877_L'UOMO CHE AMO' GATTA DANZANTE (The Man Who loved Cat Dancing). Stati Uniti, 1973; Regia di Richard C. Sarafian.

Nel 1971,
in Uomo bianco va’
col tuo Dio, il regista Richard C. Sarafian si era occupato della vicenda
di un trapper abbandonato in mezzo
alla natura selvaggia delle montagne nordamericane. Quel film, certamente
valido e interessante, era attraversato da due temi: il passato che ossessiona
i due personaggi principali e il muoversi in un contesto estraneo e ostile.
Forse, più che l’idea di un rinselvatichito Richard Harris, protagonista nei
panni del trapper, è rimasta memorabile
soprattutto la scena della barca montata su ruote che attraversa il paesaggio
del west. Il curioso mezzo di locomozione dà concreta forma al passato del
personaggio di John Huston e, unitamente al rimorso, non lo abbandona nemmeno
durante la spedizione tra mille pericoli. Come detto, i temi portanti erano quindi quelli
del passato che ossessiona e quello di un elemento costretto in un ambiente
ostile ed estraneo. Con L’uomo che amò Gatta Danzante Sarafian si
muove ancora su questi argomenti: una persona civilizzata in un ambiente
selvaggio che, attraverso queste difficoltà, ha l’opportunità di svincolarsi
dal proprio passato. Anche qui i problemi non derivano soltanto dalla natura
selvaggia che, per quanto crudele, ha comunque una sua dignità, ma dalla
barbarie dell’uomo civilizzato. La
povera Mrs. Catherine Crocker (un’elegante, delicata ma insospettabilmente
energica Sarah Mills), facoltosa ragazza di città, si trova coinvolta nella
fuga di quattro rapinatori di treni. Siamo in piena epoca del far west ed una
elegante signora che si aggira lungo la ferrovia, in una zona desertica dove
non ci sono stazioni o siano previste fermate, è chiaramente fuori luogo; come
appunto il personaggio di Mrs. Croker lì e nel proseguo della storia. La motivazione
che ha portato la donna precisamente in quel posto è un po’ esile: la donna si
sarebbe persa, almeno stando alle parole del marito. Difficile da credere,
visto che ci si trova in pieno deserto ma, in ogni modo, la mancanza di un
pretesto che si sembri comprensibile amplifica l’effetto straniante di vedere un’elegante
signora, con tanto di ombrellino para sole, nel bel mezzo di una feroce rapina
al treno. In realtà, l’ex capitano Jay Grobart (l’aitante Burt Reynolds)
avrebbe voluto un lavoretto liscio liscio, ovvero senza lasciare cadaveri ma,
un po’ gli imprevisti e, soprattutto, la feccia che si è tirato appresso,
mandano a monte i suoi piani.


Il morto ci scappa e le cose si complicano quando
uno dei suoi uomini, Billy (Bo Hopkins), si trascina dietro la donna, presente
per sbaglio sul luogo della rapina, nella fuga. Billy è un elemento pessimo,
quasi pari a Dawes (Jack Warden), questi una carogna di prima categoria, e
costituiscono la feccia di cui si è detto. Il quarto del gruppo è l’indiano
Charlie (Jay Varela) che non ha colpe specifiche se non quella di seguire Jay
anche quando questi decide di rapinare un treno. C’è quindi ancora qualcosa di
fuori posto, nei presupposti di questa vicenda: nelle storie del west non è
particolarmente strano che un ex capitano come Jay finisca a fare il
delinquente ma lascia perplessi vederlo farsi accompagnare da simili pendagli
da forca come Billy o Dawes. E’ in fondo la stessa perplessità sia di Dub
(Ricard Donner), il vecchio sottoposto del capitano, che di Harvey Lapchanche
(il grande Lee J. Cobb), incaricato dalla Wells Fargo di inseguire i fuggitivi.
C’è quindi una donna ricca trascinata in fuga da una banda di fuorilegge il cui
capo è un elemento anch’esso di natura estranea alla situazione. I cinque, i
quattro della banda e la donna, sono comunque esponenti della civiltà americana
che si avventura in un contesto selvaggio, in pieno territorio indiano. Il film
ha qualche crudezza ma nemmeno accentuata considerato che la povera Mrs.
Crocker passa un sacco di tempo in compagnia di animali quali Billy o Dawes. Tutto
sommato Sarafian non indugia sulle prevedibile sponde erotiche che la
situazione suggeriva aiutato, in questo, dalla presenza di una mastino come
Burt Reynold.

Il capitano Jay da lui interpretato è una garanzia che alla donna
verranno risparmiate un bel po’ di grane anche se, qualche cosa, giocoforza ci
scappa. Ma una volta rimasti soli, nella fuga, ai due personaggi protagonisti
viene un po’ naturale fare il bilancio tra la vita precedente e quella che gli
si para d’innanzi. Catherine è sposata ad un uomo che non ama, che ha accettato
in marito unicamente per denaro; adesso è sola insieme ad un altro uomo, Jay.
Il quale è vedovo, ha noie con la legge, poco da offrire ma ha dimostrato alla
donna di essere in gamba e di portarle
rispetto (cosa per niente scontata nell’epoca del far west). In ogni
caso la trama si snocciola andando a parare dove era prevedibile, seppur nel
tragitto il film si mantiene interessante. Mrs Catherine alla fine si innamora
dell’ex capitano che, stupito dalla tempra della donna che in più di
un’occasione tira fuori gli artigli, ricambia volentieri. Un ritorno alla
natura selvaggia, un tuffo fuori dalla civiltà, dagli interessi per il denaro,
per l’agiatezza, vale la riscoperta dell’amore, questo in sintesi quanto capita
alla donna, vera protagonista della storia. Che, in un western, può sempre
avere un significato simbolico sui destini della nazione. Ma, e la prima moglie
di Jay, Gatta Danzante, alla quale aspetta addirittura la citazione nel titolo del fim? E’ morta, stando alle parole dell’uomo. E, allora, se il western è il cinema che racconta della nascita dell'America, forse con lei sono morte anche le
speranze che gli indiani abbiano un qualunque posto nella società americana,
verrebbe da dire. E, in fondo, gli indiani ne L’uomo che amò Gatta Danzante, per essere un western, hanno un ruolo già molto marginale.
Forse unicamente quello di dare forma concreta al rimpianto di una vita più libera e selvaggia. 


Sarah Miles









