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martedì 17 dicembre 2024

MACISTE ALPINO

1593_MACISTA ALPINO. Italia 1916: Regia di Luigi Romano Borgnetto e Luigi Maggi

Dopo che nel colossal Cabiria (1914, Giovanni Pastrone) si era sorprendentemente imposto come personaggio, Maciste, interpretato da Bartolomeo Pagano, divenne una vera e propria icona di un cinema italiano ancora agli arbori. L’anno successivo Maciste, il primo film a lui dedicato, aprì una lunga serie di lungometraggi che vedranno al centro della scena il forzuto a cui prestava muscoli e simpatica faccia da schiaffi il Pagano, un ex scaricatore di porto di Genova. L’arrivo della Prima Guerra Mondiale anche in Italia fu colto al volo dai produttori che spedirono sul fronte alpino il nostro Maciste che, non c’era da dubitarne, saprà farsi onore. Le avventure del forzuto ideato dal regista Pastrone e da Gabriele D’Annunzio, erano avvincenti, divertenti, spesso spassose e, in genere, molto ben confezionate. Pagano aveva un certo carisma, una giusta combinazione tra prestanza atletica per reggere le mirabolanti imprese del suo personaggio e la capacità di trovare la complicità dello spettatore in modo naturale. Le vicende narrate sono estreme, sia sul versante leggero che su quello avventuroso: erano le caratteristiche di molto cinema muto, in particolare nella sua importante deriva comica, che aveva un meccanismo simile a quello poi ripreso dai cartoni animati di Tex Avery o della Warner Bros. Considerato il tono tutto sommato leggero di Maciste alpino, non deve quindi stupire vedere il forzuto lanciare da una finestra del secondo piano il nemico austriaco. E la macchina da presa non si scomoda nemmeno a farci vedere eventuali trami conseguenti ad una simile caduta, lo spettatore è consapevole che si tratta di finzione e semmai nei momenti drammatici viene enfatizzato proprio l’aspetto comico del racconto. Memorabile il duello tra Maciste e l’ufficiale austriaco con il nostro che, non avendo la spada, si improvvisa con due enormi pinze da camino con cui finirà per pizzicare per l’avversario per una gamba sollevandolo manco fosse un crostaceo. La presa in giro nei confronti del nemico è continua e ripetuta ed è tipica di un certo cinema di propaganda ma, sia il clima leggero della pellicola che il periodo di uscita del film (a guerra in corso) giustificano o rendono ampiamente tollerabile questo aspetto del film. Strepitoso il duello con l’austriaco Pluffer (Fido Schirru) in una serie di gag condite da dialoghi ancora oggi divertenti (“crepa Macisto!”) e sviluppi narrativi ben articolati. Tra l’altro, pur considerando il tipo di pellicola in questione, il lavoro di Luigi Romano Borgnetto e Luigi Maggi in regia (con la supervisione di Pastrone) non è affatto da sottovalutare: le riprese panoramiche, ovviamente realizzate grazie ai celebri carrelli (di cui Pastrone era l’inventore), la messa in scena armonica; insomma Maciste alpino può contare su una solida base tecnica. Oltre a ciò, le location montane sono affascinanti e la qualità della fotografia rende giustizia a cotanto scenario. In molte riprese le gesta del forzuto lasciano il campo a quelle del corpo degli Alpini ma l’ironia del racconto è sempre in agguato: vediamo infatti un cannone trasportato a spalla dal nostro simpatico protagonista, oppure audaci quanto improbabili scene di arrampicata su corde sospese con arsenale al seguito. Oggi, scoprendo la storia del personaggio protagonista di questo lungometraggio ci si potrebbe interrogare su come il Maciste di Cabiria, che era ambientato nel III secolo a. C., potesse scorrazare ancora giovane e vigoroso durante la Grande Guerra, ben più di 2000 anni dopo. Naturalmente, dato il contesto, si sarebbero potuto trovare decine di escamotage narrativi accettabili: quello attuale potrebbe essere un discendete, un erede, la reincarnazione e via fantasticando. In fondo il tenore di Maciste alpino è quello di una storia a fumetti e si sa che i pretesti di questo tipo di avventure sono spesso assai ingenuamente variopinti. Gli autori de Maciste alpino trovano invece una soluzione molto più raffinata, colta e funzionale: quella metalinguistica. Sulla scena troviamo la troupe della Itala-Film, lo studio che, tra gli altri, diede alla luce appunto Cabiria e i film di Maciste: la guerra scoppia proprio durante una di queste produzioni, girata nei pressi del confine austriaco. Le truppe di Francesco Giuseppe fanno irruzione nel racconto e i nostri vengono catturati: tra loro c’è naturalmente anche Bartolomeo Pagano che si presenta però col nome di Maciste, in un sopraffino passaggio metalinguistico. Si sovrappone, cioè, la figura del personaggio a quella dell’attore, garantendo così a Maciste la giustificazione narrativa di interagire con il conflitto bellico in corso. Cose di oltre un secolo fa: quando l’Italia e il cinema italiano erano davvero all’avanguardia mondiale. 


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