1606_AFRICA SEGRETA . Italia 1969: Regia di Angelo e Alfredo Castiglioni
É in questo momento che nacque la carriera cinematografica dei
Castiglioni, come detto, in parte associata a Pellini e Guerrasio. Sulle
modalità precise, le testimonianze dirette divergono un poco. Angelo
Castiglioni: “E, quasi per caso, gli mostrammo (al direttore commerciale della
Cineriz, NdA) questo nostro pre-montato. Lo guardò con attenzione e ci disse che
il materiale era interessante, che erano immagini mai viste e che ne poteva
venir fuori un buon prodotto. Aggiunse poi: voglio che questa mia ipotesi sia
avvallata da Angelo Rizzoli”. [Angelo Castiglioni, Intervista ad Angelo e
Alfredo Castiglioni, Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti
Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 194]. Alfredo prosegue nel
resoconto: “Poi iniziò a elencare ciò che, secondo lui (Angelo Rizzoli, NdA),
andava bene e ciò che doveva essere modificato”. [Alfredo Castiglioni, Intervista
ad Angelo e Alfredo Castiglioni, Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti
Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 194]. I Castiglioni, a
questo punto, presero tempo, non volendo snaturare il loro film. In seguito,
trovarono il Commendator Penotti, direttore della CEIAD Columbia Italia, che
accettò di produrre Africa segreta così come gli venne presentato. Differente
il ricordo di Guido Gerrasio, secondo il quale, Angelo Rizzoli gli consegnò del
materiale girato in 16 millimetri per cercare di cavarci fuori qualcosa di
utile. “Non sapevo come comportarmi, perché si trattava di materiale realizzato
da dilettanti, impossibile da mostrare così come si presentava. Ho avuto allora
l’intuizione, che ha fatto la fortuna di film come Africa segreta, di capovolgere quello che era il classico
documentario girato in Africa come nel caso di Gualtiero Jacopetti, che si portava
dietro una troupe vera e lavorava solo in esterni. (…) Dalle immagini consegnatemi,
traspariva una brutale sensazione di verità, così ho
pensato di trasformarle in un nuovo modo di fare documentario: uno sguardo naif
sull’Africa, nessuna ricerca sociale. Mi sono impadronito del materiale, poi ho
diretto, con una sorta di sceneggiatura, quello che ancora restava da
realizzare”. [Stefano Stefanutto Rosa, Intervista a Guido Gerrasio, Cinecittà
News, 20 settembre 2012, da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti
Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagine 207 e 208]. Continua, Guerrasio,
in un’altra occasione: “Io e mia moglie (Mimi Ferrari, NdA), che collaborava
con me dal lontano 1941, rimanemmo chiusi in moviola per ben sei mesi. Ma alla
fine Africa segreta venne pronto. Andai, dunque, a mostrare il mio lavoro ad Angelo
Rizzoli e alla moglie, che mi accolsero nella loro casa di via del Gesù. Ma la
proiezione mi riservò più di una sorpresa. Al primo indigeno nudo la signora si alzò, dando la
buonanotte a tutti. Rizzoli mi chiese: «Ascolta, non ti capisco… tu
che sei un poeta… cosa hai fatto qui? È spaventoso!». «Ma –ricordo che risposi–
quello era il materiale, questo è il film». Ovviamente, di produrlo non se ne parlò neanche.
Alla Cineriz –dove per di più c'erano anche amici come Leoni e Gigi De Santis–
tutti lo sconsigliarono di produrre un film del genere. Per Africa
segreta avevo creato un mosaico e una regia a tavolino... ecco, più
che montaggio mi piace definirla in questo modo. Naturalmente, la quantità di
materiale a mia disposizione era spaventosa. I Castiglioni e Pellini avevano lavorato
in 16 mm, ma molte cose le avevano girate, ancor prima che decidessimo di fare
il film, alla velocità di 18 fotogrammi al secondo. Noi siamo riusciti ad
utilizzare anche quello, raggiungendo i 2700 metri di lunghezza –o 2600 non
ricordo con esattezza– sfruttando persino i fotogrammi bruciati.
