648_LITTLE SISTER (Umimachi Diary). Giappone, 2015. Regia di Hirokazu Kore’da.
Non fosse per lo schermo TV, per altro sempre spento, posto vicino al tavolo dove si pranza, o per gli immancabili smartphone, Little Sister potrebbe essere ambientato in un luogo completamente rimasto estraneo alla globalizzazione. Il film del 2015 di Hirokazu Kore’da ci racconta di un remoto angolo del Giappone, raggiunto solo da un banalissimo treno che poco a che vedere con i modernissimi shinkansen, i convogli ad alta velocità che collegano i principali centri del paese. Questa nota bucolica, legata all’ambientazione, sembra essere davvero importante, visto che la macchina da presa del regista giapponese è in costante e lento movimento mentre si guarda intorno quasi con circospezione, attenta a cogliere ogni dettaglio di un mondo ancora legato alla tradizione giapponese. Se uniamo questa impostazione quasi cartolinesca ad alcuni passaggi commoventi seppur trattenuti col tipico pudore orientale, il quadro generale, ancor più in un film di Kore’da, può anche infastidire. Ma non è un sentimento legittimo: il regista è davvero convincente nel suo raccontare, la storia ha passaggi poetici e delicati e l’autore se li prende giustamente tutti. Il racconto è tratto dal manga Our little sister – Diario di Kamakura di Akimi Yoshida, a cui vanno quindi ascritti il plot di base, impostato sulla vicenda delle sorelle Kôda, Sachi (Haruka Ayase), Yoshino (Masami Nagasawa) e Chika (Kaho) a cui si unirà Suzu Asano (Suzu Hirose), figlia di secondo letto del padre. E’ perciò evidente che l’impostazione è basata unicamente su figure femminili, mentre ai maschi restano solo gli scampoli della storia.
Ed essendo un racconto di una ragazza giovanissima, che si inserisce all’improvviso nel nucleo famigliare delle sorellastre ben più grandi di età, è quasi come si trattasse di una figlia. I figli, e non solo al cinema, in genere rappresentano il futuro e, quindi, se in una storia che ci parla del domani, le posizioni di rilievo sono unicamente femminili, è evidente dove il regista ponga il suo centro di gravità. Ma, se il futuro è femmina, come si potrebbe sintetizzare in modo estremo, Kore’da non manca di riservare ai suoi personaggi femminili critiche anche salate. Ma andiamo con ordine: intanto è importante sottolineare come per parlare di futuro, attraverso la storia di una giovanissima ragazza, la si tolga dal suo contesto naturale, ovvero la famiglia tradizionale. Questo pur in un’ambientazione che, abbiamo detto, sia fortemente ancorata al passato: il senso sembra essere che il progresso è arrivato a distruggere le istituzioni tradizionali, come la famiglia, fin nei luoghi più remoti. Non c’è più la famiglia, composta da genitori e figli: qui c’è una figlia, che altre figlie, solo un po’ più grandi, accettano come una di loro con un senso di solidarietà che è di buon auspicio per il futuro. Istinto materno, prevalentemente di Sachi, si potrebbe dire per spiegare il lodevole gesto; ma, e qui arrivano le prime stoccate di Kore’da, le parole di Yoshino gettano sulla questione una luce un po’ diversa. La seconda delle sorelle, in uno dei tanti contrasti con la primogenita, la accusa esplicitamente di aver accolto in casa Suzu solo per far dispetto alla loro madre, latitante da tempo. Suzu è infatti il frutto del tradimento del padre, e per la madre, che ha abbandonato anch’essa le tre figlie dopo che il marito se n’era andato con un’altra donna, la figlia di quest’ultima è certamente un elemento di disturbo. In effetti, quando la donna fa la sua ricomparsa, si trova spiazzata dal trovarsi, in quella che è in fondo ancora la sua casa, la figlia della donna che le aveva rubato l’uomo. Però, va detto, che pur con un certo imbarazzo, la