1446_GIOCANDO A GOLF UNA MATTINA. Italia, 1969; Regia di Daniele D'Anza.
Per la televisione italiana, gli anni Sessanta segnarono l’affermazione del genere giallo, e lo si può facilmente dedurre dai palinsesti della Rai dell’epoca, zeppi di questo tipo di programmi. Non solo televisivi, visto che, ad esempio, Francis Durbridge, famoso giallista britannico, vide le sue opere tornare ad essere adattate dall’emettente di stato radiofonica. Alla Radio nazionale erano già state trasmesse ben quattro opere di Durbridge, tra il 1953 e il 1961; poi, idealmente, il testimone era passato alla televisione, che aveva tradotto per lo schermo La sciarpa (1961, di Guglielmo Morandi), Paura per Janet (1963, di Daniele D’Anza) fino al clamoroso successo di Melissa (1966, ancora di D’Anza). Durbridge era un autore particolarmente adatto per la prosa televisiva e radiofonica, d’altra parte pare che lui stesso si vedesse più come sceneggiatore e autore di dialoghi piuttosto che romanziere. Il successo avuto da Melissa anche in Italia, che confermava e rilanciava i positivi riscontri del pubblico precedenti, indusse la Rai a mettere in cantiere un nuovo sceneggiato. Era ormai il 1969; nel tempo trascorso, come detto, l’opera di Durbridge tornò ad essere saccheggiata dalla Radio, con Margò, una nuova avventura del suo personaggio, l’investigatore Paul Temple, e La Boutique, scritto appositamente per la trasmissione radiofonica. La Rai aveva ormai dimestichezza con l’autore britannico, unita ad una discreta intraprendenza nell’adattare le sue opere per il nostro paese. Alla traduzione fu chiamata ancora Franca Cancogni, che, stando all’indispensabile analisi di A. Scaglioni sul sito Vicolo Stretto, intervenne, insieme ai suoi collaboratori, rimpinguando la trama originale per riempire le sei puntate stabilite dai vertici Rai. Già con Melissa, l’opera di Cancogni e D’Anza era stata evidente, dal momento che il carattere del personaggio protagonista, Guy Foster, era stato reso assai più sanguigno al fine di sfruttare al meglio le qualità di Rossano Brazzi. A titolo esplicativo, tornando al nuovo adattamento di Durbridge, basti citare come l’originale A game of murder venne trasformato nel più insolito e intrigante, Giocando a golf, una mattina. La volontà di sorprendere lo spettatore si nota anche da questi dettagli, come ad esempio nella scelta di evitare i titoli di testa, sostituiti da una voce narrante che si ricollega, forse, al mezzo radiofonico che, almeno in Italia, faceva da staffetta con la TV nel proporre al pubblico le opere del giallista inglese.
Del resto questa era probabilmente la più importante cifra stilistica di Durbridge che, nell’orchestrare le sue trame, era particolarmente attento a mantenere costantemente alta l’attenzione e la curiosità del fruitore –lettore, spettatore o ascoltatore che fosse. La capacità di generare attesa per la rivelazione finale, per la soluzione del giallo, è la quint’essenza dell’opera dello scrittore inglese ma questo, per una sua traduzione nel nostro paese, faceva sorgere alcuni problemi. L’Italia non era mai stata, fino ad allora, particolarmente avvezza ad avere a che fare con la narrativa gialla, prova ne sia un rapido confronto tra la nostra produzione letteraria nello specifico e quella britannica, tanto per capirci. A storici capisaldi come Arthur Conan Doyle, Edgar Wallace o Agata Christie, noi non abbiamo nulla da contrapporre. Il pubblico italiano era quindi sì entusiasta, di fronte a questo nuovo gioco narrativo, la scoperta del colpevole, ma forse non era ancora in grado di resistere alla tentazione di scoprire in anticipo come andava a finire la storia. In uno sceneggiato di sei puntate, questo problema era amplificato nel tempo dalla opportunità che le riviste di spettacolo potevano offrire, rivelando la soluzione del mistero prima del tempo. Il problema principale, per D’Anza e company, divenne quindi evitare le fughe di notizie, e questo era già stato un tema affrontato con la riduzione televisiva di Melissa.