Per quanto riguarda le
immagini delle danze dei neri –nelle quali era visibile il sesso maschile– anche
Pasolini ebbe a dire: «Questa roba non passerà mai». In realtà, poi, parte del
lavoro passò e tutti ebbero la sensazione che, in fin dei conti, qualcosa si
poteva pur mostrare. E fu proprio Pasolini a proseguire per questa direzione”. <https://www.italiataglia.it/interviste/africa_segreta_africa_ama_africa_taglia
visitato l'ultima volta il 18 marzo 2024)>. Mimi Ferrari, moglie di Guerrasio e sua
stretta collaboratrice, aggiunge ancora qualche dettaglio sulla particolare ed
inedita gestazione di Africa segreta.
“So che ad un certo momento i fratelli Castiglioni erano andati a far vedere a
Rizzoli qualche pezzo di un film che avevano girato. Rizzoli si è rifiutato di
vederlo, ma l’ha dato a mio marito, chiedendogli se ne poteva fare qualche
cosa. Il girato era da buttare via, però abbiamo pensato di farne, comunque,
qualche cosa. Abbiamo provato a montare qualche primo pezzo per vedere se si
riusciva ad ingrandirlo perché era girato a 16 mm e così abbiamo cominciato a
collaborare con loro”. [Conversazione con Mimi Ferrari da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti
Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 202].
In un qualsiasi documentario una parte importante, addirittura cruciale, è il commento che accompagna le immagini, perché permette di comprendere meglio quello che si sta vedendo. Del resto anche nei Mondo movie la voce fuori campo fu uno degli elementi vincenti di questo particolare format cinematografico. Il cinema dei fratelli Castiglioni si dimostrerà più tradizionale, nel suo accompagnamento esplicativo alle scioccanti immagini che i film andranno a mostrare. Ma chi ne fu il principale artefice? Anche in questo caso, impossibile stabilirlo con certezza. Quello che si può fare, è annotare le varie testimonianze, per quanto discordanti tra loro. Nella già citata intervista riportata sul fondamentale Jacopetti Files, Angelo Castiglioni racconta: “Quando abbiamo elaborato i testi dei film, abbiamo sempre avuto l’appoggio della professoressa Giovanna Salvioni, che ancora oggi tiene la cattedra di Etnologia e Antropologia alla Cattolica di Milano. Con lei abbiamo scritto anche diversi libri”. Alla domanda sul motivo per cui il nome della professoressa non sia mai accreditato, Angelo risponde così: “la Salvioni è una persona molto riservata e non ha mia voluto apparire. Però ha sempre lavorato alla stesura dei testi, anche perché era importante spiegare alcuni rituali non facilmente comprensibili dal pubblico e che potevano generare l’idea di «selvaggi» per coloro che li praticavano. Parola dispregiativa che non andrebbe mai usata”. Rimanendo in tema del commento, discostandoci per un attimo dalla questione sulla paternità dello stesso, è interessante ciò che Angelo aggiunge ulteriormente: “Devo dire che ho visto film in cui il commento era legato al modo di vedere la realtà di chi lo aveva redatto. Mi ha sempre dato molto fastidio. Noi abbiamo descritto la realtà con la cinepresa senza trarre conclusioni: abbiamo sempre fatto un discorse semplicemente descrittivo. Esprimere un giudizio è profondamente sbagliato nei confronti dello spettatore. È solo lui che deve trarre le conclusioni e i giudizi. A noi è sempre solo interessato realizzare una documentazione e farla vedere così come è”. [Angelo Castiglioni, Intervista ad Angelo e Alfredo Castiglioni, Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagine 197 e 199]. Come si intuisce, al netto di chi abbia poi compiuto l’effettiva stesura del testo, i Castiglioni ne erano pienamente partecipi e convinti. Mimi Ferrari, vedova di Guido Guerrasio, a proposito di chi scrisse i commenti dei film in questione, la ricorda però in modo «leggermente» diverso: “No – non so che notizie