1408_OPPENHEIMER . Stati Uniti, Regno Unito, 2023; Regia di Christopher Nolan.
Dopo i primi thriller a tinte cupe, Christopher Nolan aveva impresso alla sua carriera di regista una svolta fantascientifica: ora, dopo la sua prima incursione, Dunkirk (2017), lo ritroviamo di nuovo alle prese con la Storia. La Storia, quella con S maiuscola, almeno in linea di principio, non concede divagazione fantastiche e pretende massimo rigore; poi, d’accordo, le licenze poetiche sono ovviamente permesse ma, rispetto ad un film di fantascienza, almeno da protocollo occorre rimanere più attinenti alla realtà. Oppenheimer, il nuovo lungometraggio del regista angloamericano, è poi un film biografico, fatto che introduce un altro vincolo, quello legato alla vita del protagonista. Il film di Nolan è basato, per essere precisi, sul testo Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica di Kai Bird e Martin J. Sherwin, uscito nel 2005 e premiato, tra gli altri, col Pulitzer. In ogni caso, la vita di un personaggio tanto importante, responsabile ultimo di un’invenzione cruciale nel corso della Storia dell’Umanità e protagonista di un periodo storico ancora oggi determinante, non sembrerebbe lasciare troppo spazio alle derive fantastiche o sperimentali. Eppure, Nolan, anche in questo caso, riesce a confonderci le idee, pur parlando, in un film storico-biografico, di qualcosa di assolutamente scientifico e razionale. Se, nella sua precedente divagazione storica, Dunkirk, l’autore aveva dimostrato come la realtà, perfino la realtà storica, potesse sembrare un’esperienza onirica, con Oppenheimer utilizza la metafora della fisica quantistica per una rappresentazione, o meglio, più rappresentazioni, di quelle che possono essere le reali vicende accadute in luogo di un’unica e sola verità assoluta. Il racconto filmico, in effetti, è impostato su tre livelli temporali, non così facilmente distinguibili tra loro dal momento che due di loro sono a colori mentre uno di essi è in bianco e nero, non fornendo, quindi, una semplice lettura dei piani narrativi. La mancanza di linearità nella narrazione è una delle costanti dell’autore e, in questo caso, si innesta ad un tema particolarmente sfuggente, almeno per lo spettatore comune la meccanica quantistica non è pane quotidiano, e ai giochi di potere di Washington nell’America di uno dei suoi periodi più opachi. Nolan, forte del suo talento specifico in questo tipo di narrazione e dell’esperienza maturata nei suoi film fantascientifici, riesce a gestire alla grande il racconto che non molla mai la presa sullo spettatore, pur nella vaghezza dei riferimenti scientifici che sono praticamente tra i pochi punti cardinali della narrazione. Certo, la corsa alla realizzazione della Bomba Atomica, che gli americani dovevano realizzare prima dei nazisti, funge da valido supporto al ritmo narrativo, ma è emblematico che né il Trinity Test, la prima esplosione nucleare della Storia, né la notizia degli sganci su Hiroshima e Nagasaki, siano utilizzati per il gran finale del film.
Non sono, le esplosioni, l’epicentro di Oppenheimer. Anche perché, quelle, a rigor di intenti di chi le ha provocate, sono state un successo e il film tutto sembra tranne che una celebrazione. Sui “benefici” delle esplosioni, poi, da un punto di vista morale, ci sarebbe da obiettare, e non poco, come appunto sostiene, ad un certo punto, lo stesso J. Robert Oppenheimer (Cillian Murphy, perfetto). Ma il presidente Harry Truman (Gary Oldman, divino) liquida velocemente la questione: la responsabilità dei morti è solo sua. Questo sarebbe un assist per un’interessante riflessione, in merito, ma Nolan è di diverso avviso, almeno in questo caso. Per due volte, lo scienziato recita il verso “Ora sono diventato Morte. Il distruttore di mondi” [da Bagahavad Gita, testo sacro sanscrito, opera di Vyasa], quasi che il suo Destino, e con esso il Destino dell’Umanità, fosse già scritto nell’antichità.
Ma, come suo solito, Nolan procede su binari paralleli o comunque differenti ed è una frase che Oppenheimer confida a Albert Einstein (Tom Conti) a turbarci maggiormente. Lo scienziato, riferendosi agli iniziali timori che la reazione a catena innescata dalla bomba atomica potesse incendiare l’atmosfera e bruciare l’intero mondo, teme che non siano affatto scongiurati, nel loro risultato finale, considerato i rischi connessi alla prevedibile escalation nucleare. Previsione che si rivelerà fondata, visto la corsa agli armamenti atomici che si scatenò in seguito, ma, oggi, abbiamo problemi più urgenti. Guardando, infatti, al surriscaldamento globale, agli incendi, e alle varie catastrofi naturali che ci dicono essere indotte senza ombra di dubbio dall’attività umana, viene il sospetto che non ci sia nemmeno da aspettare lo scoppio della Terza Guerra Mondiale per vedersi concretizzare alla lettera le preoccupazioni di Oppenheimer. Ma, in tutto questo, cosa c’entra Lewis Strauss, interpretato da un Robert Downey Jr, al solito ambiguamente sopra le righe e vero anti-protagonista del film? Lui è il villain certo, il cattivo, ma lo è in modo quasi speculare a come Oppenheimer è il “buono”, il protagonista in qualche modo positivo. Il film si muove, tra le altre cose, tra due ambientazioni, quella scientifica e quella politica; più specificatamente, tra quella legata alla meccanica quantistica e quella della cosiddetta “caccia alle streghe” del senatore McCarthy. Se è Oppenheimer ad orchestrare la prima, assurgendo a leader nella costruzione della prima bomba atomica, Lewis Strauss si adopera per affossarlo lavorando nell’ombra della seconda traccia. Per entrambi, il film prevede che debbano superare alcune prove, venendo sottoposti a giudizio: di una speciale commissione lo scienziato, del voto dei senatori il politico. Se Oppenheimer subisce comunque delle umiliazioni, a Strauss va anche peggio, perché per un vanaglorioso come lui rimanere per l’eternità nell’anonimato è forse la dannazione peggiore. Ma la cosa che inquieta maggiormente è che, in tutti i giudizi a cui sono sottoposti i personaggi nel film di Nolan, non è previsto né l’onere della prova da parte dell’accusa, né tantomeno una vera e propria difesa come previsto dal Diritto in uso nei paesi civili. Sarà forse un tecnicismo legato ai tipi di procedimento che sono raccontati dal film, tuttavia viene naturale chiedersi il perché Nolan sottolinei più volte questa cosa. Forse per suggerire che il paese –gli Stati Uniti degli anni Quaranta, non così diversi dagli Stati Uniti di oggi– che ha il triste primato di aver sganciato ordigni nucleari su città e non su obiettivi militari, non sia da considerare un paese civile?
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