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venerdì 9 ottobre 2020

LE MANI SULLA CITTA'

647_LE MANI SULLA CITTA' Italia, 1963. Regia di Francesco Rosi.

L’aspetto più interessante di Le mani sulla città il regista Francesco Rosi si premura di chiarirlo in modo inequivocabile: “I personaggi e i fatti sono immaginari ma autentica è la realtà sociale e ambientale che li produce” recita infatti una didascalia esplicativa. E Rosi rincara la dose, in questo senso, con una messa in scena credibilissima, (che tiene conto dell’eredità neorealista), con ricostruzioni di fatti e situazioni plausibili, a cui aggiunge alcuni tocchi metalinguistici nella stessa direzione. L’interprete che veste i panni di De Vita, consigliere dell’opposizione di sinistra, è Carlo Fermariello, nella realtà sindacalista e uomo politico, così come tra gli addetti della stampa presenti al processo finale si possono scorgere veri giornalisti e non semplici comparse. Insomma, Rosi cerca di far capire che, anche se nel suo film c’è Rod Steiger, che è un attore di fama internazionale, in Italia non serve fare della finzione, non serve avere troppa immaginazione, per imbastire una trama di intrighi, giochi di potere e corruzioni: basta raccontare la realtà. Il succo del film è presto detto: Napoli, in un’operazione di squallida speculazione edilizia, si stanno demolendo alcuni fabbricati senza aver svolto gli adeguati accertamenti preventivi. Risultato: crolla un palazzo, due morti e un bambino ferito gravemente. Ma naturalmente l’inchiesta verrà insabbiata e il responsabile di ciò, Edoardo Nottola (interpretato magistralmente da Steiger), non solo non pagherà per le sue colpe ma otterrà addirittura la poltrona di assessore comunale. Il tutto seguendo in modo quasi documentaristico, ben anticipato dal simbolico volo panoramico sui titoli di testa, tutte le trame, gli accordi, gli scambi, insomma, il tipico campionario dell’italico malcostume della corruzione pubblica. La bravura di Rosi è nella messa in scena nuda e cruda, coadiuvato in questo dall’efficacia degli attori, tra cui, oltre a Steiger, spiccano Salvo Randone e Guido Alberti. Ma attenzione: non si pensi che il cinema in questo caso abbia lasciato spazio ad una mera rappresentazione del reale e quindi risieda in questa sua discrezione la qualità dell’opera. Il cinema è esattamente quello che abbiamo visto: la capacità, lavorando in sottrazione o sopra le righe, a seconda della sensibilità dell’autore o delle esigenze contingenti, di arrivare allo scopo. E dopo aver visto Le mani sulla città, nessuno potrà dire di non aver colto se non proprio compreso, e averlo fatto proprio grazie all’opera di Rosi, il peggiore dei mali che affligge l’Italia. E tutto questo in soli 105’ minuti: potenza del cinema. 







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