madre delle tre ragazze si rivelerà migliore di come la dipinga Sachi. Questo anche se sua zia, sorella della nonna delle ragazze, addirittura la accusa per aver perso il marito, sottolineando come ci sia una sua corresponsabilità nel crollo dell’unione matrimoniale. In realtà si può affermare che il padre, il cui funerale apre il film, fosse un tipo, per così dire, intraprendente, visto che il fratellino di Suzu, che vediamo appunto nella cerimonia, è di un’altra donna ancora. L’inconsistenza delle figure maschili, (oltre a quella del citato padre, si va dall’uomo sposato che vediamo insieme a Sachi, agli amanti di Yoshino, allo strampalato compagno di Chika) sembra riflettersi sulla precarietà dell’istituzione famigliare. Tanto che l’impressione è che le ragazze decidano, in conseguenza, di formare un nucleo famigliare in proprio, di cui Suzu è la proiezione verso il futuro.La piccola ha una specie di fidanzatino, compagno di scuola e nella squadra di calcio, che sembra essere, almeno in prospettiva, più affidabile degli altri maschi della storia. Anche se, in fondo, il collega di lavoro di Chika è bizzarro, ma non negativo, e anche il nuovo capoufficio di Yoshino potrebbe, interpretando alcune inquadrature, essere interessato alla ragazza. E pare proprio una brava persona e non il solito sfaccendato che la secondogenita era solita frequentare. Così quella più a mal partito, in conclusione della vicenda, finisce per essere proprio Sachi, figura morale della storia che di fatto si sostituisce ai genitori nell’atipica famiglia creatasi. Ma, e qui torna un po’ di veleno nella messa in scena di Kore’da, è sorprendente scoprire che l’uomo con cui intesse la sua relazione sia già sposato. Una debolezza, quella di interessarsi a uomini già sistemati, che proprio una persona come lei dovrebbe saper bene andrebbe evitata. Le parole di Suzu, in questo senso, la feriscono al di là degli intenti della ragazzina (che non poteva sapere), perché lei stessa si rende conto di essere in errore. Come si vede, pur in una storia nel complesso intrisa di buoni sentimenti, ci sono i passaggi critici che, in un simile contesto, finiscono anche per risaltare di più. Così, nonostante la sostanziale esaltazione, Kore’da non risparmia alla figura femminile acute critiche. Le sorelle Kôda rappresentano tre esempi diversi di donna: Sachi è integerrima, rigorosa, perfino eccessivamente responsabile, tanto da assumersi ruoli e colpe non sue. Ma ha anche un lato oscuro: frequenta un uomo sposato, non è limpida in certe sue scelte ed è troppo rancorosa nei confronti della madre. E’ il personaggio principale del film, nel senso che sulle sue spalle, sulle sue decisioni, si appoggia il racconto: sostanzialmente in corso d’opera risolve i suoi problemi, lasciando partire da solo l’uomo in questione e riappacificandosi con la madre. Meno eclatanti gli sviluppi delle sorelle, anche se Yoshino, anima ribelle, un filo dissoluta con gli uomini e dedita all’alcol, nel finale, complice un altro funerale, matura notevolmente. Più sfumata la posizione di Chika, sebbene nel suo accettare la vita come viene, con la naturalezza di chi si affida ai propri sensi, ai ricordi dei sapori o degli odori, abbia anch’essa un’accezione positiva. Per quel che riguarda Suzu, il discorso rimane sospeso, ma visto la famiglia che si è costituita alle sue spalle, nonostante i tanti funerali della storia di cui è protagonista, c’è da essere ottimisti. E’ una donna e saprà senz’altro cavarsela.
Suzu Hirose
ho sentito parlare bene del manga... il film è di quelli che vedrei volentieri, magari proprio in una di queste giornate autunnali, mi sembra adatto :)
RispondiEliminaSorseggiando un buon té
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