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lunedì 27 giugno 2022

GIROLIMONI, IL MOSTRO DI ROMA

1039_GIROLIMONI, IL MOSTRO DI ROMA . Italia, 1972; Regia di Damiano Damiani.

Ecco un film che, in un certo senso, può essere utile come testo che aiuti a capire perché il cinema di genere italiano alla lunga abbia smarrito quella forza che, nei primi anni Settanta, lo poneva come riferimento a livello mondiale. Damiano Damiani aveva già dimostrato la natura politica della sua poetica, ed era perfetto per raccontare una vicenda come quella di Girolimoni, il mostro di Roma. Il Girolimoni (nel film Nino Manfredi), fu accusato ingiustamente di essere l’assassino seriale di bambine che negli anni Venti del XX secolo imperversava nella capitale italiana. Si era nel Ventennio fascista e, sempre seguendo un preciso volere del governo, al momento dell’arresto venne dato grande risalto alla cattura del (presunto) mostro mentre quando ci si rese conto dell’errore giudiziario si preferì far passare la cosa in sordina. Tutto ciò è, in modo evidente, materiale perfettamente nelle corde di Damiani, regista in grado di gestire in modo sontuoso la sponda gialla come anche tutte le connotazioni politiche che un racconto storico del genere implicava. Purtroppo, quello che nemmeno un regista autorevole come Damiani riuscirà a fare, sarà gestire l’esuberante personalità dell’italica star della pellicola. Intendiamoci: Nino Manfredi è, al solito, fenomenale ed è calato in un ruolo che gli sembra calzato su misura. Dovendo interpretare la vittima innocente del sistema, il Nino nazionale sciorina una prestazione compiaciuta, in tono con la sua grande esperienza di attore di commedie con cui aveva furoreggiato nei decenni precedenti. 

Quello che ne esce è un film amaramente ironico anche grazie all’esplicita sponda farsesca legata alla presenza di un Mussolini (Luciano Catenacci) credibile solo in chiave caricaturale. Certo, forse quest’ultima non è una idea così cattiva, in quanto poi, pensandoci bene, la resa scenica del Duce e dei suoi tirapiedi non è mica tanto male. Meno convincente la polemica col giornalista Di Meo (Orso Maria Guerrini), sebbene non certo gratuita mentre la più velenosa punzecchiatura al mondo clericale, col prete pedofilo e sporcaccione, sembra un po’ forzata, almeno in questo contesto. Nel senso, l’impressione è un po’ questa: stiamo parlando di un caso di pedofilia a Roma, vogliamo perdere l’occasione per metterci un’accusa ai preti? La verve politica, a cui dobbiamo molti interessanti spunti in Damiani, qualche volta rischia forse di andare un po’ fuori giri. 

O forse questo passaggio era, se non necessario, quantomeno utile visto la tipica impunità con cui pare si muovessero (sempre che sia giusto usare il tempo del verbo al passato) molti pedofili tra le fila della Chiesa. Tuttavia questi aspetti sono secondari e, in tono chiaramente provocatorio, è ovvio, si può azzardare a dire che il rimpianto maggiore che ci rimane, guardando Girolimoni, il mostro di Roma, è che alla fin fine, ci siamo trovati con un altro bel film con Nino Manfredi. Il che non è che sia un difetto, si è detto che l’affermazione è provocatoria, per carità: ma di film che raccontano della disgrazia di nascere in Italia ce n’erano già abbastanza. D’altronde il Belpaese è un paese in cui se si finisce sotto l’occhio dell’autorità, si è spacciati. Essere innocenti o colpevoli è un dettaglio relativo. 

Quello che fa la differenza, praticamente sempre in chiave negativa, è l’essere soggetti all’arbitraria volontà di persone minuscole che grazie al potere decisionale che conferisce loro un ruolo di una qualunque autorità, possono avere il loro momento di gloria, arrivando per capriccio a decidere della sorte di un altro. In questo senso viene da pensare che la presenza di un governo fascista in Girolimoni, il mostro di Roma sia un elemento storico non poi così rilevante. Intendiamoci, il fascismo fu la quintessenza di questa tipica attitudine dei funzionari, che peraltro non si è persa con la caduta di Mussolini. Il che ci pone un dubbio: era davvero una caratteristica peculiare del Ventennio? E, allora, perché non si è esaurita nel secondo dopoguerra? 

Questioni importanti, perché viene il sospetto che l’Italia sia un paese fascista nel profondo; un paese in cui il culto della personalità sia davvero radicato. Un culto responsabile di quello stesso modo ossequioso con viene rigorosamente trattato il potente di turno e che permea ancora oggi la nostra società; e a cui, pensandoci, si può ascrivere il comportamento della stampa che nel film è criticato proprio in questo senso. E che, in chiave meno grave, è quella che forse può rendere difficile la gestione di un attore affermato che, con la sua personalità, finisce per schiacciare tanto il regista che il film. Perché, dopo aver guardato il film di Damiani c’è un rammarico inevitabile. 

D’accordo il clima da commedia e il tono farsesco, che sono stati pure funzionali, ma che film avrebbe potuto essere Girolimoni, il mostro di Roma se si fosse insistito sul tenore che caratterizza l’incipit? Tutta la primissima parte, quasi una mezzora fino al significativo arrivo sulla scena di Manfredi – che cambia completamente il film – è un thriller pazzesco. Roma, quartieri popolari: la folla è inferocita per i continui assassini di povere bambine, vittime anche di violenza. Il vero serial killer, Tarquinio Tirabosco (Gabriele Lavia) è uno smidollato figlio di mamma che compie le bestiali atrocità colpendo bambine piccolissime, all’occasione anche tra i suoi parenti. 

Parenti di quella stessa famiglia nella quale sua madre (Anna Maria Pescatori) è tra le più pronte a scatenarsi contro il malcapitato che viene di volta in volta accusato. E questo anche quando sarà a conoscenza che il colpevole è il figlio. Ancora più degradante la figura di Assunta (Eleonora Morana) ritardata moglie di Tarquinio ma ben pochi, tra il popolaccio infame che Damiani mostra senza alcuno sconto né commiserazione, si possono salvare. La macchina da presa del regista friulano è incattivita quanto la gente di borgata e l’alibi della miseria economica questa volta non sembra la panacea con cui giustificare qualunque aberrazione dell’umanità. 

Quando il vetturino Sterbini (Mario Carotenuto) si tracanna un fiasco di vetriolo per vendicarsi contro i suoi concittadini per l’infamante accusa di essere il mostro, appioppatagli senza pensarci sopra troppo, l’unico che si indigna per il fatto è Tarquinio. Che, molto probabilmente, sta fingendo, essendo lui il mostro. Viene da pensare che gli altri prodi cittadini siano anche peggio, a sto punto. Insomma, una partenza davvero in quarta, per il film di Damiani e se poi ci si mettono alcuni passaggi visivamente piuttosto forti, ecco che abbiamo un corposo incipit che lascia intendere che ci si trovi di fronte ad un bel thriller, tosto e cattivo al punto giusto e anche oltre. Poi, come detto, entrano in scena Manfredi e il Mussolini de noantri interpretato dal Catenacci e ci ritroviamo nella classica commedia all’italiana giusto un filo acida. Ma il mal di stomaco c’è venuto a noi per il rammarico.  






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