1456_THE WAR BELOW . Regno Unito, 2021; Regia di J.P. Watts.
Uno dei passaggi chiave di The War Below è l’epilogo finale, quando il maggiore Hell-Fire Jack, al secolo John Norton Griffiths, (Tom Goodman-Hill), si reca dalla vedova Hawkin, Jane (Anna Maguire), per consegnarle la medaglia al valore guadagnata dal marito. La donna, comprensibilmente, liquida l’ufficiale a male parole; e questa potrebbe essere una chiusura condivisibile, per un film di guerra. Ma non siamo ancora ai titoli di coda. Riguardo alla posizione di Jane, sebbene come detto sia condivisibile, va allo stesso tempo riconosciuto all’opera di J. P. Watts il merito dell’interessante ricostruzione storica oltre ad essere un doveroso tributo a chi ha speso, in buona fede, la vita per un ideale. E poi, scendendo nello specifico, può anche essere che, in qualche caso, l’intervento militare sia stato indispensabile per evitare al proprio paese, quando non a mondo intero, un futuro nefasto. Detto ciò, la guerra è sempre da condannare e le parole di Jane sono in linea con le convinzioni pacifiste che si sono diffuse nel mondo occidentale dal secondo dopoguerra. Ma, il 2021, in Inghilterra, paese di produzione di The War Below, forse segna una curiosa inversione di tendenza: senza raggiungere i picchi di sciovinismo del di poco successivo The King’s Man: Le origini (di Matthew Vaughn) –film, peraltro di tenore completamente diverso– anche quello di J. P. Watts utilizza la figura dell’altro, del nemico, come qualcosa da eliminare senza alcuno scrupolo. Un concetto un tantino pericoloso che, guarda caso, utilizza la Prima Guerra Mondiale, e il conseguente ritorno ad un periodo molto antecedente alla recente “condivisione globale”, come veicolo narrativo. L’altro, il diverso, ritorna ad essere il nemico, senza se e senza ma. Un concetto purtroppo rimarcato più volte lungo il corso di The War Below: per il resto un bel film, ben costruito, capace di ottimizzare al meglio il budget non eccessivo tenendo sulla corda lo spettatore sfruttando l’ambientazione claustrofobica. William Hawkin (Sam Hazeldine) guida uno sparuto gruppo di Claykickers di Manchester, civili impiegati sul fronte per la loro abilità nello scavare tunnel sotterranei. Nel 1917 il fronte occidentale non si schioda; i tedeschi hanno scavato dei bunker, dove si rintanano durante i pesantissimi bombardamenti alleati. Buche da cui poi escono puntualmente illesi per rimbalzare ogni successiva offensiva britannica.
Per sbloccare lo stallo, il maggiore Hell-Fire Jack, propone di scavare un tunnel che arrivi fin sotto le postazioni nemiche, e farle quindi saltare in aria. Ma il sottosuolo del territorio delle Fiandre Occidentali, in Belgio, è argilloso, il che lo rende facilmente franabile. Inoltre, i tedeschi hanno ormai maturato una certa esperienza, nelle operazioni sotterranee, e potrebbero facilmente udire i rumori di scavo, prendendo per tempo le contromisure. I Manchester Moles –le talpe di Manchester, così diverranno famosi Hawkin e i suoi– metteranno a servizio dell’esercito inglese la loro peculiare capacità di costruire tunnel, infilando nel terreno una sorta di badile che, ruotato coi piedi, riusciva a rimuovere e cavare fuori l’argilla senza l’utilizzo del piccone, risultando quindi un metodo particolarmente silenzioso. Il film, come tutti i film di guerra corali, si sofferma sulle varie personalità del gruppo e sulle dinamiche dei rapporti: in aggiunta a questo solito cliché, va considerato che i claykickers non erano veri militari e, questo fatto, unitamente a quello di scavare nelle profondità, li rendeva oggetto di discriminazione dal resto della truppa. Un altro tema che J. P. Watt inserisce, per alimentare a puntino la tensione del racconto, è la rivalità tra Hell-Fire Jack ed il suo diretto superiore, il colonnello Fielding (Andrew Scarborough), ufficiale di stampo più ottuso.
