciamo così,
evoluto. Ma non per questo ci si mette a far la guerra; semplicemente alle
elezioni successive si vota la controparte. I russi come Sasha, per quanto di
dicano curiosamente contrari al Cremlino, probabilmente voteranno ancora Putin,
lo dice la statistica; mentre accettano l’idea di far la guerra a Zelensky in
quanto non ne approvano le politiche e la differenza di atteggiamento nei
confronti dei due leaders non sembra avere una giustificazione se non di comodo.
E, volendo vedere, il viaggio di Langan potrebbe finire anche qui, ancora prima
di iniziare, perché è stato già abbondantemente esplicativo della situazione. Al
contrario, si va naturalmente avanti e il primo soldato interrogato a proposito
offre una chiave di lettura della situazione più semplice: l’ovest dell’Ucraina
si aggreghi pure ai paesi occidentali, così l’est potrà congiungersi alla
Federazione Russa. Tra i civili intervistati da Langan, interessante il
colloquio con Yulia, giovane nipote di Nina, un’anziana signora abituata a
dormire col sottofondo dei bombardamenti. Se per Nina restare a Donetsk,
nonostante il pericolo costante di finire sotto una bomba, è tutto sommato
comprensibile, la scelta di rimanere di sua nipote è già più ardua da capire.
Yulia si sente ucraina, si sente del Donbas, e rimpiange i tempi precedenti ad
Euromaidan, quando a Donetsk, si esibirono in concerto alla Donbas Arena artisti
di fama mondiale come Rihanna o Beyoncé. Star dello spettacolo che avevano
scelto la città del Donbas piuttosto che Kyiv o Charkiv: in quei giorni, Donetsk
non era confinata in un angolo sperduto nel pianeta ma si sentiva parte della
comunità mondiale. A conti fatti, le parole della giovane ragazza, ingenue solo
ad un primo ascolto, sono forse le più interessanti dell’intero film, oltre che
le poche che lasciano un filo di speranza. Per il resto del documentario, man
mano che Sasha e Langan si avvicinano al fronte, arrivando fino alla primissima
linea, prendono sempre più spazio i militari e il loro modo allineato modo di
pensare. Per la verità, sorta di eccezione, ad un certo punto si assiste alla
realizzazione di un’intervista della TV russa per la strada, in cui due
militari non sono propriamente d’accordo sulla questione dei territori contesi
ma, francamente, l’impressione è che nessuno dei due riesca ad essere chiaro e convincente
né per l’interlocutore né tantomeno per
lo spettatore. Ma nella maggior parte dei casi i soldati sono grosso modo tutti
convinti, o si dicono tali, delle ragioni del loro operato e fiduciosi nel
successo dell’Operazione Militare Speciale, come dimostra l’ottimismo che
trapela da alcune loro dichiarazioni, ad esempio “lo spirito russo è
invincibile” oppure “Stiamo perdendo la guerra della propaganda ma vincendo la
guerra con le armi”. Timofey Yermakov, blogger oltre che soldato, è anche più
perentorio: “Noi non siamo mostri. Noi siamo umani. Difendiamo la nostra gente,
qui nella nostra patria. Vogliamo Kyiv non per conquistarla ma per processare
Zelensky. La guerra finirà quando uccideremo l’ultimo nazista”. La questione
dei crimini di guerra è quindi ribaltata e a finire sotto accusa è il governo
di Kyiv. A proposito di Buča, uno dei soldati della Redut, una Compagnia
Militare Privata russa che affiancava il famigerato Gruppo Wagner nelle
operazioni, sostiene che lasciarono la cittadina intatta il primo aprile. Stando
al militare, le atrocità furono rivelate al 4 aprile, tre giorni dopo che le
truppe russe avevano lasciato Buča, scagionando quindi gli uomini di Mosca da
qualsiasi accusa. In realtà, già il 2 aprile la giornalista Alona Mazurenko su Ukrainska
Pravda rivelava la gravità di quanto accaduto durante l’occupazione di Buča [Alona Mazurenko, Almost
300 people buied in “mass grave” in Bucha, dozen of bodies found in the streets,
Ukrainska Pravda, pagina web https:// www.pravda.com.ua/eng/news/2022/04/2/7336702/,
visitata l’ultima volta il 12 dicembre 2024]. È una situazione che ne ricorda altre, ad
esempio quella dell’abbattimento del Boing malese MA17, quando Putin in persona
affermò pubblicamente che nessun mezzo militare russo avesse varcato la
frontiera, salvo poi ritrovarselo filmato dalle telecamere di mezza Ucraina. Il
Cremlino parlò di notizie false costruite ad arte ma, sentenze dei tribunali a
parte –che di fatto accertarono la responsabilità di Mosca– l’impressione è che
da quelle parti manchi l’abitudine al contraddittorio. Probabilmente, in
Russia, se un militare della stimata Compagnia Redut dice che quando han
lasciato Buča era tutto in ordine, tanto deve bastare. Il finale del
documentario è dedicato alla Battaglia della Foresta di Sherwood nei pressi di Avdiivka,
uno scontro bellico particolarmente duro e adatto a comprendere l’intera guerra
russo-ucraina. I russi hanno caricato di significato questa posizione, e il
riferimento al bosco dove si nascondeva Robin Hood è probabilmente frutto della
loro voglia di dare un senso a quello che stanno facendo. A tal proposito,
giova ricordare che, nella popolare leggenda inglese, il Principe dei Ladri era
devoto al legittimo sovrano Riccardo Cuor di Leone, il cui trono era stato
usurpato da suo fratello Giovanni Senza Terra. Basti sostituire Riccardo con
Vladimir e Giovanni con Volodymyr per capire come conquistare la Foresta di
Kreminna, ribattezzata Sherwood per l’occasione, fosse importante per la
propaganda russa. The Other Side è un documentario interessante e alla
domanda che si era idealmente posto Langan, offre almeno due risposte: se diamo
retta ai diretti interessati, almeno da questo film, i russi non sono invasori,
ma stanno solo “proteggendo quello che è nostro”, per usare le parole di uno
dei militari intervistati. La replica a questa affermazione, che è l’altra
risposta contenuta nel film di Langan, arriva direttamente da quella che un
tempo era la meravigliosa Foresta di Kreminna, ridotta ora ad un cumulo di
cenere. Metafora per metafora: altro che Robin Hood e gli Allegri Compari,
sembra che di lì sia passato l’Attila della tradizione italiana. Sì, proprio
quello di cui le leggende raccontano che, quando passava con i suoi Unni, non
cresceva nemmeno più l’erba.
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