1615_E JOHNNY PRESE IL FUCILE (Jonny got his Gun ). Stati Uniti 1971: Regia di Dalton Trumbo
Dalton Trumbo in ambito cinematografico è più che altro noto
per il suo lavoro di scrittura, per i soggetti (due volte premio Oscar, per Vacanze Romane di William Wyler e La più grande corrida di Irving
Rapper) e per le sceneggiature (tra le
altre, Spartacus di Stanley Kubrick e
La sanguinaria di Joseph H. Lewis).
Nella sua carriera realizzerà la regia di un unico film, E Johnny prese il fucile, tratto dal suo omonimo romanzo, curandone
anche la sceneggiatura; sarà l’unico lungometraggio diretto da Trumbo, e questo
può essere un indice di quanto, quello trattato dall’opera, sia stato un
argomento sentito dall’autore. Alla fine, questa palpabile partecipazione
emotiva, quasi viscerale, di Trumbo per la sua opera, finisce per essere un po’
anche il limite della stessa. E Johnny
prese il fucile è un film sentito, passionale, nel quale l’accusa del regista
alla politica militare estremamente palese sin da subito, nello scorrere della
pellicola si trasforma in un’interrogazione su questioni più profonde, sull’esistenza
di Dio, sulla sacralità o meno della vita, o meglio sulla preservazione a tutti
i costi della vita, anche a fronte di situazioni limite come quelle presentate
nel lungometraggio. Un tema ardito, come anche la scelta di narrare la storia
di un reduce, ormai ridotto ad un tronco umano, immobilizzato sul letto; le
divagazioni, i sogni, i ricordi, allentano un po’ la situazione angosciante, ma
non distolgono mai del tutto l’attenzione dal punto focale. La scelta registica
di filmare in bianco e nero la realtà dell’uomo immobilizzato al letto di
ospedale, e la fase onirica o dei ricordi a colori, vuol essere significativa,
ma è soprattutto questa seconda parte a patire maggiormente una certa mancanza
di nerbo nella narrazione. Questi intermezzi colorati, alla fin fine, sembrano
utilizzati per allungare un po’ il brodo,
perché un uomo senza faccia, braccia e gambe, immobilizzato in un letto, non è
un protagonista che può reggere, almeno non nelle mani di Trumbo, la durata di
un lungometraggio. Insomma, se vanno riconosciuti i lodevoli intenti
dell’autore, sembra assai più difficile promuovere a pieni voti quanto poi è
rimasto impresso sulla pellicola.
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