865_LE HEROS DE LA MARNE . Francia, 1938; Regia di André Hugon.
Melodramma anche eccessivo, Le Héros de la Marne
di André Hugon, è un’escalation di situazioni emozionanti a cui il regista non
riesce a trovare il giusto equilibrio. Hugon, coautore anche del soggetto, non
era probabilmente un autore in grado di gestire del tutto i pericolosi toni del
melò e così il risultato finale
vanifica quanto di buono poteva esserci nell’idea di base. L’impostazione
classica, una vicenda particolare su uno sfondo storico, quello della Grande Guerra, è utilizzata in questo
caso per enfatizzare e risolvere, i
conflitti interni dei protagonisti. Ovviamente un elemento come la Prima Guerra Mondiale finisce per invadere
pesantemente la vita dei personaggi al centro della vicenda e, forse anche
questo, arriva a colmare la misura di sentimento appesantendola in modo
eccessivo. Bernard Lefrançois (interpretato dall’istrionico Raimu) è un contadino
francese con tre figli, il maggiore dei quali, Jean (Bernanrd Lancret) è
innamorato di Hélène (Jaqueline Porel). La ragazza è figlia di Bardin (Édouard
Delmont ), che abita in una piccola tenuta agricola confinante a quella
ben più corposa dei Lefrançois. E Bernard vede, nell’interesse di Hélène per il
figlio Jean, una manovra del vicino per mettere le mani sulla sua terra. Il suo
opporsi all’unione tra i due giovani è quindi una sorta di difesa del proprio
territorio che in parte richiama quella che subentrerà in modo più ampio con
l’aggressione tedesca alla terra francese. Bernard difetta però nel suo modo di
vedere le cose e, proprio in seguito
all’entrata in guerra, pagherà quasi per contrappasso questa sua colpa (vedeva
cose che non c’erano, non vedrà più).
Questo modo di raccontare, con
coincidenze e similitudini che si sommano o ribaltano, è tipico del melodramma
e non è di per sé un difetto, anche se va detto che occorre una particolare
maestria per non far traboccare il vaso
del sentimentalismo. E, come detto, Hugon fatica un po’. Così, se Jean e Hélène
si amano nonostante il disappunto di Bernard, la ragazza rimane incinta,
probabilmente alla prima occasione. Jean è al fronte e la ragazza si confronta
coi genitori di lui, trovando nella madre Suzanne (Germaine Dermoz)
comprensione mentre Bernard sospetta ancora menzogne. A fronte di questo
insulto, Hélène si trasferisce dai cugini, ad Amiens. Intanto scoppia la
guerra, proprio nel giorno in cui nasce il bambino: ecco, questo è un altro tipico
colpo di scena melodrammatico che sembra aggiungere significato alla vicenda ma
che, se non corrisposto in modo adeguato, finisce al contrario per
svilirla. Hugon è forse troppo preso dalle vicende narrative per riuscire poi a
svilupparle a dovere: Jean diventa rapidamente un asso dell’aviazione, mentre i tedeschi
occupano Amiens. Hélèn, oltre ad accudire il figlio, trova il tempo per improvvisarsi
agente di spionaggio, con un contributo fondamentale nella difesa francese della
Marna. Consegnato il prezioso messaggio, deve ritornare dal neonato quand’è
ormai pieno giorno e così viene fatta prigioniera dai tedeschi, che minacciano
di condannarla a morte in qualità di spia. I tre figli sono al fronte, la
fattoria Lefrançois devastata e Bernard, ad oltre 50 anni, si arruola
volontario.
Hugon alterna le vicende private ad alcune scene di guerra, forse di repertorio, mostrando alcuni passaggi peculiari del conflitto, dai bombardamenti, ai taxi della Marna, alle acrobazie dei biplani. Il finale è naturalmente di grande emozione, con il vecchio Lefrançois, divenuto cieco a causa di una ferita di guerra, che ora, paradossalmente, riconosce il figlio di Hélèn come nipote. Il piccolo però, proprio nel giorno dell’armistizio, è divenuto orfano, essendo stato abbattuto Jean durante la sua ultimissima missione. E’ l’ennesimo stucchevole colpo di scena, in quanto la successiva soluzione per rimediare un lieto fine non sembra propriamente adeguata. Alla notizia di essere rimasta vedova, Hélèn riceve la proposta di Pierre (Paul Cambo), da sempre innamorato della ragazza, che coglie quindi al volo l’occasione. E proprio l’intempestività dell’ultimo passaggio può essere d’esempio dei limiti generali dell’opera.
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