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giovedì 1 agosto 2024

WONDER WOMAN

1522_WONDER WOMAN . Stati Uniti 2017; Regia di Patty Jenkins.

C’è un tedesco, un inglese e un americano… ricordate le famose barzellette che cominciavano in questo modo? Ecco, per comprendere, almeno in parte, questo Wonder Woman della regista Patty Jenkins, possiamo partire da lì, in modo certo imprevedibile visto che sia protagonista che regista sono in realtà due donne. Ma va bene uguale; l’ambientazione è la Grande Guerra e come dicevamo abbiamo un tedesco che è cattivo, un inglese che è più cattivo (e scusate lo spoiler) e un americano che è quantomeno equivoco: è americano ma lavora per gli inglesi mentre si finge tedesco. D’altronde è una spia, lo ammette lui stesso come se fosse qualcosa di cui vergognarsi, e sempre per sua ammissione è “bugiardo, assassino e contrabbandiere”. A questo punto, meno male che c’è almeno una donna, verrebbe da dire; e che donna, è Wonder Woman! Dunque: lei in realtà è una Dea ed è greca, vive in un’isola che sembra il paradiso perduto all’alba dei tempi o giù di lì e finisce nella Grande Guerra per un qualche varco temporale di cui ci risparmiano (siano benedetti sceneggiatori e regista) la spiegazione. Ora riannodiamo il tutto: Diana (al secolo Wonder Woman) è donna proprio come la Natura; il fatto che sia greca ci dice che rappresenta anche l’inizio della nostra Civiltà, quella cosiddetta occidentale. Il generale tedesco Ludendorff e l’inglese sir Morgan sono nemici, ma è un confronto cattivo vs cattivo, che ben esprime il decadimento dell’Europa. Gli americani, rappresentati da Steve Trevor, il personaggio macho della storia, sono gente quantomeno ambigua; sembrano essere dalla parte giusta, anche se si fa un po’ fatica a crederci (Trevor è una spia e mente per mestiere). Ma chiedete al Capo (un pellerossa americano capitato lì chissà come) se possiamo ritenere davvero loro i buoni della faccenda. Le origini dei personaggi (Grecia-Germania-Inghilterra-Stati Uniti) rappresentano per sommi capi l’evoluzione della società occidentale, che dalla Grecia si è spostata via via verso ovest, fino ad arrivare ai tempi odierni con l’egemonia americana. Questo percorso ha portato uno sviluppo tecnologico, ma anche un allontanamento dalla Natura (si veda l’impietosa differenza tra gli scenari dell’isola greca e la Londra di inizio secolo scorso), e dalla rettitudine morale. Pensare di tornare al passato non è possibile; non serve infatti uccidere Ares, perché il seme dell’odio è ormai germogliato in ognuno di noi. Neppure si può però negare che in ognuno di noi ci sia anche del bene, e l’esempio eclatante nel film è costituito dal sacrificio eroico dell’americano. 

Questo passaggio può essere equivocato: si può infatti pensare che Steve Trevor rubi la scena a Diana, con un sacrificio tanto importante. E per chi volesse vedere in questo film una rivendicazione femminista, suonerebbe un po’ come una beffa: sul più bello, il campione americano rivendica la superiorità eroica maschile sul gentil sesso. Questo però è un modo maschile di vedere le cose, con l’idea che l’eroe sia leader anche nel sacrificio; la donna, sembra dirci la regista Jenkins, ha invece un’idea di comprensione anche nella forma eroica, per cui Wonder Woman trionfa anche grazie al sacrificio di Trevor ma non ne viene sminuita. E Diana, nel finale del film, lo dice esplicitamente all’americano: “hai vinto”, dice lui; “abbiamo vinto”, risponde lei.
E anche dal punto di vista visivo, unite ai classici effetti speciali roboanti, il film presenta delle peculiarità specifiche: le scene degli dei, che ricordano i grandi affreschi della nostra cultura artistica, oppure i combattimenti di Diana simili a balletti con sfoggio di forza e agilità mai disgiunte da una notevole dose di grazia e bellezza.
Ora, a parte questi aspetti, il film potrà anche sembrare banale; va bè, è un film di super-eroi, mica un Kieslowski. Però, al di là della risposta scontata (ma tant’è, sacrosanta) ossia quello che conta è solo l’amore, questo Wonder Woman ci mostra un modo diverso di essere Eroe, un modo femminile (sì anche testardo, irragionevole, ecc. ecc.) e per questo molto interessante. E’ come se Diana risplendesse sui compagni di ventura, che per lei provano ammirazione, attrazione, mai invidia.
Questa è la vera grande lezione che possiamo imparare da questo film: la superiorità di Diana non è mai un disonore per gli altri.
E sappiamo (o quantomeno speriamolo) che in ogni donna c’è un po’ di Wonder Woman;
quindi regoliamoci. 


Gal Gadot 





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