avete avuto dai Castiglioni – i commenti li ha sempre e solo scritti lui (Guerrasio, NdA). Tutte le parti sono state scritte da lui, per i documentari come per altri film, ha sempre scritto solo lui”. E riguardo alla sua competenza nel merito, specifica: “Si era interessato, aveva cercato di farsi un’idea procurandosi dei libri –soprattutto francesi– insomma, si era informato anche lui. Comunque la verità è che i fratelli Castiglioni erano attirati soltanto dalle cose più violente, cioè la parte diciamo dolce dell’Africa in quei lavori non c’è”. [Conversazione con Mimi Ferrari da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 203]. Quest’ultima battuta della signora Ferreri, velatamente velenosa, ci permette di passare ad uno dei punti cruciali di Africa segreta, e in generale dei film dei fratelli Castiglioni, ovvero la violenza mostrata senza sconti. Abbiamo visto come alla Cineriz, che pure aveva prodotto opere come Africa addio e Mal d’Africa, si rifiutarono di distribuire il lavoro assemblato da Guerrasio, il che significa che la percezione, al tempo, doveva essere decisamente diversa dai citati precedenti esempi di shockumentary dedicati al Continente Nero. In ogni caso, il distributore venne comunque trovato e il film fu un successo commerciale, tanto che il sito Box Office Italia, per la stagione 1969/70 lo piazza ad un lusinghiero 46° posto su scala nazionale. <https://www.hitparadeitalia.it/bof/boi/boi1969-70.htm visitato l’ultima volta il 19 marzo 2024>.
A titolo di curiosità, sono interessanti i ricordi di Mimi Ferrari: “Il primo giorno è stato qualcosa di incredibile, è stato il giorno che c’è stato quell’attentato a Milano (la Strage di Piazza Fontana, NdA). Comunque dissero: c’è stato un grosso attentato e la gente entrava a valanga e noi pensavamo che era perché c’era l’attentato… Il cinema invece era pienissimo mattina, pomeriggio, pienissimo alla sera fino a mezzanotte. Non sapevamo più dove mettere i posti e poi dopo di allora tutto è partito…”. [Conversazione con Mimi Ferrari da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 204]. Se la coincidenza con il tragico evento milanese possa avere influito in qualche modo con il successo del film, è impossibile dirlo con certezza. Un aspetto che certamente ebbe il suo peso fu l’efficace promozione commerciale sui giornali, che, stando alla Ferrari, fu ideata ancora una volta dal marito.
Da parte loro, i fratelli Castiglioni non ebbero, come in parte già detto, nessuna reticenza ad ammettere che il film avesse una particolare attenzione al suo lato commerciale.
In seguito, Angelo entrò maggiormente nel dettaglio: “Noi abbiamo fatto ricerche basandoci su studi precisi sulla vita di queste popolazioni. È però evidente che se faccio vedere un uomo che zappa il terreno con uno strumento che risale ancora alla preistoria, sono immagini che posso tenere sullo schermo per pochi istanti, poi alla gente non interessano più. Questo lo puoi mostrare in un congresso –come ci è capitato di fare più volte, dove abbiamo portato filmati che andavano bene in un contesto scientifico– però quando si trattava di immagini dirette al grande pubblico, e dietro c’era il produttore che metteva soldi e un’organizzazione, era necessario cercare materiale che incuriosisse la gente e che, quindi, richiamasse il pubblico. Abbiamo comunque sempre cercato di mantenere le basi di una seria ricerca etnologica. È indispensabile capire che al pubblico, piuttosto che veder l’uomo che zappetta, interessava ciò che è inusitato e lo colpisce di più, come i rituali magici che talvolta sfociano in sacrifici di animali. Però, dal punto di vista etnologico, tutte e due le azioni hanno lo stesso valore”. [Angelo Castiglioni, Intervista ad Angelo e Alfredo Castiglioni, Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 193].
