1458_1917 . Regno Unito, Stati Uniti 2019; Regia di Sam Mendes.
Si dice che il montaggio sia la vera anima del cinema: è attraverso il lavoro di taglia e incolla nella sala di montaggio che il film prende il suo ritmo ma, più che altro, prende vita. Questo in linea generale. Poi ci sono i geni come Alfred Hitchcock che, nel loro approcciarsi alla Settima Arte, provano volutamente ad andare contro le consuetudini, usando poi i risultati anticonvenzionali in modo consapevole per un preciso scopo. Come in Rope - Nodo alla gola, film del 1948 girato con dieci lunghi piano-sequenza poi assemblati in modo da sembrare un’unica lunga ripresa. L’assenza degli stacchi, tra una ripresa e l’altra, tra un primo piano e un campo medio, toglieva fiato alla narrazione, come da un film che si intitola Nodo alla gola è lecito attendersi. Sam Mendes, talentuoso regista inglese, conosce evidentemente Hitchcock e il suo cinema e se ne serve, come spunto d’ispirazione, per costruire 1917, uno splendido film girato come fosse composto da due lunghissimi piani-sequenza, interrotti unicamente dal momento in cui il protagonista, il caporale Schofield (George MacKay) perde i sensi. Tecnicamente il risultato è ottenuto anche in questo caso assemblando una serie di lunghe e complicatissime (da girare) riprese. In ogni caso il risultato finale è stupefacente; oltre a lasciare letteralmente senza fiato. Un risultato magistrale, 1917 è un capolavoro assoluto, ottenuto contravvenendo una delle regole comuni del cinema, l’uso sapiente del montaggio. Naturalmente anche in 1917 c’è il montaggio, per assemblare i lunghi piano-sequenza, ma limitato nella quantità e, in ogni caso, la sua funzione è quella di nascondersi, essere invisibile. Non sarà l’unico caso in cui Mendes ribalta le consuetudini del cinema classico, del resto l’epoca classica, se così si può definire, è finita da un pezzo; eppure il regista inglese riuscirà, proprio manipolando gli stilemi consueti, a fare un film classico. Cosa che, di questi tempi, è assai difficile da vedere sugli schermi. La cosa che ci dice che 1917 è un film classico è principalmente l’estrema funzionalità in rapporto all’apparente semplicità complessiva; a partire dalla trama, ad esempio: i caporali Schofield e Blake (Dean-Charles Chapman) devono avvisare il colonnello Mackenzie (Benedict Cumberbatch) di non lanciarsi all’attacco col Secondo Battaglione dei Devonshire Regiment; finirebbero in una trappola dei tedeschi.
Ovviamente ci sono una serie di implicazioni: il fratello del caporale Blake è un tenente (Richard Madden) nel citato Secondo Battaglione e il comando ritiene che questo possa essere uno sprone per i due caporali affinché si prodighino al massimo per portare a termine la missione. Per arrivare a destinazione i nostri due eroi dovranno passare attraverso la terra di nessuno, la striscia che divideva le due trincee. Un’area irta di reticolati, tempestata da profondi ed insidiosi crateri da esplosioni, che spesso intrappolavano i soldati che sprofondavano nei fondali fangosi. In questa prima fase non ci sarebbe però stato il pericolo del fuoco nemico, visto che i tedeschi avevano abbandonato la loro trincea, arretrando su una precedente posizione. Questa manovra richiama alla mente quella che i tedeschi fecero nel febbraio/marzo del 1917 e nota come Operazione Alberich. Mendes è ancora una volta un po’ spiazzante perché, in un film che si presenta come molto realistico, manca infatti il montaggio, (ovvero il trucco principale del cinema, che ricordiamo è l’arte della finzione per eccellenza), inserisce una data sbagliata. La didascalia iniziale recita infatti 6 Aprile 1917: quindi non un giorno a caso, ma quello in cui gli Stati Uniti entrano in guerra. Uno sbaglio voluto, insomma. Un po’ come non usare il montaggio per realizzare un film di genere, come quello bellico che, è risaputo, dagli strumenti abituali del cinema trae abitualmente la sua forza. Perché 1917 non è un film sperimentale, è un film di guerra. Ma, e qui sta la grandezza di Sam Mendes, è anche un film storico, con l’anno usato come titolo e quella ricostruzione minuziosa che ci proietta indietro di più di un secolo, in un preciso momento in cui si stava facendo
