1601_GLI SPECIALISTI . Italia, Francia, Germania Ovest 1969: Regia di Sergio Corbucci
Sergio Corbucci conferma, con l’interessante Gli specialisti, la sua fama di nume
tutelare, secondo solo al grandissimo Sergio Leone, degli spaghetti-western. Il regista romano ha una assoluta padronanza di
questo particolarissimo genere, e riesce ad inserire nel suo lavoro alcune
forzature che, a conti fatti, finiscono per essere tra gli aspetti più
rimarchevoli dell’opera. Ad esempio la presenza dei quattro giovani debosciati
che fumano hashish, o l’incredibile e grottesca ultima sequenza con gli
abitanti di Blackstone nudi e costretti a strisciare come vermi per la main-street, sono passaggi che, a rigor
di logica e coerenza narrativa, dovrebbero lasciare perplessi. Eppure
rappresentano anche il lato meno gratuito e scontato del film e, se li
assumiamo ad esempio, in generale del western all’italiana. Genere che può
avere un senso se porta qualcosa di originale, di realmente significativo,
perché diversamente l’idea di produrre film sulla conquista dell’ovest
americano girati in Italia o in Europa sarebbe davvero poco comprensibile. Da
un punto di vista squisitamente narrativo la storia è ben congeniata, e
riflette anche la critica sociale che probabilmente preme a Corbucci, che se la
prende con gli affaristi e la gente per
bene: sarebbero questi ultimi gli specialisti
del titolo, nel senso di ‘specialisti in linciaggi’, o, per proseguire con la
metafora, in giustizia di comodo. Il
protagonista è Hud, un pistolero che se ne va in giro con un gilet in maglia di
ferro in grado di respingere le pallottole (tipico espediente da
spaghetti-western) interpretato da un Johnny Halliday che fa un po’ troppo il
verso al Clint Eastwood della trilogia
del dollaro. Più interessanti le figure dello sceriffo interpretato da
Gastone Moschin, che pur sembrando un impiegato più che un uomo di azione,
rivela comunque una sua non comune dignità, e del bandito pseudo-rivoluzionario
messicano El Diablo (Mario Adorf), un personaggio interessante anche se, forse,
non definito fino in fondo. Nonostante moltissimi elementi siano smaccatamente legati
alla frontiera americana del 1800, nel complesso, vuoi per l’ambientazione
alpina, vuoi per certi passaggi davvero troppo grotteschi, il lungometraggio
sembra una sorta di pastiche,
divertente e graffiante: ma forse rappresenta meglio di tanti altri, l’anima anarchica
che è la cifra più tipica degli spaghetti-western.
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