Sono parole convincenti? Bastano a giustificare la violenza esplicita di Africa segreta? Naturalmente non è tanto un problema della violenza in sé, che se è un elemento della realtà che si deve descrivere, è inevitabile che venga mostrata. Il punto è: è davvero esente da critiche sfruttare la morbosità del pubblico, anche a fini divulgativi, anche per far conoscere culture diverse dalla nostra? Questi dubbi possono sorgere anche per via dell’impatto visivo del film. Che, al tempo, fu davvero tremendo come si può apprendere dall’incipit di un articolo dedicato al film su Stampa Sera: “A Milano 51 svenimenti in due settimane, uno studente –Antonio Cattaneo– il quale chiede di laurearsi in lettere discutendo le sequenze del film, 10 milioni d'incasso in due giorni al Vittoria di Torino: il documentario Africa segreta costituisce oggi il maggior successo di pubblico con il suo dosaggio di riprese ora sconcertanti ora raccapriccianti. Guido Guerrasio ne ha scritto il testo e curato il montaggio. Mesi di lavoro per vagliare le parti vive del reportage che si doveva ricavare da un ammasso di 30 mila metri di pellicola impressionata, una riuscita collaborazione con il maestro Lavagnino che ha composto le musiche ispirate a ritmi dell'Africa Centrale, la curiosità di operare su un piano di parità con una troupe non professionale. (…) Parla Alfredo Castiglioni, uno dei realizzatori: «Crediamo di aver fatto opera originale, documentando gli usi di un'Africa che ormai scompare tra i grattacieli. Viaggiamo insieme da quando eravamo ragazzi, tutto quello che abbiamo girato è a nostro rischio. Una volta, per un nonnulla, quando uno di noi toccò una gallina squartata per inserirla nel campo di ripresa mentre lo stregone ne traeva gli auspici, abbiamo avuto paura di essere impalati». Angelo Castiglioni, suo gemello, ricorda che il riserbo su abitudini impressionanti è stato vinto solo grazie alla confidenza che tutti sapevano ispirare negli indigeni. Ne hanno anche condiviso la vita: un ippopotamo ucciso, significò, ad esempio una settimana di ospitalità con la possibilità di filmare la raccapricciante circoncisione degli adulti”. [P. Per., Che colpo il poker di Africa segreta! Incontro con i quattro realizzatori: Guerrasio, i gemelli Castiglioni e Oreste Pellini, Stampa Sera, anno 101, n. 285, sabato 13, domenica 14, dicembre 1969, pagina 8].
Sebbene, tra la critica, ci fu chi trovò delle assonanze con i Mondo movie di jacopettiana memoria: “Nessuna pretesa di dare un inquadramento ideologico –se si eccettua una citazione dell'etnologo Lévi-Strauss contro la cultura dei bianchi– ma un costante senso dello spettacolo e un discreto ritmo da reportage. Molti di questi pregi sfumano però nella memoria degli spettatori più sensibili, certamente urtati dai parecchi momenti di sadismo e dall'insistere su feroci stragi di animali: l'immagine finale di una giraffa in libertà nella savana sembra quasi una liberazione”. [Vice, Quattro documentaristi nell’Africa segreta, La Stampa, mercoledì 10 dicembre 1969, pagina 7]. In generale, i recensori apprezzarono la genuinità degli intenti originali, e ci fu, anzi, chi colse l’occasione per uno spunto di riflessione particolarmente intrigante. Scrisse, il critico Filippo Sacchi: “Ecco, forse, cosa è, in fondo, Africa segreta: una passeggiata nella preistoria. Non rideteci troppo, probabilmente la nostra preistoria non è stata molto diversa, dolore e sangue. E la nostra Storia?”. [Filippo Sacchi, Epoca, 7 dicembre 1969, da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 184]. Anche più ficcante quest’altra osservazione: “Dopotutto, se un cineasta africano approdasse nella «civiltà bianca» potrebbe, alla stessa stregua, cogliere aspetti ancora più orrendi e disumani, non certo a nostro vanto”. [F.C., L’Eco di Bergamo, 7 dicembre 1969, da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 184].