L’inghippo delle date, in 1917, si inserisce coerentemente nella strategia dell’opera che abbiamo visto fin qui: fare un film avvincente senza l’uso dello strumento più consono allo scopo (il montaggio); dare l’idea di un racconto realistico utilizzando tutta una serie di trucchi per dissimulare i tagli; fare un opera classica mentre se ne sta facendo una quasi sperimentale e, come detto, essere storicamente attendibile inserendo riferimenti temporali inesatti. Il fulcro di tutta questa manovra è quello che sempre Hitchcock definiva MacGuffin: il pretesto narrativo. In questo caso è il messaggio del comando al colonnello Mackenzie; narrativamente si tratta davvero di un pretesto, visto che non c’è nessun mistero, infatti, che lo riguarda. E’ un banale contrordine. Il punto è che deve essere portato in fretta attraversando una serie di pericoli: una volta passati oltre alla citata terra di nessuno, i nostri dovranno entrare nella trincea nemica, che ora dovrebbe essere abbandonata, e tagliare per un’area che i tedeschi si pensa abbiano lasciato libera nella loro Ritirata Strategica. Se lo spunto richiama ovviamente Gli anni spezzati (1981 regia di Peter Weir), la messa in scena passa dal film di guerra tradizionale al games-movie, con un fortissimo debito, nelle scene dopo il black-out di Schofield, alle scenografie dei videogames. I riferimenti cinematografici sono naturalmente numerosi, anche perché gli elementi in gioco sono quelli e quindi il rischio è quello di cogliere rimandi che poi sono solo coincidenze. Non è però frutto del caso, sebbene sia costruito per sembrarlo, il meccanismo narrativo legato alla borraccia con il latte. Fattoria abbandonata: Schofield sta mettendo il latte di un secchio nella borraccia. Proprio a questo punto c’è l’episodio dell’aereo abbattuto che culmina con la morte di Blake. A questo proposito, un altro ribaltamento delle convenzioni: i due umili fanti inglesi aiutano il nobile cavaliere dell’aria tedesco, che li ringrazia con una letale coltellata nella pancia di Blake. In quell’inferno che è 1917 persino il latte, uno dei simboli della vita, sembra quindi essere divenuto messaggero di morte.
Ma ancora una volta non è così: la bambina trovata, che non è figlia della ragazza francese, altro elemento in qualche modo discordante, riceverà quel latte dal caporale Schofield e potrà sopravvivere. Al cinema, l’ottimismo, lo sguardo positivo verso il futuro, è legato alle vicende sentimentali che spesso trovano poi simbolicamente concretezza nei figli. In 1917 quasi non ci sono donne, la ragazza francese non ha infatti il tempo per combinare molto, da un punto di vista narrativo, visto che Schofield ha una fretta dannata. E l’unica bambina della storia non è figlia di un qualcuno del film ma è probabilmente orfana. Eppure con le cure della ragazza che non sa nemmeno che nome abbia, e il latte della borraccia di Schofield, la bimba potrà sopravvivere. Anche questo passaggio narrativo arriva ad una soluzione opposta a quella che gli indizi presentavano: la bambina che dorme nel cassetto del comò è una sorta di lieto fine che, in linea con lo spirito anticonvenzionale ma al contempo classico del film, Mendes non piazza al termine del suo racconto. Il film, in effetti, non ha uno sviluppo lineare e questa è un’altra bella contraddizione visto che segue pedestremente il cammino di Schofield e Blake prima e del solo Schofield poi.
L’idea di un lungo e unico piano sequenza potrebbe essere intesa come un’unica linea narrativa: il massimo della linearità, insomma. Invece, proprio da un punto di vista narrativo, il seguire unicamente le gesta del singolo protagonista ci isola dal contesto, costringendo anche noi ad un percorso non in linea con gli avvenimenti, ma attraverso essi. La cosa è resa graficamente dalla notevole scena in cui Schofield corre parallelamente alla trincea intralciando, e scontrandosi anche due volte, coi soldati del Secondo Battaglione che si stavano lanciando all’assalto proprio in quel momento. Il che significa che il caporale è arrivato tardi e i britannici stanno cadendo nella trappola tedesca ma, ovviamente, in un film contradditorio come 1917 non sarà del tutto così. Il messaggio alla fine arriva al colonnello Mackenzie che però non vuole sentire ragioni e cerca di ignorarlo; troppe volte le indecisioni del comando hanno vanificato sforzi e risultati pagati col sangue di troppi soldati. Ma Schofield insiste in modo ossessivo: il colonnello deve leggere il messaggio. Perché, e qui c’è il fulcro del film di Mendes, quello che c’è nel messaggio questa volta conta eccome, e fa la differenza. Non c’è più tempo per i MacGuffin di hitchcockiana memoria, non ci serve un pretesto narrativo. Ci serve sapere e ricordare che la guerra è la cosa peggiore che possa capitare. E in 1917, che è il messaggio scritto dal nonno del regista, nei suoi racconti sulla Grande Guerra, e che Mendes si incarica di consegnarci, c’è scritto proprio questo. Speriamo sia arrivato in tempo.
Galleria
Nessun commento:
Posta un commento