654_LA MALA ORDINA . Italia, Germania, 1972. Regia di Fernando Di Leo.
Secondo capitolo della cosiddetta trilogia del milieu, il film La mala ordina di Fernando di Leo esaspera quell’aspetto spiazzante che comunica il protagonista delle sue storie, già presente nel precedente Milano calibro 9. Se Gastone Moschin nei panni di Ugo Piazza era indecifrabile per lo spettatore e per gli altri personaggi del film, ma sapeva bene a quale gioco giocare, il Luca Canali interpretato da Mario Adorf si trova esattamente nella posizione opposta. Qui il povero protagonista è al centro di un gioco di potere di cattivi ben più cattivi di lui, senza sapere il perché. E qui occorre ribadire, se mai ce ne fosse bisogno, che anche in questo film di Di Leo mancano completamente le figure istituzionali, o se si preferisce, i buoni, insomma. Qui ci sono i cattivissimi di New York che spediscono a Milano due sicari, Henry Silva e nientemeno che Woody Strode (una vera star di Hollywood), da una parte, e i cattivi della metropoli meneghina, capitanati da Don Vito Tressoldi interpretato da un durissimo Adolfo Celi, dall’altra. E poi c’è appunto Luca Canali, misero macrò, sfruttatore di prostitute, e quindi anche lui un cattivo ma nemmeno degno di rispetto, che finisce per essere designato come capro espiatorio pur essendo del tutto estraneo alla contesa. Lo smarrimento di Canali, reso in modo encomiabile dal solito bravissimo Adorf, è la sintesi stilizzata di una società alla deriva, senza punti di riferimento, senza vie di salvezza, ma in balìa degli avvenimenti.
Nonostante nel finale Canali se la cavi, riuscendo ad eliminare tutti i nemici dell’una e dell’altra fazione, non possiamo certo parlare di lieto fine: in fin dei conti un criminale di mezza tacca come il nostro è costretto, per poter sopravvivere, a diventare una sorta di ammazzasette. Un risultato che Canali non cerca di certo e che gli costa sangue, sudore e dolore, nonché la perdita della posizione agiata che si era ritagliato, alleviata dalla presenza al suo fianco di Nana, una deliziosa Femi Benussi. Tra l’altro, bisogna anche riconoscere come il film dimostri che la morale dello spettatore sia soggettiva: in un film del genere, si finisce per parteggiare per il protettore di prostitute, altrimenti figura disprezzata in quanto tale. Il primo significativo gradino, nella sua personale escalation, Canali lo compie quando gli ammazzano ex moglie (Sylvia Koscina, sempre bellissima) e figlioletta; la reazione del protagonista è da topoi del genere revenge-movie, solo che in questo caso il protagonista non è un uomo onesto e mite, ma un balordo che nella figlia aveva l’unica àncora con il mondo civile. Ma per concedere una sorta di finale positivo, Di Leo non manca di chiedere un ulteriore pegno, alla sua storia: viene infatti sacrificata una delle rade persone rispettabili del suo film, Eva (che deve classe e bellezza a Luciana Palluzzi) che, con uno slancio di generosità del tutto estraneo al resto dell’opera, permette a Canali di evitare l’agguato finale, rimanendo però al suo posto sul terreno. Terreno che è quello di un cimitero di automobili, dove il film, non a caso, si chiude. Di Leo non fa sconti nemmeno alle macchine.
almeno il povero gatto si è salvato? :-(
RispondiEliminaSe lo saranno fatto arrosto
RispondiEliminaspero di no, amo i gatti...
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