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mercoledì 29 giugno 2022

ANGOSCIA

1040_ANGOSCIA (Gaslight). Stati Uniti, 1944; Regia di George Cukor.

La storia nel film era praticamente conclusa; l’intrigo era stato svelato, il manipolatore smascherato, la vittima ormai in salvo. E, particolare non da poco, era chiaro che la nostra eroina non era pazza ma completamente sana di mente. Insomma, Angoscia di George Cukor poteva anche chiudersi lì. Gregory (Charles Boyer, credibilissimo) era saldamente legato in soffitta, l’ispettore Brian (Joseph Cotten) aveva risolto il mistero e salvato Paula (una Ingrid Bergman da Oscar) con la quale poteva lasciar intendere di avere ben più di qualche chance per un lieto fine in divenire. Ma ci saremmo dovuto accontentare, si fa per dire, di un film magnificamente diretto da Cukor con scenografie strepitose (Cedric Gibbons, William Ferrari, Paul Huldschinsky e Edwin B, Willis), giusto per citare l’elemento tra gli altri che salta all’occhio nell’opera. In ogni caso il film è formalmente perfetto per cui anche musica (Bronislau Kaper), fotografia (bianco e nero di Joseph Ruttenberg), sceneggiatura (John L. Balderston, Walter Reisch e John van Druten) e gli altri tasselli che concorrono alla funzionalità della produzione sono di alto livello. Ma occorre ribadire che in Angoscia la scenografia, del resto uno dei punti di forza del regista considerata la sua formazione teatrale, è cruciale nel trasmettere la sensazione di angosciosa claustrofobia che avvolge la protagonista della storia. I titoli di testa sono a loro modo emblematici: scorrono su uno dei muri della casa, inquadrato abbastanza da vicino da permettere di vedere bene il motivo decorativo ricorrente nel tessuto della tappezzeria. 

E’ evidente la mancanza di spazio, tra noi e la parete, mentre la ripetitività del disegno concorre a dare un senso di ipnotica oppressione. La presenza di una lampada a gas, rivela poi quale sarà uno dei fattori al tempo stesso di inquietudine, il mistero legato all’abbassarsi della luce con la possibilità che si tratti di un’allucinazione che dimostri quindi la pazzia della protagonista, ma anche l’elemento finale di svolta quando anche Brian nota l’affievolirsi della fiamma. In effetti, con questa scelta, Cukor sembra dirci che è tutto sotto i nostri occhi e non ci sono grandi misteri da risolvere: non è l’insondabile psiche di una donna la chiave della faccenda ma la semplice bramosia di un volgare e incallito manipolatore, così come i gioielli sono nascosti in un luogo tanto in vista, sul più importante vestito di scena, e il rovistare nella soffitta sarà unicamente una fatale perdita di tempo per Gregory. Visto il suo curriculum Cukor non era particolarmente abituato a gestire le storie gotiche o di suspense eppure ottiene un risultato eccellente ricorrendo alle sue abituali conoscenze. 

La scenografia, premiata dall’Oscar, è come detto fondamentale ed è esaltata dall’efficace sodalizio con la fotografia: si veda la differenza tra la luminosa ambientazione italiana e quella nebbiosa e inquietante londinese. Una manifestazione esteriore che simbolicamente concretizza l’animo della protagonista. In questo contesto si innesta una Bergman nel pieno della sua radiosa bellezza e capace di una performance straordinaria, soprattutto quando declina la sua interpretazione in chiave folle col suo personaggio che inizia a convincersi della propria pazzia. Il lavoro sugli attori di Cukor è, al solito, notevole: la Bergman vinse l’Oscar e Boyer è strepitoso, d’accordo, e col mestiere se la cava anche Cotten; è forse però interessante come viene gestita un’assoluta esordiente come Angela Lansbury, non ancora maggiorenne, alle prese con un’attrice in stato di massima grazia come la prima protagonista del film. 

La diva svedese era in grado di assecondare le richieste del regista in ogni modo, tuttavia non era probabilmente semplice creare sullo schermo una tensione credibile con la dozzinale cameriera Nancy (il personaggio della Lansbury) che finiva per mettere in soggezione una signora d’alto lignaggio come Paula. La situazione era paradossale, giustificata narrativamente dal costante e subdolo lavorio di Gregory, e se una Bergman strepitosa garantiva la sua parte, che era di certo la più difficile da sostenere, non era neppure semplice l’apporto richiesto all’esordiente Angela. Al netto della riconosciuta sin da subito eccellente attitudine recitativa della Lansbury, la bravura di Cukor fu di sfruttare proprio l’essere un filo non ancora propriamente a suo agio sul set della ragazza. 

Del resto doveva essere straniante anche per una cameriera di periferia non esattamente bella ritrovarsi nel ruolo di motivo di imbarazzo per una vera signora, davvero magnifica nei sontuosi abiti ottocenteschi, come era la Paula interpretata dalla Bergman. Sin dai provini Cukor comunque non ebbe dubbi sulla Lansbury e i risultati gli diedero, come prevedibile, ragione. Tuttavia, come detto in apertura, il punto davvero interessante arriva dopo tutto ciò, quando il film avrebbe potuto anche dirsi risolto. Perché la scena in cui Paula sale per affrontare l’uomo che l’aveva tanto fatta soffrire, e che si trovava ora legato ad una sedia, è davvero un capolavoro. Che poi, apparentemente, non è che sembri una situazione così speciale: Gregory è stato smascherato e sconfitto da Brian e Paula dovrebbe ormai avere la piena consapevolezza di quello che è successo e quindi ritenersi fuori pericolo. Ma qui la Bergman si supera, riuscendo a rendere il confronto con il suo aguzzino legato e inoffensivo, una prova ardua che la donna riesce a superare solo grazie ad una forza d’animo notevole. Per la persona comune, oltretutto in una situazione di confort come ci si trova guardando un film, la situazione che Paula decide di affrontare non sembra affatto complicata. La tensione, legata all’intrigo della trama e al pericolo incombente sulla protagonista, si è ormai dissolta e lo spettatore in fondo non aspetta altro che il lieto fine tra la bella e il suo cavaliere. Eppure Ingrid riesce dapprima a convincerci che per una donna provata da mesi di manipolazione come è Paula è una vera impresa, affrontare il marito, seppure sia legato e anche se ormai sia consapevole che è un assassino ed un imbroglione senza scrupoli. Una volta creato grazie alla sua superba capacità recitativa questa difficoltà, riesce a sconfiggerla sfoderando una verve nient’affatto scontata. E, a condimento di ciò, riesce a fare tutto questo non senza togliersi sadicamente qualche sassolino dalla scarpa, quando si finge davvero svanita. Che dire, Cukor un maestro, Angoscia un capolavoro ma, signori, Ingrid Bergman insuperabile!   
















Ingrid Bergman 





Angela Lansbury 


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