1678_BUTTERFLY VISION (Bachennya metelyka), Croazia, Repubblica Ceca, Svezia, Ucraina 2023. Regia di Maksym Nakonechnyi
Dopo circa un’ora di film, Lilya (Rita Burkovska), la protagonista di Butterfly vision, in mimetica da guerra, arriva a Troitska Ploshcha, un’area aperta nei pressi dello Stadio Olimpico di Kyiv. Lo spiazzo è caratterizzato da una serie di linee convergenti verso il centro, un disegno geometrico formato dalle mattonelle della pavimentazione. Dall’alto, la piazza sembra quasi una sorta di mirino: e, in effetti, è stata colpita con una bomba proprio al centro, proprio al crocevia delle linee. Nella loro opera distruttrice, gli aggressori non si sono peraltro limitati a questo sberleffo quasi umoristico, come si può vedere dando una rapida occhiata in giro: palazzi ed edifici, stadio olimpico compreso, portano i pesantissimi segni dei bombardamenti. È una delle «visioni della farfalla» a cui si riferisce il titolo, e la farfalla in questione è naturalmente Lilya che, infatti, sotto le armi aveva il nome di Butterfly, farfalla, appunto. Queste visioni apocalittiche sono legate, naturalmente, allo stato di guerra del paese, ma, in modo più specifico, alla diretta esperienza avuta dalla ragazza, durante il suo servizio nell’esercito, in qualità di ufficiale nella ricognizione aerea militare. Lilya, nel Donbas, è stata catturata dai separatisti, tenuta incarcerata una decina di mesi e poi rilasciata nell’ambito di uno scambio di prigionieri: durante la detenzione è stata torturata e stuprata. I controlli medici a cui viene sottoposta dopo la liberazione stabiliscono che è rimasta incinta. Il marito, Tokha (Valivots Liubomyr), non accetterà mai la cosa, che la stessa donna, ovviamente, non è che riesca a gestire con disinvoltura. L’ipotesi di un aborto è presa in considerazione, ma non è una cosa che si possa decidere così, a cuor leggero. Il che non rende certo felice il marito, un veterano ora aggregato ad una milizia ultranazionalista le cui operazioni non sono del tutto edificanti: in un raid contro un campo rom, ci scappa un morto tra gli inermi civili. Tokha, insieme ai suoi degni colleghi, è sottoposto a processo ma viene rilasciato quando si scopre che sua moglie, l’eroina appena rilasciata dopo una lunga prigionia, è incinta. Uno youtuber filorusso insinua però qualcosa a proposito di questa gravidanza e Tokha non regge oltre, mettendo tragicamente fine alla sua vita. Intanto, Lilya, pur tra mille travagli, ha infine partorito una bambina, ma decide di non tenerla e la lascia in affido ad una famiglia. Poi si reca allo Stadio Olimpico di Kyiv: le linee della vicina piazza convergono verso il punto centrale, intonse, e li vi si uniscono. Si uniscono esattamente come potevano essere unite la sua vita, quella di suo marito e quella dei loro ipotetici figli. La sua visione, la Butterfly vision, è stata davvero profetica, la guerra ha distrutto la sua famiglia: lei all’estero, il marito morto suicida, la figlia in adozione.
La paura maggiore, negli ucraini, è quella di venire letteralmente cancellati dall’aggressione russa, e il film di Maksym Nakonechnyi è un valido esempio di questo diffuso timore. La famiglia della protagonista è smembrata, sparpagliata, disonorata, anche chi sopravvive è costretto ad emigrare, come Lilya e sua madre; e la piccola bambina è adottata da una coppia –che parla in inglese, il che lascia supporre non si tratti nemmeno di ucraini– che spera comunque di andarsene all’estero a breve. Nel complesso Butterfly vision è un film che propone alcuni temi importanti con un’estetica poco formale, al punto che spesso sembra di essere di fronte ad un documentario o uno degli ibridi con cui il cinema ucraino sta proponendo spesso la guerra russo-ucraina. Formati diversi, come la scena del citato youtuber o le immagini viste dalla soggettiva di un drone di ricognizione, si alternano al normale flusso video; ma anche le immagini tradizionali, sono prese senza le tipiche attenzioni della regia, proprio come capita in un filmino amatoriale. Le visuali dall’alto sono spesso accostate a quelle dell’ecografie, un rimando al tema portante del racconto; queste «visioni della farfalla» sono introdotte da veloci disturbi del flusso video, definiti in genere «glitch», a significare la distorsione della realtà per far spazio appunto a flash di disparate fonti, come anche il subconscio o i traumatici ricordi della protagonista. L’idea di utilizzare il glitch come strumento di montaggio, rimanda direttamente a This rain will never stop [This rain will never stop, Alina Gorlova, 2020] di cui Nakonechnyi era stato produttore. Il regista è un progressista convinto e nel film si può osservare la sua ferma denuncia a quei fenomeni effettivamente presenti in Ucraina, con la destra radicale intollerante nei confronti di minoranze etniche quali Rom o di altro tipo, come omosessuali, lesbiche e transgender. Eppure è grazie a lui, oltre che alla co-sceneggiatrice Iryna Tsilyk – apprezzata regista di The Earth is blue as an orange [The Earth is blue as an orange, Iryna Tsilyk, 2020]– se abbiamo uno sguardo sulla questione dell’aborto meno arroccato su posizioni pregiudiziali di quanto siamo abituati a vedere. Nel racconto del film, non è ben chiaro quale sia l’orientamento politico di Lilya: è un militare, certo, ma si occupa di ricognizioni aeree, il che, simbolicamente, potrebbe essere inteso come la caratteristica di chi cerca di guardare meglio, per farsi un’opinione. C’è un accenno al Maidan, le proteste note come Euromaidan, che avevano, tra le altre correnti che le animarono, una forza progressista nel senso che diamo noi in occidente al termine; inoltre, la ragazza si mostra sconvolta quando scopre che il marito e i suoi camerati hanno ammazzato un civile nell’incursione al campo rom. Più semplice inquadrare Tokha, che fa volontariamente parte di una milizia squadrista di evidente matrice fascista e ultranazionalista. Eppure, tra i due, è proprio l’uomo a reagire più negativamente alla notizia che la moglie sia rimasta incinta in seguito allo stupro da parte dei secessionisti, e a caldeggiare l’aborto. Per essere onesti, la posizione di Lilya nel merito non è così definita, del resto si tratta di una persona fortemente traumatizzata e le sue reazioni o decisioni sono quindi influenzate da questo stato. O, forse, è proprio la sua visionarietà, a permetterle di avere uno sguardo di insieme che rivela tutti gli aspetti della questione, rendendo una decisione simile davvero dolorosa, almeno da un punto di vista etico e morale; in ogni caso impossibile da prendere per partito preso. Questo quadro è, in concreto, l’opposto di quello a cui siamo abituati ad ascoltare, nel dogmatico racconto della nostra élite culturale: qui il reazionario è favorevole all’aborto, mentre la persona di prospettive più ampie si pone almeno qualche dubbio. Ma, forse, in questa considerazione c’è almeno un errore: d’accordo su come siano inquadrati i conservatori, ma sono davvero persone aperte al dubbio, al confronto, i cosiddetti progressisti? Anche quando si toccano i loro insindacabili dogmi?
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