Translate

martedì 9 aprile 2024

LA MORTE CORRE SUL FIUME

1465_LA MORTE CORRE SUL FIUME (The night of the hunter). Stati Uniti 1955; Regia di Charles Laughton.

E’ davvero un peccato che La morte corre sul fiume fu un fiasco al botteghino; l’insuccesso del film, di fatto, stroncò ogni eventuale ipotesi di carriera registica a Charles Laughton. The night of the Hunter, questo l’eccellente titolo originale, rimane così l’opera prima e ultima del formidabile attore inglese. La morte corre sul fiume uscì nel 1955, si presenta formalmente come un noir – e lo è – ma è anche un’opera spiazzante e originale, nonché raffinatissima. Forse troppo per quel pubblico che, presumibilmente, si poteva anche aspettare una storia oscura venata di paura, un thriller, insomma. Ma non una favola nera, onirica ed espressionista al punto da sembrare surreale in qualche passaggio. L’ambientazione scelta da Laughton è quella americana della Grande Depressione, quella tipica dei film di gangster degli anni 30 che furono antesignani del genere noir che fu invece espressione peculiare del decennio successivo. Ben Harper (Peter Graves) è costretto a compiere una rapina per poter sostenere la famiglia: la polizia non molla né tantomeno scherza e l’uomo rimarrà sul terreno non prima di aver consegnato il malloppo ai figlioletti, John (Billy Chapin) e la piccola Pearl (Sally Jane Bruce), con la raccomandazione di custodirlo gelosamente. Il nascondiglio scelto è all’interno dell’inseparabile bambola di Pearl: in un film fortemente simbolico come La morte corre sul fiume, un modo per dire che l’eredità della violenza che contraddistinse l’America della Grande Depressione aveva un lascito in profondità. Addirittura nei giochi dei bambini; quanto di più innocente ci potesse essere. E, proprio inseguendo questo denaro, ecco arrivare il noir, incarnato in modo sontuoso da Robert Mitchum – l’anima del cinema noir secondo il critico Roger Ebert – e dal suo personaggio, Harry Powell. 

Per presentare il quale, basterebbe citare qualcuna delle sue frasi ad effetto ma non si possono certamente tralasciare i tatuaggi sulle dita, love su quelle della mano destra e hate su quelle della sinistra, con la storiella del bene e del male in lotta tra loro che questo simpatico presunto predicatore sfoderava alla bisogna. Powell è un personaggio strepitoso, in anticipo sui tempi, con la sua cattiveria esplicita condita da malsano umorismo, non l’unico connubio atipico. L’altro, è ancora più interessante: Powell è implacabile, inesorabile, inarrestabile eppure non riesce mai a ad avere la meglio sulle sue prede che in fin dei conti sono semplici bambini. Egli sembra in grado di ritrovare le tracce dei piccoli in fuga ovunque possano andare, procedendo con ogni mezzo, ma senza affrettarsi mai troppo: una figura incombente e terrorizzante. Ma i ragazzi riescono sempre a fargliela; e quando vengono presi al varco, non cedono comunque alle sue insistenze. Caratteristiche contrastanti, la sua implacabilità e l’incapacità di riuscire nel suo scopo, che hanno qualche debito con Wile E. Coyote, il cartone animato della Warner Bros creato da Chuck Jones e Michael Maltese nel 1949, mentre anticipano di decenni alcuni personaggi del cinema horror degli anni 80, come il Freddy Krueger di Nightmare - Dal profondo della notte (1984, regia di Wes Craven). 

L’aspetto che sembra però interessare maggiormente Laughton sono per la verità i rimandi religiosi di Powell che, come detto, si spaccia per predicatore e il regista se ne serve per mettere sotto accusa il tipico bigottismo americano. In questo senso va anche la sciocca ingenuità di Willa Harper (Shelley Winters, bravissima come suo solito), vedova di Ben e madre di John e Pearl, che finisce irretita dalle false parole caritatevoli di Powell. In parte con grave responsabilità di altri due personaggi particolarmente ottusi, i coniugi Spoon (Don Beddoe e Evelyn Varden), di cui Icey, la moglie, incarna ancor meglio di Willa la dabbenaggine bigotta messa sotto accusa dal film. A salvare i ragazzi dalle grinfie di Powell sarà infine Mrs Rachel Cooper interpretata da Lillian Gish, ormai più che sessant’enne. La Gish era l’emblema di un cinema d’altri tempi, forse ancora puro e non inquinato totalmente dal potere del dollaro; l’influenza nefasta del denaro è esplicitata dalla scena in cui John se ne libera violentemente, strappando i bigliettoni verdi dal corpicino della bambola e gettandoli via. Se il denaro è visto in chiave totalmente negativa, il cinema non è solo fonte di salvezza – la Gish, diva del muto – ma anche minaccia incombente – l’anima nera di Mitch – mentre la religione appare come uno strumento pretestuoso, ottuso e privo di valore. Pur se un’opera di forte senso simbolico dovrebbe avere nel significato la sua massima importanza, in questo caso la bellezza astratta è l’apice del lavoro di Laughton. 

La celeberrima scena di Shelley Winters in fondo al fiume, coi capelli che si librano nell’acqua come alghe, è il caso più clamoroso ma ce ne sono molte altre. L’ombra di Mitchum, il suo incedere inesorabile, la follia mistica che si impossessa del personaggio della Winters: formalmente La morte corre sul fiume è un campionario di immagini dal grande impatto scenico e forte valore simbolico. Eppure il film non ebbe successo; chissà perché? Chissà se davvero fu un limite del pubblico che non colse lo spirito dell’opera. Oppure, ci sia davvero, nel film di Laughton, qualcosa che non è dosato col giusto equilibrio: per essere un film espressionista, manca forse di peso nel senso, nel significato: per essere un noir, la storia manca un po’ di mordente – considerato che il cattivo non riesce a spuntarla contro due bambini. Come fiaba sarebbe invece perfetta, non fosse che a finire sulla graticola satirica è il bigottismo religioso e forse questo non è un tema propriamente adeguato. Certo, Powell può benissimo incarnare il Male ma è un cattivo come detto piuttosto atipico. E’ spregevole, eppure a suo modo suscita simpatia; forse, accettare questo in un film serio – seppur dai toni fortemente astratti – e non in un cartoon, non era così scontato. Sia come sia, Mitch che sentenzia placidamente minaccioso “Tornerò quando sarà buio” ad oggi ancora non si batte.  







Galleria 


Nessun commento:

Posta un commento