A vederlo oggi, Africa segreta rimane un documentario scioccante. Certo, dopo Africa addio si poteva pensare di avere fatto il callo per qualsiasi atrocità nel merito, eppure, le riprese amatoriali e il sobrio commento, infondono al testo un sapore di assoluta verità che, inutile negarlo, i film di Jacopetti non riescono ad avere proprio per la loro natura provocatoria. E allora il colpo arriva senza che il cervello possa in qualche modo trovare una sorta di attenuante e diventa meno sopportabile. Manca, inoltre, quell’aurea di bellezza che Jacopetti e Prosperi spesso riuscivano a conferire alle loro pur strazianti e durissime immagini. Qui ci sono passaggi di violenza nuda e cruda a cui è davvero difficile assistere, sebbene poi riescano, in un modo o nell’altro, a creare una fascinazione per lo spettatore. Indubbiamente, le immagini erano già di loro eclatanti ma il montaggio di Guerrasio, meno appariscente di quello di Jacopetti, è intrinsecamente più puro, più classico. Mentre nello stile jacopettiano il montaggio è la controparte tecnica del sensazionalismo delle immagini, Guerrasio utilizza la sua capacità in sala taglio per nobilitare materiale che, di suo, ha certamente potenza visiva ma non è stato girato con uno scopo così consapevole. Il risultato è puramente cinematografico, essendo il film, come opera finita, frutto prevalentemente del montaggio che, del cinema, è la pura essenza. Quanto alla violenza delle immagini, è sicuramente un appunto che si può fare alla pellicola. Ma è cosa assai meno rilevante di avere la possibilità di guardare cosa abbiamo, in quanto uomini esattamente come quelli mostrati nel film, in fondo alla nostra natura, forse anche alla nostra anima, nonostante il tentativo delle nostre infrastrutture morali –cultura, tradizione, religione– di insabbiare tutto quanto.
In definitiva, Africa segreta, pur con qualche problema nella prima fase, dalle difficoltà di Guerrasio nel dare una forma accettabile al girato dei suoi colleghi esploratori, all’iniziale scetticismo dei produttori, era stato poi gratificato dal grande successo di pubblico. E la critica, tutto sommato, cogliendo una certa differenza dai Mondo movie alla Jacopetti, non si era nemmeno accanita eccessivamente nonostante le immagini cruente.
In un qualsiasi documentario una parte importante, addirittura cruciale, è il commento che accompagna le immagini, perché permette di comprendere meglio quello che si sta vedendo. Del resto anche nei Mondo movie la voce fuori campo fu uno degli elementi vincenti di questo particolare format cinematografico. Il cinema dei fratelli Castiglioni si dimostrerà più tradizionale, nel suo accompagnamento esplicativo alle scioccanti immagini che i film andranno a mostrare. Ma chi ne fu il principale artefice? Anche in questo caso, impossibile stabilirlo con certezza. Quello che si può fare, è annotare le varie testimonianze, per quanto discordanti tra loro. Nella già citata intervista riportata sul fondamentale Jacopetti Files, Angelo Castiglioni racconta: “Quando abbiamo elaborato i testi dei film, abbiamo sempre avuto l’appoggio della professoressa Giovanna Salvioni, che ancora oggi tiene la cattedra di Etnologia e Antropologia alla Cattolica di Milano. Con lei abbiamo scritto anche diversi libri”. Alla domanda sul motivo per cui il nome della professoressa non sia mai accreditato, Angelo risponde così: “la Salvioni è una persona molto riservata e non ha mia voluto apparire. Però ha sempre lavorato alla stesura dei testi, anche perché era importante spiegare alcuni rituali non facilmente comprensibili dal pubblico e che potevano generare