1413_TARAS BULBA, IL COSACCO . Italia, Francia 1962; Regia di Ferdiando Baldi.

Gli anni Sessanta rappresentarono, per l’Italia, un punto
di svolta anche dal punto di vista cinematografico, con il boom economico del
famoso Miracolo Italiano che induceva il pubblico a passare oltre alle miserie nazionali,
magistralmente illustrate dal Neorealismo. Era il momento del cinema di
genere e, prima che le versioni italiane di western, gialli e thriller,
prendessero la ribalta, furono il gotico, il peplum e, più in generale, i film
storici, ad aprire la strada. Ferdinando Baldi si era già cimentato in qualche
opera di questo tenore, affrontando temi biblici, leggendari e storici e, nel
1962, si mette alla prova con l’epica cosacca dello scrittore Nikolaj Gogol’, Taras
Bul’ba. La produzione del film, nella penisola intitolato Taras Bulba,
il cosacco, è italo-francese e il produttore transalpino, Herni Zaphiratos,
quando deciderà di distribuire l’opera in patria, confonderà strumentalmente un
po’ le acque per lasciar intendere che, in quel caso, si trattasse di una
pellicola totalmente nuova. Nel 1964, infatti, in Francia, uscirà nelle sale Le
Fils de Taras Boulba, in buona sostanza lo stesso lungometraggio di Baldi,
ma spacciato per un’opera diretta da Zaphiratos. Il film si lascia vedere con
sufficiente trasporto, pur non essendo certamente un capolavoro della Settima
Arte. La prima cosa che salta all’occhio è il paragone con il coevo Taras il
magnifico, produzione hollywoodiana dello stesso anno. Ovviamente di primo
acchito lo scotto in termini di resa scenica è tremendo, per il film europeo,
essendo quello di J. Lee Thompson un colossal a tutti gli effetti. Tuttavia,
restando nel confronto, Taras Bulba, il cosacco si lascia forse
preferire per una migliore adesione al testo di Gogol’, autore del libro preso
a soggetto. Non è che sia un merito a prescindere, rispettare un testo come
fonte di ispirazione, questo è evidente, ma è un elemento certo che il
letterato russo aveva calibrato il suo narrare –con le necessità dell’epoca, come
è ovvio– ma il racconto mostra tutt’oggi un suo equilibrio. Il film con Tony
Curtis e Yul Brynner, per rendere digeribili alcuni passaggi ad un pubblico
diverso, enfatizza alcuni elementi che, a vederli oggi, appaiono un po’ fuori
luogo. In sostanza, nella sua povertà di mezzi a disposizione, la produzione
franco-italiana ricorda forse in modo più convincente il passato dell’epoca
rievocata dai fatti; il che è clamoroso, considerato la bellezza delle immagini
della pellicola americana. Eppure, le scene girate nella desolata landa
innevata, probabilmente vicino a Zagabria, nell’ex Jugoslavia, accompagnate dal
valido commento sonoro, di Guido Robuschi e Gian Stellari che, in qualche frangente,
riecheggia le melodie che diverranno caratteristiche negli spaghetti western,
reggono perfettamente il confronto e forse, come detto, si lasciano addirittura
preferire.

Tra gli interpreti, bene Vladimir Meda, nel ruolo di Taras Bulba, mentre
tanto Jean-François Poron, nel ruolo del figlio Andrei, che Lorella De Luca, in
quelli della principessa Natalia, lasciano il dubbio di avere un aspetto troppo
attuale. Questo è, per la verità, un limite già visto altre volte, in questo
ambito, e uno degli esempi più clamorosi è proprio Tony Curtis nel ruolo di
Andrei nella citata versione hollywoodiana. Forse, è proprio la necessità che
il figlio del protagonista sia un uomo più moderno del vecchio cosacco, ad indurre
gli autori ad enfatizzare eccessivamente la differenza. Rispetto al romanzo
originale, la trama subisce numerosi aggiustamenti, sebbene, almeno a grandi
linee, l’idea di Gogol’ venga rispettata. Tra le modifiche si nota subito una
relativamente maggior importanza data alla madre di Andrei che qui si intrattiene,
almeno nelle fasi iniziali, col figlio. Inoltre, è completamente rielaborato lo
sviluppo dall’assedio al castello di Dubno, con Andrei che vi viene fatto
prigioniero dai polacchi, riuscendo in seguito a fuggire. La battaglia, intanto,
volge a favore dei cosacchi, al punto che il principe polacco invoca pietà, chiedendo
che vengano risparmiati donne e bambini. La richiesta di Taras Bulba, come
baratto, è spiazzante: il capo cosacco vuole Natalia, la principessa, per farne
una schiava. A questo punto subentra la volontà ribelle di Andrei che prende la
ragazza e si rifugia con lei nel castello, peraltro ancora sotto assedio. Va
detto che, per quanto l’opera di Gogol’ non abbia bisogno di aggiustamenti, in
quanto l’epica che trasuda dalla sua prosa rende credibile qualsiasi cosa, la
scelta di Baldi, almeno per quel che riguarda la “sua” messa in scena, è anche
plausibile.

Il tradimento del secondogenito di casa Bul’ba nell’originale era,
se preso alla lettera, forse un po’ troppo repentino e scarsamente comprensibile.
Naturalmente Gogol’ se ne serviva per far ricercare altrove, rispetto ad una
scelta razionale e ben motivata, lo sprone all’azione di Andrij: era infatti il
folle amore intriso di romanticismo idealizzato a spingerlo al tradimento della
sua gente. In mancanza della capacità di dare corpo in modo così vibrante alla
storia e ai suoi protagonisti, andavano trovate delle motivazioni più accettabili
per lo spettatore cinematografico, e le scelte degli autori di Taras Bulba,
il cosacco, seguono in fondo questa condivisibile idea. Per quel che concerne
il punto cruciale della vicenda, ovvero l’assassinio di Andrij per mano
paterna, Baldi ammorbidisce almeno un poco il passaggio. Taras uccide il figlio
nel corso della battaglia, per quanto lo prenda di mira con estrema calma, e
con arco e freccia anziché il più “freddo” piombo delle armi da fuoco. La
principessa era morta poco prima, anch’essa colpita da una freccia cosacca, e i
giovani si congiungono quindi in una romantica morte. Taras, peraltro,
rivendica il suo ruolo centrale e, prendendo il cadavere del figlio tra le
braccia, prova a convincere il pubblico del XX secolo delle sue ragioni: “l’ho
ucciso, solo perché lo amo”, proclama, lasciandoci comunque atterriti. Tra le
curiosità di questa trasposizione del romanzo di Gogol’, si può citare anche una
novità nel valzer delle alleanze, che, per questo testo, cambiano da versione a
versione: nel romanzo si parla della promessa di non belligeranza fatta dal vecchio
etmano koševoj, il leader cosacco, ai tartari, mentre nel film di Lee
Thompson troviamo i polacchi alleati a più riprese coi cosacchi. In Taras
Bulba, il cosacco, sono invece polacchi e tartari ad allearsi in ottica
anti-cosacca e, questo, si può azzardarsi a scommetterci, sarebbe un’idea che
avrebbe l’approvazione perfino di Nikolaj Gogol’.

Lorella De Luca
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