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lunedì 7 aprile 2025

MAL D'AFRICA

1649_MAL D'AFRICA . Italia, 1967. Regia di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi

Lo squillante suono di una tromba, introduce una vivace musica, mentre le immagini creano un leggero spiazzamento: si intravvede un uomo di colore –del resto, il film che sta cominciando, si intitola Mal d’Africa– poi l’inquadratura si allarga, compare la proboscide di un elefante, e infine si capisce che siamo in uno zoo, non proprio l’ambiente che ci saremmo attesi. Intanto Riz Ortolani, autore della musica, conduce la colonna sonora col solito brio, annunciando i titoli di testa, subito imminenti. Il logo della Cineriz, i caratteri in giallo intenso, il tono delle immagini ironiche e il loro giocare con ambiguità, insomma, sembra davvero di essere in procinto di vedere un documentario «alla Jacopetti». Del resto, alla regia troviamo Stanislao Nievo –citato come Stanis– che era stato fido collaboratore nei film di Jacopetti e Prosperi, nel ruolo di organizzatore delle riprese; e poi la fotografia è curata da un altro fedelissimo del clan, Antonio Climati. Era una situazione anche comprensibile: nel 1966 era uscito Africa addio, film che era costato ingenti quantità di denaro, e che aveva, per altro, reso benissimo al botteghino. Due elementi che spingevano Angelo Rizzoli, titolare della casa di produzione, a proporre l’anno seguente, il 1967, un film che sfruttasse a dovere il momento propizio. Cosa che si poteva fare ottimizzando i costi, recuperando parte del materiale che Jacopetti non aveva utilizzato per il suo film africano. Nonostante tutte queste premesse, Mal d’Africa nel bene e nel male, non può essere considerato una sorta di sequel di Africa addio. È sicuramente un film più onesto, nel cercare di inquadrare la situazione africana con un minimo di criterio storico, ma gli manca il nerbo e la verve tipica di Jacopetti. Sulla presa di distanza dal modello jacopettiano, è evidente che si tratti di una precisa scelta dell’autore. Confermata, tra l’altro, dalle parole della moglie di Nievo, Consuelo: “Jacopetti e Prosperi gli diedero (a Nievo, NdA) del materiale che era rimasto da Africa addio; poi lui girò altre scene per conto suo, cercando di dare al film un tono diverso da Africa addio, un tono meno aspro, meno duro”. [Intervista a Consuelo Nievo, Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 162]. La critica, non diede però molto credito a Nievo. Ermanno Comuzio, concluse così la sua recensione: “Pensavamo che il vezzo jacoppettiano degli spunti impressionistici, delle frenetiche virtuosità dei teleobiettivi e delle «zoomate», dei collegamenti tenuti insieme dalle battute di spirito fosse esaurito. Invece ha fatto nuovi proseliti” [E.C., Mal d’Africa, Il giornale di Bergamo, 18 febbraio 1968, pagina 10]

Il commento, come la critica in generale, per la verità, è un po’ troppo severo. Mal d’Africa è, nel complesso, abbastanza sobrio, e si ascrive a pieno titolo nei Mondo movie solo per alcuni passaggi effettivamente un po’ troppo sopra le righe. Il fatto che ce ne siano quasi per ogni tipologia che contraddistingue il «genere», sostanzialmente i cliché dei Mondo movie, lascia credere che sia una sorta di scelta di appartenenza. In sostanza, Nievo smorza i toni, ma non rinnega i suoi trascorsi. Esempi di questi topoi cinematografici sono l’esecuzione quasi in apertura, che è probabilmente il passaggio più truce del film, le scene di caccia grossa, con l’elefante abbattuto dopo una decina di colpi di fucile, e, immancabile, il passaggio erotico con la scuola di spogliarello che appare davvero improbabile nel contesto complessivo. Interessanti invece i dettagli storici: dall’intolleranza verso i missionari, alla questione boera, alla situazione in Algeria e a quella in Angola. Non comuni anche le pennellate dedicate alla Rhodesia, ai leader africani come Kenyatta fino ai momenti con protagonisti i mercenari o la Legione Straniera. Manca ogni sorta di approfondimento, del resto un documentario di un’ora e mezza su un continente enorme come l’Africa, in anni di continuo fermento, è un’operazione priva di ogni speranza in tal senso. In quest’ottica, forse può dare un po’ fastidio il commento, letto da Nino Dal Fabbro, che prova a darsi un tono che, francamente, a volte sembra gratuito. Curiosità: per «mal d’Africa» in genere si intende la profonda nostalgia che assale coloro i quali abbiano avuto la fortuna di visitare il Continente Nero. Nievo, al contrario, lo utilizza per riassumere un po’ tutti i problemi dell’Africa: scelta legittima, ma vedendo il film si prova appunto nostalgia per il consueto significato. 





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