l’idea di «selvaggi» per coloro che li praticavano. Parola dispregiativa che non andrebbe mai usata”. Rimanendo in tema del commento, discostandoci per un attimo dalla questione sulla paternità dello stesso, è interessante ciò che Angelo aggiunge ulteriormente: “Devo dire che ho visto film in cui il commento era legato al modo di vedere la realtà di chi lo aveva redatto. Mi ha sempre dato molto fastidio. Noi abbiamo descritto la realtà con la cinepresa senza trarre conclusioni: abbiamo sempre fatto un discorse semplicemente descrittivo. Esprimere un giudizio è profondamente sbagliato nei confronti dello spettatore. È solo lui che deve trarre le conclusioni e i giudizi. A noi è sempre solo interessato realizzare una documentazione e farla vedere così come è”. [Angelo Castiglioni, Intervista ad Angelo e Alfredo Castiglioni, Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagine 197 e 199]. Come si intuisce, al netto di chi abbia poi compiuto l’effettiva stesura del testo, i Castiglioni ne erano pienamente partecipi e convinti. Mimi Ferrari, vedova di Guido Guerrasio, a proposito di chi scrisse i commenti dei film in questione, la ricorda però in modo «leggermente» diverso: “No – non so che notizie avete avuto dai Castiglioni – i commenti li ha sempre e solo scritti lui (Guerrasio, NdA). Tutte le parti sono state scritte da lui, per i documentari come per altri film, ha sempre scritto solo lui”. E riguardo alla sua competenza nel merito, specifica: “Si era interessato, aveva cercato di farsi un’idea procurandosi dei libri –soprattutto francesi– insomma, si era informato anche lui. Comunque la verità è che i fratelli Castiglioni erano attirati soltanto dalle cose più violente, cioè la parte diciamo dolce dell’Africa in quei lavori non c’è”. [Conversazione con Mimi Ferrari da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 203]. Quest’ultima battuta della signora Ferreri, velatamente velenosa, ci permette di passare ad uno dei punti cruciali di Africa segreta, e in generale dei film dei fratelli Castiglioni, ovvero la violenza mostrata senza sconti. Abbiamo visto come alla Cineriz, che pure aveva prodotto opere come Africa addio e Mal d’Africa, si rifiutarono di distribuire il lavoro assemblato da Guerrasio, il che significa che la percezione, al tempo, doveva essere decisamente diversa dai citati precedenti esempi di shockumentary dedicati al Continente Nero. In ogni caso, il distributore venne comunque trovato e il film fu un successo commerciale, tanto che il sito Box Office Italia, per la stagione 1969/70 lo piazza ad un lusinghiero 46° posto su scala nazionale. <https://www.hitparadeitalia.it/bof/boi/boi1969-70.htm visitato l’ultima volta il 19 marzo 2024>.
A titolo di curiosità, sono interessanti i ricordi di Mimi Ferrari: “Il primo giorno è stato qualcosa di incredibile, è stato il giorno che c’è stato quell’attentato a Milano (la Strage di Piazza Fontana, NdA). Comunque dissero: c’è stato un grosso attentato e la gente entrava a valanga e noi pensavamo che era perché c’era l’attentato… Il cinema invece era pienissimo mattina, pomeriggio, pienissimo alla sera fino a mezzanotte. Non sapevamo più dove mettere i posti e poi dopo di allora tutto è partito…”. [Conversazione con Mimi Ferrari da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 204]. Se la coincidenza con il tragico evento milanese possa avere influito in qualche modo con il successo del film, è impossibile dirlo con certezza. Un aspetto che certamente ebbe il suo peso fu l’efficace promozione commerciale sui giornali, che, stando alla Ferrari, fu ideata ancora una volta dal marito.