Per Giocando a golf, una mattina, il lavoro di depistaggio degli autori italiani fu addirittura superiore: vennero cambiati nomi ai personaggi e gradi di parentela, girando tre finali diversi con differenti colpevoli, sempre allo scopo di conservare il segreto sulla vera identità dell’assassino. Queste, che possono sembrare mere curiosità, sono invece elementi che ci rivelano la vera natura dei gialli di Durbridge: se in una storia investigativa, arrivati al finale, è possibile sostenere la colpevolezza di più di uno dei personaggi, significa che l’autore ha costruito un meccanismo aperto a più soluzioni. Il che significa che la soluzione in sé stessa, l’identità del colpevole o dei colpevoli, non è un elemento così cruciale; ma questo entra, apparentemente in conflitto con la natura stessa del racconto, che verte appunto sulla soluzione del giallo. Lo scopo dei misteri di Durbridge è la ricerca del colpevole, salvo apprendere quindi che la cosa, in sé stessa, non è così importante. In effetti, rispetto alle trame gialle rigorose, dove tutti i dettagli erano forniti al lettore, seppur opportunamente dissimulate, qui è la complessità dell’intreccio e le continue svolte del racconto a tenere sulla corda. Seppure non ci sono –forse– clamorose falle nella costruzione dell’architettura dei gialli a là Durbridge questi, con le loro multiple possibilità alternative di soluzione, spalancheranno forse la porta, in un certo senso, ad un ulteriore passo in questa direzione. Chissà, magari anche queste opere avranno un ruolo, nelle scelte autoriali di Dario Argento e degli autori del genere thriller all’italiana. Appurato che il rigore non era un ingrediente indispensabile nelle storie investigative, gli autori italiani di quelli che a livello internazionale saranno noti come gialli, si svincoleranno spesso da ogni plausibilità dell’intreccio in senso stretto, dando unicamente importanza alla loro folgorante visionarietà. Tornando a Giocando a golf, una mattina, qui tutti gli sforzi degli autori, da Durbirdge a D’Anza, sono concentrati sul mantenere sulle spine gli spettatori. Cosa che avviene in modo egregio anche per merito del cast, di primissimo livello.
Il bravissimo Luigi Vannucchi è Jack Kirby, investigatore appena trasferitosi a Scotland Yard, a Londra, da Birmingham. Appena giunto in città, l’amico Ed Royce (Aroldo Tieri, lo specialista nei gialli di Durbridge per antonomasia), anch’egli ispettore, gli combina uno scherzo, fingendo di farlo arrestare dai suoi uomini accorsi alla stazione a riceverlo. E’ poco più che una gag ma, nell’economia del racconto, sembra avere un significato: Kirby, in effetti, finirà per essere sospettato davvero, mentre con il suo impermeabile in pelle nera e il suo atteggiamento a volte sospetto, Royce sarà uno dei papabili colpevoli fino alla fine. Come detto, l’incipit non contiene elementi decisivi alla soluzione ma, semmai, ad alimentare eventuali possibilità, poi, nel caso, disattese senza alcun patema. Tra i personaggi che pullulano il racconto, una nota di merito va indiscutibilmente al Norman Brook interpretato in maniera eccellente da un Mario Carotenuto in gran spolvero. Benissimo, poi, anche le attrici, a partire da una Luisella Boni nel ruolo della misteriosa Key Richardson, perfettamente calata nello stile british che intinge il racconto e le scenografie dello sceneggiato. La Swingin London degli anni Sessanta è ricreata, per la verità, con qualche difficoltà per quel che riguarda gli interni, mentre negli esterni la troupe della Rai si era recata anche questa volta sul posto, nella capitale britannica. Tuttavia proprio la bellezza snella ed elegante delle interpreti, oltre alla Boni vanno ricordate almeno Giuliana Lojodice e Marina Berti, conferisce alla vicenda quel tipico british style che impazzava al tempo. Il giallo alla base del racconto parte da un pretesto un po’ assurdo, il fratello di Kirby ucciso da una pallina da golf, ma si aggancia poi al filone dello spionaggio industriale, al tempo un tema abbastanza comune. In linea con il classico racconto di Durbridge: la capacità di irretire senza, sostanzialmente, aggiungere niente di quanto non sia già noto. Hai detto niente.
Luisella Boni
Marina Berti
Giuliana Lojodice
Mariolina Bovo
Pina Cei
Galleria
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