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lunedì 3 gennaio 2022

ALI

 951_ALI (Wings); Stati Uniti, 1927; Regia di William A, Wellman.

Caposaldo assoluto della Storia del Cinema Ali di William A. Wellman vanta una serie di primati e curiosità che ne alimentano la fama. Ha vinto due premi nella primissima edizione degli Oscar dell’Acadamy Awards, quello alla miglior produzione (oggi equiparato a miglior film) e quello agli effetti tecnici, entrambi meritati. Nell’assegnazione del secondo riconoscimento hanno certo concorso le mirabolanti riprese ottenute montando le macchine da presa sulle ali dei biplani, un’operazione davvero azzardata per l’epoca. Va riconosciuto che, nonostante non sia accreditato, alla regia lavorò anche Harry d’Abbadie d’Arrast, sebbene nel complesso l’assoluta influenza di Wellman nelle scelte non solo registiche a proposito di questo film sia un dato assodato. Il cineasta americano era stato ingaggiato proprio per la sua esperienza di pilota nella Prima Guerra Mondiale, tra l’altro con risultati lusinghieri: a bordo del suo Nieuport 24 si congedò con all’attivo tre abbattimenti ufficiali e cinque di cui mancò il riscontro, prima di venir abbattuto a sua volta; incidente che gli lasciò la zoppia che lo accompagnò per il resto della vita. Wellman prese particolarmente a cuore la questione della rappresentazione bellica: per le operazioni di terra fu aiutato dall’Esercito Americano e dalla Guardia Nazionale del Texas che mandarono le loro truppe per figurare nelle scene di massa. Ma è per le battaglie aree, come già intuibile dal titolo Wings (Ali, letteralmente), che il film è famoso ed è lì che Wellman concentrò i suoi sforzi. Gli aerei impiegati furono decine, in parte forniti direttamente da Washington, e il regista dedicò lungo tempo per girare le scene con i velivoli, ad esempio nel ricostruire con la massima precisione possibile la Battaglia di Saint-Mihiel, che vide un notevole impiego di aeroplani. 

Il film, che in ogni caso è anche un testo eccellente anche dal punto di vista narrativo, ebbe un successo clamoroso: rimase in cartellone nelle sale cinematografiche per 63 settimane di fila! Alla fortuna di Ali contribuì probabilmente anche l’esplosione di interesse intorno all’aeronautica in seguito all’impresa di Charles Lindbergh che, in quei tempi, aveva appena trasvolato l’Atlantico senza far scali, un’azione senza precedenti. Insomma, molti furono i fattori che contribuirono alla riuscita del film, anche se la spettacolarità delle scene in cui sono protagonisti i biplani occupò un posto di rilievo. Dei due protagonisti, l’attore Richard Allen (è David) era davvero un pilota, mentre Charles Buddy Rogers (Jack) imparò a manovrare un aereo proprio durante le riprese; Ali fu infatti il primo film in cui le riprese aeree vennero realizzate dal vero, con i protagonisti che si alzavano in volo per girare le scene. Questo perché Wellman voleva immagini credibili e non ricostruzioni artificiose; sugli sfondi si dovevano vedere sfrecciare gli aerei nemici e il tutto doveva essere quanto mai convincente. Su questo aspetto il regista dimostrò una precisione maniacale: si dice che dopo quattro settimane non aveva ancora girato un metro di pellicola con battaglie aeree e la produzione lo interrogò nel merito. Il problema era l’assenza di nubi: senza nuvole Wellman sosteneva che in aria non si aveva la percezione del movimento, vanificando parte del lavoro acrobatico dei piloti impegnati nelle scene. 

Al contrario le nuvole sullo sfondo fornivano un riferimento per far risaltare al meglio le manovre dei biplani; osservazioni che sembrano pertinenti e suffragate dall’esperienza maturata in guerra dal regista. Insomma, per un argomento che gli stava così a cuore, Wellman profuse la massima passione di cui era capace, e non ne aveva certo poca, e il risultato è sontuoso, senza tema di smentita. Non per questo un narratore del suo calibro dimenticò che quello che doveva girare era un film e non uno spettacolo acrobatico. Se vogliamo, l’estremo rigore che il regista mise anche nella storia vera e propria, unito all’attenzione con cui aveva curato gli aspetti tecnici, diede luogo a quello che, a vederlo oggi, è il punto meno convincente del film. Con le sue due ore assai abbondanti, Ali si perde in qualche lungaggine di troppo; è un peccato molto veniale, sia chiaro, legato alla passione e all’amore per il proprio lavoro con cui il regista girava i suoi film. Le scene mondane di Parigi avrebbero forse ben sopportato una sforbiciata, non tanto perché sono brutte o noiose, ma semplicemente perché di carne al fuoco ce n’è già tanta e sono quelle più sacrificabili per snellire un po’ la narrazione. Ma è anche vero che la struttura è orchestrata con i dovuti incastri narrativi che, nel corso del film, trovano tutti una loro funzione d’essere come da manuale del cinema americano.