Da parte loro, i fratelli Castiglioni non ebbero, come in parte già detto, nessuna reticenza ad ammettere che il film avesse una particolare attenzione al suo lato commerciale.
In seguito, Angelo entrò maggiormente nel dettaglio: “Noi abbiamo fatto ricerche basandoci su studi precisi sulla vita di queste popolazioni. È però evidente che se faccio vedere un uomo che zappa il terreno con uno strumento che risale ancora alla preistoria, sono immagini che posso tenere sullo schermo per pochi istanti, poi alla gente non interessano più. Questo lo puoi mostrare in un congresso –come ci è capitato di fare più volte, dove abbiamo portato filmati che andavano bene in un contesto scientifico– però quando si trattava di immagini dirette al grande pubblico, e dietro c’era il produttore che metteva soldi e un’organizzazione, era necessario cercare materiale che incuriosisse la gente e che, quindi, richiamasse il pubblico. Abbiamo comunque sempre cercato di mantenere le basi di una seria ricerca etnologica. È indispensabile capire che al pubblico, piuttosto che veder l’uomo che zappetta, interessava ciò che è inusitato e lo colpisce di più, come i rituali magici che talvolta sfociano in sacrifici di animali. Però, dal punto di vista etnologico, tutte e due le azioni hanno lo stesso valore”. [Angelo Castiglioni, Intervista ad Angelo e Alfredo Castiglioni, Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 193].
Sono parole convincenti? Bastano a giustificare la violenza esplicita di Africa segreta? Naturalmente non è tanto un problema della violenza in sé, che se è un elemento della realtà che si deve descrivere, è inevitabile che venga mostrata. Il punto è: è davvero esente da critiche sfruttare la morbosità del pubblico, anche a fini divulgativi, anche per far conoscere culture diverse dalla nostra? Questi dubbi possono sorgere anche per via dell’impatto visivo del film. Che, al tempo, fu davvero tremendo come si può apprendere dall’incipit di un articolo dedicato al film su Stampa Sera: “A Milano 51 svenimenti in due settimane, uno studente –Antonio Cattaneo– il quale chiede di laurearsi in lettere discutendo le sequenze del film, 10 milioni d'incasso in due giorni al Vittoria di Torino: il documentario Africa segreta costituisce oggi il maggior successo di pubblico con il suo dosaggio di riprese ora sconcertanti ora raccapriccianti. Guido Guerrasio ne ha scritto il testo e curato il montaggio. Mesi di lavoro per vagliare le parti vive del reportage che si doveva ricavare da un ammasso di 30 mila metri di pellicola impressionata, una riuscita collaborazione con il maestro Lavagnino che ha composto le musiche ispirate a ritmi dell'Africa Centrale, la curiosità di operare su un piano di parità con una troupe non professionale. (…) Parla Alfredo Castiglioni, uno dei realizzatori: «Crediamo di aver fatto opera originale, documentando gli usi di un'Africa che ormai scompare tra i grattacieli. Viaggiamo insieme da quando eravamo ragazzi, tutto quello che abbiamo girato è a nostro rischio. Una volta, per un nonnulla, quando uno di noi toccò una gallina squartata per inserirla nel campo di ripresa mentre lo stregone ne traeva gli auspici, abbiamo avuto paura di essere impalati». Angelo Castiglioni, suo gemello, ricorda che il riserbo su abitudini impressionanti è stato vinto solo grazie alla confidenza che tutti sapevano ispirare negli indigeni. Ne hanno anche condiviso la vita: un ippopotamo ucciso, significò, ad esempio una settimana di ospitalità con la possibilità di filmare la raccapricciante circoncisione degli adulti”. [P. Per., Che colpo il poker di Africa segreta! Incontro con i quattro realizzatori: Guerrasio, i gemelli Castiglioni e Oreste Pellini, Stampa Sera, anno 101, n. 285, sabato 13, domenica 14, dicembre 1969, pagina 8].
