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mercoledì 5 gennaio 2022

LA SQUADRIGLIA DELL'AURORA

952_LA SQUADRIGLIA DELL'AURORA (The Dawn Patrol); Stati Uniti, 1930; Regia di Howard Hawks.

Quando dietro alla Macchina da Presa c’è Howard Hawks, si può stare certi che l’equilibrio non mancherà mai al film che andremo a vedere. Anche quando, come è il caso de La Squadriglia dell’Aurora, manchi un elemento, quello femminile, in genere presente in qualunque tipo di produzione cinematografica. E dire che, in film come quelli di genere bellico, tipicamente maschili, le figure femminili vengono spesso usate proprio per bilanciare un po’ il racconto che, diversamente, rischia di diventare una semplice cronaca di guerra. Dall’alto della sua classe il regista americano non se ne cura e se il soggetto non prevede nessuna donna nella storia, semplicemente non ce ne mette così come, in un caso diverso, potrebbe invece aggiungerne più di una. Qui però Hawks sembra interessato a bilanciare in modo perfetto i due temi della vicenda, quello morale sulla responsabilità del comando e quello spettacolare legato alle mirabolanti azioni dei biplani. L’argomento principale de La Squadriglia dell’Aurora, anche stando a quanto dichiarato dallo stesso autore, è l’angoscia che attanaglia il comandante costretto dagli ordini a mandare i propri uomini incontro a morte sicura ma, conoscendo Hawks, è comunque evidente che l’aspetto tecnico della storia non fu per niente trascurato. Sapendo che quest’ultimo fungeva da richiamo per il pubblico, il cineasta americano comincia subito con un dogfight (un combattimento aereo) coi fiocchi che si conclude con una spettacolare caduta in avvitamento di un Fokker tedesco. Ma ben presto i cieli e gli spazi aperti lasciano sempre più campo agli interni dell’edificio usato come quartier generale dal 59simo Squadrone Britannico, la Pattuglia dell’Aurora del titolo. E’ infatti qui che si consuma la maggior quantità di tensione, con il comandate, il maggiore Brand (Neil Hamilton) costretto a contare nuovi morti tra i suoi uomini ogni volta che rientrano da una missione. 

Le incursioni aeree dello stormo si susseguono ma per lo più il regista sceglie di rimanere a terra, dove infatti hanno largo spazio anche i personaggi di mero contorno, come il tenente Phipps (Edmund Breon), ufficiale di servizio nell’ufficio del maggiore Brand, il soldato Bott (Clyde Cook), sorta di barman o il sergente Field (il mitico James Finlayson, ovvero l’omino pelato coi baffoni che strabuzza gli occhi nei film di Stanlio e Ollio). In realtà, il ruolo più importante, evocato a carattere cubitali sin dal manifesto, è per Richard Barthelemess nei panni dell’asso dell’aviazione Dick Courtney; a suo fianco, in quelli di sua degna spalla nei combattimenti aerei, Douglas Scott è interpretato da Douglas Fairbanks Jr. Eppure, per buona parte del lungometraggio, l’obiettivo di Hawks sarà puntato sulla loro assenza, sulla speranza che facciano ritorno e che non siano tra le sempre più frequenti vittime di von Richter, l’asso degli assi della Luftstreitkräfte, leader di una squadriglia tedesca composta di soli veterani. Questo permette al regista di focalizzare bene il tema centrale, quello della responsabilità di comando che, nel corso del racconto, passa da Brand a Courtney, col secondo che si trova oggetto delle stesse feroci critiche che riservava al suo comandante in precedenza. Prima della chiusura, ci sarà un ulteriore drammatico passaggio di consegne, che permetterà a Scott, nuovo capo squadriglia, di comprendere la difficoltà in cui si era trovato Courtney nel momento in cui era passato da semplice compagno di battaglia a ufficiale più alto in grado e quindi costretto a dare ordini. Pur mancando l’elemento femminile, la vicenda riserva notevoli dosi di emozioni di stampo sentimentale, seppure in chiave virile oppure fraterna. Giustappunto uno dei passaggi più drammatici è costituito dall’arrivo, tra i nuovi cadetti, di Gordon (William Janney), fratello minore di Scott. Courtney è costretto, vista la scarsità di organico, ad impiegarlo subito in una pericolosa missione e, come avveniva quotidianamente, in qualità di nuovo arrivato era praticamente una vittima predestinata. 