Così il medaglione con la foto di Silvya (Jobyna Ralston) destinato all’amato David finisce per errore nelle mani di Jack, suo spasimante. Il giovane, preso dall’euforia, non si accorge né dell’equivoco né che sul retro della foto c’è una dedica al rivale e così si reca al fronte con il cuore colmo di gioia pensando di essere ricambiato dalla ragazza amata. Il medaglione sarà custodito con la massima devozione da Jack, come porta fortuna ma, all’alba dell’azione decisiva, ecco che l’oggetto si rompe e la foto scivola fuori prima di essere raccolta proprio da David divenuto, nel tempo passato al fronte, suo amico fraterno. Tempo durante il quale David aveva ricevuto lettere da Silvya, in cui la ragazza dichiarava i sentimenti nei suoi confronti; non è quindi per gelosia se il pilota piuttosto che rendere la foto a Jack, col rischio che veda la dedica, la distrugge. Giustamente David si preoccupa: se il suo amico avesse letto infatti quelle parole di Silvya avrebbe avuto una terribile delusione d’amore, non proprio benaugurante prima di una battaglia. Ma in questo modo tra i due scoppia una lite, Jack non può certo comprendere il motivo per cui David gli ha distrutto la foto dell’amata Silvya e David non può argomentare senza tradirsi. E così il classico “Tutto bene?” con cui David inaugurava le azioni di guerra, rimane senza la consueta risposta “Ok” di Jack, un rituale che, anche solo a livello scaramantico, aiutava i giovani aviatori ad affrontare la morte. 

In questo senso ulteriormente sinistro il fatto che tutte due i piloti non hanno con sé il proprio talismano: Jack la foto di Silvya, David un piccolissimo orsacchiotto datogli dalla madre prima di partire. Insomma, l’ultima missione parte sotto i peggiori auspici ma riuscirà comunque a sorprendere, in negativo, anche il più pessimista degli spettatori. Nel finale torneranno utili, in chiave narrativa, sia la lettera di Silvya in cui dichiarava il suo amore per David, sia il piccolo orsacchiotto, per la suprema capacità di Wellman e degli sceneggiatori di Hollywood, di seminare indizi e dettagli che, al momento opportuno, intervengono con cruciale sincronismo per il perfetto svolgimento della trama. In tutta questa complessa architettura narrativa c’è posto anche per Clara Bow che, seppure non propriamente centrata alla storia, è la vera star dell’opera. 

Mary era la vicina di casa infatuata di Jack, non corrisposta, ma aveva avuto il merito di dipingere una stella candente sul bolide a quattro ruote del ragazzo. E Shooting Star era poi divenuto il nome di battaglia dell’aereo di Jack, con tanto di stemma disegnato sulla carlinga identico a quello dell’auto. Intanto Mary, avendo un ruolo un po’ marginale per essere quello di Clara Bow, deve rientrare in scena e così, quando la storia si sposta in Europa, il copione prevede che venga fatta arruolare nelle crocerossine. Per la verità si presenta in prima linea con una divisa nera che ricorda una gendarme più che l’angelo custode dei feriti in battaglia, tuttavia la Bow era stata chiamata anche per le sue doti fisiche e si troverà il modo di farle mettere l’abito da sera e perfino di spogliarsi completamente (seppure sullo schermo apparirà solo vista da tergo). L’attrice era in rampa di lancio e dopo il film Cosetta (1927, Clarence G. Badger), pur non essendo certo una femme fatale, aveva conquistato il pubblico con quel certo non so che; ovvero It, che era anche il titolo del film nell’originale e a cui si faceva riferimento per spiegare il fascino indefinibile dell’attrice (e rimasto nel tempo indefinito, ad onor del vero). Il successo di Ali la consacrò definitivamente e, da un punto di vista produttivo, fu una manovra strategica lungimirante. Wellman era perfettamente in grado di gestire queste ingerenze produttive tipicamente hollywoodiane e l’apice drammatico il film lo raggiunge comunque in un’azione aerea. 

Siamo verso il finale quando, dopo una serie di vicissitudini, David alla guida di un Fokker tedesco sta facendo rientro ma capita sotto la mitragliatrice dello Shooting Star, lo SPAD di Jack. Il quale, non riconoscendo l’amico alla guida di un aereo nemico, lo abbatte. Prima di passare al tragico lieto fine solo un’annotazione tecnica: nel film i Fokker erano Hawks P-1 Curtiss dipinti con i colori tedeschi, mentre i MB-3 Thomas-Morse erano adoperati in luogo degli SPAD. Un aspetto secondario, certo, al dramma che si trova a vivere Jack quando scopre di aver abbattuto l’amico fraterno, ma Wings è anche orgogliosamente un film sugli aerei e non solo, nell’ordine: primo, un capolavoro universale; secondo, il film che consacrò Clara Bow; e terzo, quello che lanciò, con solo due minuti sullo schermo, Gary Cooper.
Si diceva del tragico lieto fine: c’è qualcosa che Jack deve fare prima di ritrovarsi al romantico appuntamento con Mary. C’è da riportare la medaglia al valore e soprattutto il piccolo orsetto di pezza ai genitori di David sapendo che non lo aspetteranno certo a braccia aperte. La notizia è terribile e non servirà a molto accampare la giustificazione ambasciator non porta pena, dal momento che la coppia sa che è stato Jack ad uccidergli il figlio. E’ un momento difficile, ma Wellman conosce il cuore di una madre e sa che la scena finirà comunque in un materno abbraccio. La diva Clara Bow reclama però il suo spazio e, sotto una stella cadente, avrà la sua incoronazione come da protocollo hollywoodiano. Glielo si può concedere: di aerei ne abbiamo visti a sufficienza.


Clara Bow



2 commenti:

  1. Questa cosa che dici circa la difficoltà di muoversi per aria mi fa pensare che, se mai un giorno ci saranno le macchine volanti, avranno ancora un bel po' di problemi da risolvere...
    PS... venerdì arriva in edicola Dan Cooper per la collana I grandi fumetti d'aviazione e avrei proprio intenzione di prenderlo ;)

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  2. Ah, nella collana Il Grande Fumetto d'aviazione? Già prenotato. Ho preso tutti i numeri a partire dai primi, quelli con Buck Danny di cui ho già gli originali Cenisio degli anni 70. ;)

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