1409_ZAKHAR BERKUT . Unione Sovietica, 1971; Regia di Leonid Osyka.
Alla base di Zakhar Berkut, film di Leonig Osyka del 1971, c’è l’omonimo romanzo storico di Ivan Franko, ambientato nel 1241, quando le popolazioni stanziate sui Monti Carpazi dell’odierna Ucraina, riuscirono nell’impresa di sconfiggere i temibili invasori mongoli. Da un punto di vista letterario, siamo in pieno clima epico; quindi, più che una ricostruzione fedele ai fatti narrati, va forse considerato il periodo di produzione dell’opera artistica. Il romanzo di Franko uscì a fine 1800, con l’Ucraina ancora divisa tra l’Impero Asburgico e la dominazione russa e il racconto Il falco nascente, titolo con cui è conosciuto il testo, lascia trasparire tutta l’insofferenza del popolo ucraino, mentre cerca di fomentare un po’ di amor di patria, come ogni opera epica che si rispetti. Quasi un secolo dopo, con l’Ucraina ormai completamente assoggettata all’Unione Sovietica, con il suo film, Leonid Osyka riporta in voga questi temi non propriamente in linea con le direttive del Cremlino. Certo, con un po’ di buona volontà, si potrebbe scorgere, nella disputa tra eroi popolari come Zakhar Berkut (Vasyl Symchych), e il suo rivale, il boiardo Tugar Vovk (Kostantin Stepankov) una metafora della “lotta di classe” tipicamente comunista. Ma si tratterebbe di una lettura forzata. Osyka sembra piuttosto interessato ad una rappresentazione se non mistica, certamente mitologica, con un uso del colore, delle musiche, delle scenografie e dei costumi, che danno luogo ad una messa in scena ammaliante per fascino estetico. Zakhar Berkut è a capo di Tukhlya, uno sparuto villaggio nascosto sui Carpazi, e porge l’invito al nobile a cui fa riferimento la zona, il boiardo Tugar Vovk, di partecipare alla Veche, la comune assemblea collettiva che si svolgeva nella Rus’ di Kiev in quei remoti tempi. Incaricato di questa missiva è Maksim (Ivan Gavrilyuk), uno dei due figli di Zakhar Berkut; la risposta di Tugar Vovk non è certo entusiasta, ma accetterà di recarsi al villaggio se il giovane parteciperà alla caccia all’orso. Galeotta sarà questa caccia perché il valente giovanotto salva la vita alla bella Miroslava (Antonina Leftiy), figlia proprio di Tugar Vovk, e la prevedibile scintilla scocca quasi immediatamente tra i due, creando un cortocircuito nei piani del boiardo. Il nobile ha infatti tradito il suo popolo, essendo in combutta con i mongoli dell’Orda che stanno per invadere la zona. Arrivato a Tukhlya, Tugat Vovk prova a convincere l’assemblea a lasciargli gestire il rapporto coi mongoli, facendo intendere che sia da evitare uno scontro diretto.
Purtroppo per lui nella riunione è presente anche Dmitrij (Fyodor Panasenko) che conosce i suoi intrallazzi con gli invasori; vistosi scoperto, Tugat Vovk colpisce l’uomo, uccidendolo. La situazione precipita: il boiardo è scacciato e, con la figlia al seguito, si rifugia presso i Tartari di Burundi (Borislav Brondukov) rivelando agli invasori mongoli la posizione di Tukhlya, che viene quindi attaccata. Maksym è alfine catturato, Burundi lo vorrebbe fare arrosto ma il giovane viene risparmiato purché faccia da guida all’Orda attraverso gli impervi monti Carpazi. Maksym consegna a Miroslava un messaggio per il padre: condurrà i Tartari in una vallata dove sarà possibile farli finire sott’acqua, facendo crollare opportunamente la roccia nota come Sentinella. Il Mito sta quindi per compiersi: i mongoli sono arrivati nel punto stabilito, l’enorme masso cadendo ostruisce lo scorrere del fiume che allaga la valle. Sulle alture Zakhar Berkut osserva i tartari finire a mollo; Burundi offre la vita di Maksym, suo prigioniero, in cambio di una via di fuga. Miroslava è disperata perché il padre del suo amato non cede alle richieste mongole, consapevole che, una volta in salvo, l’Orda tornerà ad insanguinare le loro terre. Il destino si compie: muoiono i Tartari, Burundi e Tugar Vovk, ma anche Maksym e perfino suo fratello Lyubomyr (Ivan Mykolaychuk). Miroslava piange, mentre Zakhar Berkut abbassa lo sguardo, ripensando forse all’amara decisione che è stato costretto a prendere, scegliendo il bene collettivo a discapito dei propri affetti. L’atmosfera è lugubre; ma presto il sole torna a splendere sui Monti Carpazi, indifferenti alle umane miserie. I problemi dell’Ucraina sono solo all’inizio.
Antonina Leftiy
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