381_CARRIE - LO SGUARDO DI SATANA (Carrie). Stati Uniti 1976. Regia di Brian De Palma.
Prima trasposizione cinematografica di un libro di Stephen
King, Carrie – Lo sguardo di Satana
di Brian De Palma è uno dei migliori esempi di valorizzazione sullo schermo di
un’opera dello scrittore nato nel Maine. Curiosamente, Carrie, è anche il primo lavoro pubblicato dallo scrittore e,
vedendo il risultato della versione cinematografica, era lecito attendersi un
avvenire radioso per il futuro re del terrore
letterario anche in questo ambito. In realtà, al di là dell’impatto
mediatico ed economico, non saranno poi molti i risultati davvero memorabili di
opere kinghiane sullo schermo: e
raramente in esse il regista di turno riuscirà a valorizzare il testo
mettendoci qualcosa di suo senza tradirne lo spirito alla base. Brian De Palma
invece ci riesce: in Carrie – Lo sguardo
di Satana rimane ben visibile l’impronta dello scrittore, ma certamente il
forte accento della macchina da presa del regista italoamericano è una firma
indelebile sul lavoro ultimato. A Stephen King possiamo ricondurre tutta
l’impostazione della vicenda: l’emarginazione della giovane protagonista
isolata dai suoi coetanei e la religione come influsso negativo e costrittivo
per lo sviluppo della sua personalità. A ciò, naturalmente, King aggiunge il
carico dei poteri telecinetici di Carrie, per alimentare l’enfasi della storia,
da buon scrittore dell’orrore. L’importanza di stabilire le responsabilità
complessive del film non è solo un vezzo curioso: Stephen King è un tale
monumento nella cultura horror che non può essere relegato unicamente ad autore
del soggetto alla base del trattamento per la riduzione cinematografica, anche
perché la sua prosa evoca immagini in modo così considerevole da sembrare lei
stessa già una sceneggiatura.
Ma in questo caso De Palma ha una regia
autorevole, personale, se vogliamo in qualche accenno anche eccessiva e forse
un filo autocompiaciuta (l’uso degli split-screen nel finale, la scena del
ragazzo in bicicletta che slalomeggia tra la fila di alberi, la panoramica
circolare insistita nella scena del ballo) ma, alzando i toni del suo lavoro,
il regista lo armonizza con la matrice del racconto. Carrie – Lo sguardo di Satana è un film horror e, per evidenziarlo, De Palma ricorre ai trucchi del
mestiere, non solo alla regia ma, ad esempio, anche alla musica di Pino
Donaggio, in qualche passaggio riecheggiante addirittura le quattro note di
violino prese da Psyco di Alfred
Hitchcock.
Non è l’unico omaggio a questo film del maestro del brivido, visto
che la scuola frequentata dagli studenti di Carrie
– Lo sguardo di Satana è il Bates High, con evidente riferimento a Norman
Bates, il protagonista della celebre opera di Hitch. Ma non si tratta di
citazioni estemporanee e nemmeno semplici omaggi alla bravura del genio
inglese: a Psyco, alla simbolica
architettura intrinseca al Bates Motel e alla casa, ai rapporti con la madre
oppressiva, alle conseguenti difficoltà di relazionarsi per i figli, al ruolo
della religione e all’idea di sessualità legata alla cultura puritana
dell’America, a tutta questa strutturata impostazione, De Palma si appoggia
cogliendo i punti in comune col libro ed enfatizzandoli con la sua messa in
scena. Spesso, in caso di riduzione da libro a film si ha l’impressione di
occasione mancata, di risultato non del tutto centrato. Questo, principalmente,
perché se il libro ha un forte potere evocativo può sfruttare l’immaginazione
del lettore, il che lo pone praticamente senza alcun limite. L’immagine sullo
schermo, e lo schermo stesso, sono invece limiti entro i quali il regista
interpreta e fissa il racconto, e non necessariamente la sua immaginazione può
avere gli stessi riferimenti, la stessa intensità o lo stesso gusto valevoli
per tutti gli spettatori.
Questo processo, che non a caso si definisce riduzione, è ancora più rischioso con l’horror, perché è noto che la paura
maggiore nell’animo umano è legata al buio e quindi all’ignoto, ovvero ciò che
ancora non si vede, che pare evidente sia meno complesso raccontare che
mostrare. E’ chiaro che il cinema ha le sue contromosse rispetto alla
letteratura, tra le quali cruciale è la colonna sonora, a cui De Palma infatti
delega particolare importanza. Ma è anche con la regia, con la capacità
attraverso l’uso delle inquadrature, delle sequenze, del fondamentale ruolo del
montaggio, che un racconto filmico può ribaltare a suo vantaggio gli intrinseci
rischi di un adattamento da un romanzo e, grazie alla sua classe, il regista
nato a Newark compie pienamente l’impresa.
Come altre volte in De Palma lo
schema narrativo presenta un ripetuto raddoppio: la scena iniziale, con la
scoperta del sangue durante la doccia, vede soccombere Carrie sotto la pioggia
di assorbenti delle compagne; nel finale, dopo la doccia di sangue destinata
alla protagonista, saranno le altre ad essere distrutte dalla pioggia di elementi
scatenata da questa. Una scena riflessa nel suo ribaltare gli esiti, e del
resto allo specchio ci sono altre due scene, quella in casa, dove alle spalle
di Carrie è riflesso un Cristo, e quella in palestra, in cui Miss Collins
(Betty Buckley) invita la ragazza a guardarsi; è forse non un caso che è nel
primo passaggio che si manifestano i fenomeni paranormali che manderanno in
frantumi lo specchio stesso.