Questo incrina, quasi definitivamente, il rapporto tra i due ex compagni di battaglia, e verrà recuperato solamente in extremis con il sacrificio di Courtney in una missione suicida in cui si era offerto volontario lo stesso Scott. Da un punto di vista del racconto, una volta chiarito per bene qual è l’argomento principale, Hawks si concede una serie di scene acrobatiche di combattimenti aerei d’alta scuola. Il regista era stato pilota e aveva, oltre che competenza diretta, una evidente passione per la meccanica che si traduceva nell’attenzione ai dettagli tecnici, dal rombo dei motori alle scodate prima degli atterraggi, e non solo alle funamboliche evoluzioni in volo durante le furibonde battaglie. Un aspetto che rende La Squadriglia dell’Aurora un film moderno, nonostante si tratti di un’opera del 1930, è l’assoluta neutralità dello sguardo di Hawks. 

I tedeschi sono nemici, dipinti anche in modo cagnesco, si veda l’inquietante sovraimpressione che accompagna von Richter quando questi appare sullo schermo, ma questa era effettivamente l’idea che i militari dell’Imperatore ispiravano nel nemico. Era una caratteristica propria delle forze armate del Kaiser e l’aviazione riusciva ad utilizzarla al meglio per conferire ai suoi cavalieri dell’aria un fascino non solo nobile ma quasi divino, quasi fossero una materializzazione del Destino. I piloti erano tanto calati nella parte che adottavano spesso un comportamento in linea con questa aurea che li accompagnava: lotta senza quartiere durante la battaglia aerea ma senza scadere mai in atti di viltà o imbrogli. La scena col prigioniero tedesco che viene invitato a bere e cantare insieme ai piloti alleati, se pare insopportabile a Hollister (James Gardner), è in parte perché l’ufficiale è ancora sconvolto per la perdita di un collega suo carissimo amico, in parte perché non ha ancora compreso la natura della guerra aerea nel primo conflitto mondiale. 

In pratica successe che, per poter affrontare i rischi che semplicemente comportava mettersi alla guida di aerei tanto precari, ci fu un tacito accordo tra avversari al fine di non sfruttare, almeno stando all’etichetta, i problemi tecnici altrui per vincere i duelli. Questo aspetto alimentò la componente cavalleresca che già, in modo intrinseco, visti i rischi che si correvano, contraddistingueva quella primordiale aviazione. Infatti, negli anni a venire, man mano che i velivoli diverranno più sicuri e affidabili, questa etica del combattimento finirà nel dimenticatoio. Il pilota tedesco fatto prigioniero, nel suo trovarsi a proprio agio tra gli avversari che cantano e brindano, testimonia bene quanto questo spirito fosse diffuso tra gli aviatori dell’Impero. Prima di passare ad una sorta di autocritica di Hawks, c’è da cogliere al volo l’occasione per citare la canzone Stand to your glasses, momento emozionante di matrice sonora che il regista non manca di inserire anche in questa sua pellicola. Ecco, tornando allo spirito con cui gli aviatori affrontavano la battaglia, fa un po’ specie vedere come Courtney e Scott raccolgano la provocazione di von Richter, che gli recapita, con un volo radente sul campo alleato, un paio di stivali da trincea. E’ uno sberleffo, d’accordo, viste le pesanti e costanti perdite inflitte dalla Luftstreitkräfte alla squadriglia britannica. Ma il tedesco avrebbe potuto anche colpire con la mitragliatrice il campo nemico, cosa che probabilmente contraddiceva lo spirito cavalleresco di cui si diceva prima e infatti von Richter si era limitato ad un atto provocatorio un po’ guascone. La replica della coppia d’assi, in autonomia rispetto agli ordini di Brand che chiedeva di lasciare perdere, lascia invece un po’ basiti. I due, trovato il campo base dell’aviazione nemica, bombardano e mitragliano senza quartiere, con una reazione che sembra infischiarsene di ogni codice di condotta. Certo, si trattava di vincere la guerra, e un’operazione del genere, come quella suicida di Courney nel finale, avrà avuto un peso decisivo.
Anche nella perdita di ogni remora o scrupolo morale.


2 commenti:

  1. allora di sicuro mia madre non lo vorrebbe vedere, ogni volta che le capita un film senza personaggi femminili lo sottolinea sempre, come se fosse una grave mancanza...
    Curioso parlare di ciò proprio nel giorno della Befana :D

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