Fielding, infatti, non vede di buon occhio la strategia del maggiore Hell-Fire Jack e preferirebbe continuare con gli assalti frontali, costi quel che costi (si sta parlando di sangue, come moneta, com’è ovvio). Inoltre, Hawking e i suoi, sono effettivamente carenti di disciplina militare, essendo sostanzialmente dei civili inseriti di punto in bianco nell’organico solo per la loro capacità di scavare tunnel, e la loro impreparazione sul comportamento da tenere nell’esercito indispettisce il colonnello. E’ evidente che, quelle di Fielding, siano argomentazione deboli e pretestuose: la disciplina di una manciata di uomini rapportata alla realizzazione di un piano ardito che, potrebbe, almeno negli intenti, dare una svolta alla guerra. Per enfatizzare ulteriormente il concetto, il film, J. P. Watts e Hell-Fire Jack rincarano più volte un concetto che lascia quantomeno perplessi. L’esplosione prevista –che passerà alla Storia come la più forte mai registrata sul pianeta, in quella che è nota come Battaglia di Messines– avrebbe sterminato i nemici salvando migliaia di vite umane, le vite dei giovani soldati britannici. Ecco, seppure sia legittimo non ricorrere al politicamente corretto in un film di guerra, il concetto che si evince in modo ineluttabile dal film pare formulato in modo un “tantinello” fazioso. Che diamine, i nemici sono pur sempre vite umane: nel contesto bellico, è normale che si pensi di eliminare, di uccidere, il nemico, ma questo per via della logica perversa della guerra. Che i personaggi di un film ambientato nel 1917 pensino in quei termini è accettabile, meno se è il film stesso ad assumere questo punto di vista. Inoltre, anche nel caso si abbia la necessità di eliminare il nemico, è bene, anzi, è indispensabile, ricordare che egli è e rimane un essere umano quanto noi.
E’ proprio allora, nel momento in cui lo si deve eliminare –rimanendo nella logica bellica– che diviene ancora più importante ricordarne l’umanità. Possono sembrare sofismi, differenze di forma più che di concetto e forse è anche vero. Tuttavia, lo sciovinismo latente che inevitabilmente emerge quando non si prestano queste cautele, nel film di Watts, si avverte distintamente. E poi, nel caso si volesse anche credere che si tratti solo di un’impressione, c’è l’ultimo passaggio –quello di cui si è solo accennato in apertura– a toglierci ogni dubbio. Il maggiore Hell-Fire Jack ha ascoltato le dure parole di Jane, la vedova Hawkin. Era venuto a portare una medaglia in cambio del marito e la donna non è che abbia fatto i salti di gioia, come detto. Ma, prima di andarsene, l’ufficiale si ricorda che ha qualcosa da dare anche al figlioletto di casa Hawkin, Peter: il soldatino che il ragazzino aveva consegnato al padre come sorta di portafortuna. Un soldatino che reggeva una bella bandiera, la Union Jack, naturalmente, che proprio William, il padre del ragazzo, aveva sistemato poco prima della partenza. Il maggiore restituisce il soldatino a Peter riconoscendo, nell’atto del bambino che l’aveva affidato al padre, un valore simbolico e cruciale, nello spronare Hawing a fare il suo dovere fino in fondo, fino a rimetterci la vita. E, a proposito di vite umane, Hell-Fire Jack ravviva ancora una volta il concetto: l’azione di Hawking ha salvato tantissime vite umane. Non erano vite umane, evidentemente, i 10.000 tedeschi morti di schianto, per l’enorme esplosione di Messines, udita perfino a Londra, a quel che si diceva, come viene ulteriormente ricordato da una didascalia nel finale. Ma il peggio deve ancora venire: il maggiore, prima di levarsi dalle, ehm, scatole, richiama l’attenzione dell’attonito bambino per salutarlo militarmente. Peter rende diligentemente il saluto al suo… superiore? viene da chiedersi con un moto di sgomento. Poi, fila dritto in camera, sul comodino improvvisato altarino e pone il bravo soldatino portabandiera tra le medaglie d’onore, davanti alla foto del padre William, morto in un tunnel delle Fiandre. Missione compita, J. P. Watt: God save the King e tanti saluti al resto di quella che, vostro malgrado, rimane comunque umanità.
Galleria
Nessun commento:
Posta un commento