Questo dualismo è un po’ diffuso in tutta la
struttura narrativa, dalla favola di Cenerentola, vero e proprio sogno ad occhi
aperti che si trasforma in un incubo, alla ragazza che appunto da principessa
diventa una strega, all’osceno crocefisso che anticipa la fine della madre
Margaret (Piper Laurie, inquietante nella sua sciatteria), alle due coppie di
ragazzi, una positiva e l’altra negativa. Del resto De Palma è un regista molto
attento a dare una composizione narrativa alle sue opere, che certamente ne
rimangono marchiate in modo evidente. Tuttavia non va assolutamente sottovalutata
l’importanza della recitazione: nessuno, per primo proprio De Palma, credeva in
Sissy Spacek per il ruolo di Carrie.
Eppure è proprio la sua capacità di trasformarsi, da timida e imbranata ragazzina ad autentico diavolo vendicatore, a rendere il suo personaggio uno dei più memorabili della storia del cinema horror. Il finale apocalittico è uno dei passaggi più folgoranti ed intensi che si siano mai visti e, al di là dell’innegabile efficacia della regia, degli effetti speciali, della musica, e di tutti questi aspetti tecnici, è proprio lo sguardo allucinato della Spacek, con gli occhi azzurrissimi che brillano nella figura completamente lordata di sangue, a risultare la vera arma vincente. Il finale è davvero drammatico e travolgente e non sembra lasciare molte speranze: in pratica Carrie spazza via tutti e l’unica che si salva, Sue (Amy Irving), non ne esce certo indenne.
Anche se i problemi del controfinale, più strettamente legati alle dinamiche del genere che vuole una chiusura
destabilizzante anche quando tutto sembra ormai terminato, potrebbero più che
altro essere connessi a questa pratica narrativa. Certamente significativa è
invece la generale ecatombe: una società nella quale prospera il puritanesimo
deviato e una malsana idea di religione (il blasfemo Cristo con gli occhi
diabolici) non è conciliabile con la diffusa ‘emancipazione’ troppo spesso vuota e superficiale. Il mix è letale
e il risultato profetizzato da De Palma è il collasso (sia dell’istituto ma
ancor più esplicito della casa). In un simile contesto risultano vani anche gli
sforzi delle persone più coscienziose, come Miss Collins, l’insegnante che si
dimostra solidale con Carrie, o la citata Sue che le cede il ragazzo per il ballo di fine corso per aiutarla ad
inserirsi.
Anzi, la situazione è talmente compromessa che anche questi
atteggiamenti, ovvero la combine tra
Sue e Tommy (William Katt), con quest’ultimo convinto dalla fidanzata ad
invitare Carrie, risultano decisivi nella riuscita del progetto ai danni
dell’ingenua ragazza. Chris (Nancy Allen), punita per aver bullizzato Carrie, con l’aiuto di Billy (John Tavolta), vuole
vendicarsi contro la poveretta, ma ci riuscirà solo grazie ai tentativi di Miss
Collins, Sue e Tommy di coinvolgere questa nella vita sociale. Come si vede,
anche da questa rapida sinossi, il ruolo delle figure femminili in questo
racconto è centrale: Carrie è la protagonista; la madre è colpevole della sua
mancata capacità di inserimento, mentre il padre è del tutto assente; sono le
ragazze a prenderla in giro, l’unico maschio che fa concretamente qualcosa di
simile è il bambino con la bicicletta; tra le compagne, la nemica giurata è
Chris mentre Sue prova a diventare solidale con lei. Anche tra le coppie il
ruolo trainante è sempre quello femminile: detto del padre assente, tra i
docenti, Miss Collins è una figura positiva, il direttore dell’istituto più che
esserlo negativa è distratto (manco si ricorda il nome corretto, chiamando ripetutamente Cassie la protagonista); evidente poi la supremazia
femminile tra le coppie di giovani, laddove Sue convince facilmente Tommy ad
invitare Carrie al ballo nella coppia positiva,
mentre in quella negativa Chris
plagia Billy per aiutarla nel suo piano.
Spesso Brian De Palma è stato accusato di essere un autore
misogino: anche in Carrie – Lo sguardo di
Satana si potrebbe cogliere, soprattutto nelle parole della madre della
protagonista, il marchio diabolico impresso sulla donna, debole, corrotta, punita da Dio con la sofferenza delle
mestruazioni e del parto. Ma si tratta di un’idea malsana, e mostrata
chiaramente come tale, mutuata da un errata e deviata interpretazione della
religione. Al contrario il testo, con il parallelo tra l’acquisizione di
consapevolezza per i poteri soprannaturali di Carrie e la sua maturazione
sessuale, propone una valorizzazione del ruolo della donna, tanto che il
termine miracolo, ricercato in
biblioteca dal ragazza per comprendere la natura delle manifestazioni
telecinetiche, ben si adatta anche al fenomeno della maternità (e di riflesso,
del mestruo). L’emarginazione subita da Carrie per il suo essere diversa,
perdente, inferiore, quando invece è supernaturale,
diviene così una metafora per mostrare la condizione sociale della donna,
marchiata dal disprezzo proprio per quelle sue peculiarità che ne sono invece
il valore inestimabile. Del resto, se la rappresentazione femminile nel film è
diversificata (Miss Collins e Sue ruoli positivi, Chris negativo, le altre meno
schierate), gli uomini fanno tutti una figura marginale. Il padre assente, il
direttore dell’istituto distratto, Tommy quantomeno superficiale nel flirtare
con Carrie approfittando della circostanza, Billy assoggettato dal desiderio
sessuale: insomma, si potrebbe ben dire che Carrie
– Lo sguardo di Satana sia un film femminista.
Di sicuro è un capolavoro.
Di sicuro è un capolavoro.
Amy Irving
Sissy Spacek
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