Sebbene, tra la critica, ci fu chi trovò delle assonanze con i Mondo movie di jacopettiana memoria: “Nessuna pretesa di dare un inquadramento ideologico –se si eccettua una citazione dell'etnologo Lévi-Strauss contro la cultura dei bianchi– ma un costante senso dello spettacolo e un discreto ritmo da reportage. Molti di questi pregi sfumano però nella memoria degli spettatori più sensibili, certamente urtati dai parecchi momenti di sadismo e dall'insistere su feroci stragi di animali: l'immagine finale di una giraffa in libertà nella savana sembra quasi una liberazione”. [Vice, Quattro documentaristi nell’Africa segreta, La Stampa, mercoledì 10 dicembre 1969, pagina 7]. In generale, i recensori apprezzarono la genuinità degli intenti originali, e ci fu, anzi, chi colse l’occasione per uno spunto di riflessione particolarmente intrigante. Scrisse, il critico Filippo Sacchi: “Ecco, forse, cosa è, in fondo, Africa segreta: una passeggiata nella preistoria. Non rideteci troppo, probabilmente la nostra preistoria non è stata molto diversa, dolore e sangue. E la nostra Storia?”. [Filippo Sacchi, Epoca, 7 dicembre 1969, da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 184]. Anche più ficcante quest’altra osservazione: “Dopotutto, se un cineasta africano approdasse nella «civiltà bianca» potrebbe, alla stessa stregua, cogliere aspetti ancora più orrendi e disumani, non certo a nostro vanto”. [F.C., L’Eco di Bergamo, 7 dicembre 1969, da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 184].
A vederlo oggi, Africa segreta rimane un documentario scioccante. Certo, dopo Africa addio si poteva pensare di avere fatto il callo per qualsiasi atrocità nel merito, eppure, le riprese amatoriali e il sobrio commento, infondono al testo un sapore di assoluta verità che, inutile negarlo, i film di Jacopetti non riescono ad avere proprio per la loro natura provocatoria. E allora il colpo arriva senza che il cervello possa in qualche modo trovare una sorta di attenuante e diventa meno sopportabile. Manca, inoltre, quell’aurea di bellezza che Jacopetti e Prosperi spesso riuscivano a conferire alle loro pur strazianti e durissime immagini. Qui ci sono passaggi di violenza nuda e cruda a cui è davvero difficile assistere, sebbene poi riescano, in un modo o nell’altro, a creare una fascinazione per lo spettatore. Indubbiamente, le immagini erano già di loro eclatanti ma il montaggio di Guerrasio, meno appariscente di quello di Jacopetti, è intrinsecamente più puro, più classico. Mentre nello stile jacopettiano il montaggio è la controparte tecnica del sensazionalismo delle immagini, Guerrasio utilizza la sua capacità in sala taglio per nobilitare materiale che, di suo, ha certamente potenza visiva ma non è stato girato con uno scopo così consapevole. Il risultato è puramente cinematografico, essendo il film, come opera finita, frutto prevalentemente del montaggio che, del cinema, è la pura essenza. Quanto alla violenza delle immagini, è sicuramente un appunto che si può fare alla pellicola. Ma è cosa assai meno rilevante di avere la possibilità di guardare cosa abbiamo, in quanto uomini esattamente come quelli mostrati nel film, in fondo alla nostra natura, forse anche alla nostra anima, nonostante il tentativo delle nostre infrastrutture morali –cultura, tradizione, religione– di insabbiare tutto quanto.
In definitiva, Africa segreta, pur con qualche problema nella prima fase, dalle difficoltà di Guerrasio nel dare una forma accettabile al girato dei suoi colleghi esploratori, all’iniziale scetticismo dei produttori, era stato poi gratificato dal grande successo di pubblico. E la critica, tutto sommato, cogliendo una certa differenza dai Mondo movie alla Jacopetti, non si era nemmeno accanita eccessivamente nonostante le immagini cruente.
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