1593_MACISTA ALPINO. Italia 1916: Regia di Luigi Romano Borgnetto e Luigi Maggi
Dopo che nel colossal Cabiria (1914, Giovanni
Pastrone) si era sorprendentemente imposto come personaggio, Maciste,
interpretato da Bartolomeo Pagano, divenne una vera e propria icona di un
cinema italiano ancora agli arbori. L’anno successivo Maciste, il primo
film a lui dedicato, aprì una lunga serie di lungometraggi che vedranno al
centro della scena il forzuto a cui prestava muscoli e simpatica faccia da
schiaffi il Pagano, un ex scaricatore di porto di Genova. L’arrivo della Prima
Guerra Mondiale anche in Italia fu colto al volo dai produttori che
spedirono sul fronte alpino il nostro Maciste che, non c’era da dubitarne,
saprà farsi onore. Le avventure del forzuto ideato dal regista Pastrone e da
Gabriele D’Annunzio, erano avvincenti, divertenti, spesso spassose e, in
genere, molto ben confezionate. Pagano aveva un certo carisma, una giusta
combinazione tra prestanza atletica per reggere le mirabolanti imprese del suo
personaggio e la capacità di trovare la complicità dello spettatore in modo
naturale. Le vicende narrate sono estreme, sia sul versante leggero che su
quello avventuroso: erano le caratteristiche di molto cinema muto, in
particolare nella sua importante deriva comica, che aveva un meccanismo
simile a quello poi ripreso dai cartoni animati di Tex Avery o della Warner
Bros. Considerato il tono tutto sommato leggero di Maciste alpino, non deve
quindi stupire vedere il forzuto lanciare da una finestra del secondo piano il
nemico austriaco. E la macchina da presa non si scomoda nemmeno a farci vedere
eventuali trami conseguenti ad una simile caduta, lo spettatore è consapevole
che si tratta di finzione e semmai nei momenti drammatici viene enfatizzato
proprio l’aspetto comico del racconto. Memorabile il duello tra Maciste e
l’ufficiale austriaco con il nostro che, non avendo la spada, si improvvisa con
due enormi pinze da camino con cui finirà per pizzicare per l’avversario per
una gamba sollevandolo manco fosse un crostaceo. La presa in giro nei confronti
del nemico è continua e ripetuta ed è tipica di un certo cinema di propaganda
ma, sia il clima leggero della pellicola che il periodo di uscita del film (a
guerra in corso) giustificano o rendono ampiamente tollerabile questo aspetto
del film. Strepitoso il duello con l’austriaco Pluffer (Fido Schirru) in una
serie di gag condite da dialoghi ancora oggi divertenti (“crepa Macisto!”)
e sviluppi narrativi ben articolati. Tra l’altro, pur considerando il tipo di
pellicola in questione, il lavoro di Luigi Romano Borgnetto e Luigi Maggi in
regia (con la supervisione di Pastrone) non è affatto da sottovalutare: le
riprese panoramiche, ovviamente realizzate grazie ai celebri carrelli
(di cui Pastrone era l’inventore), la messa in scena armonica; insomma Maciste
alpino può contare su una solida base tecnica. Oltre a ciò, le location montane
sono affascinanti e la qualità della fotografia rende giustizia a cotanto
scenario. In molte riprese le gesta del forzuto lasciano il campo a quelle del
corpo degli Alpini ma l’ironia del racconto è sempre in agguato: vediamo
infatti un cannone trasportato a spalla dal nostro simpatico protagonista,
oppure audaci quanto improbabili scene di arrampicata su corde sospese con
arsenale al seguito. Oggi, scoprendo la storia del personaggio protagonista di
questo lungometraggio ci si potrebbe interrogare su come il Maciste di Cabiria,
che era ambientato nel III secolo a. C., potesse scorrazare ancora giovane e
vigoroso durante la Grande Guerra, ben più di 2000 anni dopo.
Naturalmente, dato il contesto, si sarebbero potuto trovare decine di
escamotage narrativi accettabili: quello attuale potrebbe essere un discendete,
un erede, la reincarnazione e via fantasticando. In fondo il tenore di Maciste
alpino è quello di una storia a fumetti e si sa che i pretesti di questo
tipo di avventure sono spesso assai ingenuamente variopinti. Gli autori de Maciste
alpino trovano invece una soluzione molto più raffinata, colta e
funzionale: quella metalinguistica. Sulla scena troviamo la troupe della
Itala-Film, lo studio che, tra gli altri, diede alla luce appunto Cabiria
e i film di Maciste: la guerra scoppia proprio durante una di queste
produzioni, girata nei pressi del confine austriaco. Le truppe di Francesco
Giuseppe fanno irruzione nel racconto e i nostri vengono catturati: tra loro
c’è naturalmente anche Bartolomeo Pagano che si presenta però col nome di Maciste,
in un sopraffino passaggio metalinguistico. Si sovrappone, cioè, la figura del
personaggio a quella dell’attore, garantendo così a Maciste la giustificazione
narrativa di interagire con il conflitto bellico in corso. Cose di oltre un
secolo fa: quando l’Italia e il cinema italiano erano davvero all’avanguardia
mondiale.
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