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mercoledì 23 marzo 2022

IL RANCH DELLE TRE CAMPANE

991_IL RANCH DELLE TRE CAMPANE (South of St. Louis). Stati Uniti 1949;  Regia di Ray Enright.

La Guerra Civile Americana, da noi nota come Guerra di Secessione, fu uno scoglio durissimo da superare per gli Stati Uniti anche anni dopo la fine del conflitto. Si era trattato di un evento bellico tra i più tragici della storia dell’umanità e che si fosse perpetrato tra uomini appartenenti alla stessa nazione non agevolò certo la successiva pacificazione del paese. Il western, il genere storico americano al cinema, a lungo mostrò sugli schermi le difficoltà che il conflitto aveva lasciato nell’animo della popolazione. In quegli degli anni trenta e quaranta si raccontarono spesso le conseguenze della guerra, parlando di uomini che vedevano il loro destino influenzato in modo negativo da quei nefasti eventi. Erano i western romantici che mettevano al centro della scena fuorilegge e banditi, spesso ex ribelli confederati che con la sconfitta avevano perso tutto. In molti casi ci fu anche un’idealizzazione esagerata di questi personaggi che, in qualche esempio, erano stati solo uomini sfortunati ma in altri erano autentici pendagli da forca. Ray Enright era un regista che conosceva bene il tema, come evidenziato nei precedenti Frontiere Selvagge (1947) e Gli avvoltoi (1948) ma con Il ranch delle tre campane affronta direttamente il cuore del problema, ambientando la sua storia durante la Guerra Civile. Intendiamoci, il conflitto rimane un po’ sullo sfondo ma quelle che vengono mostrate sono le conseguenze tra la popolazione civile che, probabilmente, non si appassionava alle questioni politiche, economiche o razziali che fossero, quanto piuttosto cercava di trovare nel nemico una persona da odiare. 

L’odio, in un territorio violento e senza legge, era un sentimento infatti molto diffuso e la guerra aveva effetti che lo amplificavano in modo esponenziale. I protagonisti de Il ranch delle tre campane, Kip (Joel McRea), Charlie (Zachary Scott) e Lee (Douglas Kennedy) si vedono bruciata la loro fattoria dai predoni nordisti e questo fatto segnerà il loro destino: Pit e Charlie si danno al contrabbando di armi a favore dei sudisti, Lee si arruola direttamente nei confederati. A questo proposito occorre un approfondimento: la banda di irregolari più famosa della guerra fu quella capeggiata da Quantrill, che agiva al fianco dei sudisti. Le efferatezze che commisero spinsero gli stessi confederati a disconoscere i predoni di Quantrill ma comportamenti ignobili ci furono naturalmente su entrambe le sponde. 

E’ forse questo il senso della presenza nella storia di Cottrell (Victor Jory) un nome che, nella pronuncia americana, non è poi così diverso da Quantrill, che si palesa come irregolare schierato con gli yankee ma che cambia bandiera nel corso del racconto. Perché l’approccio alla questione bellica da parte di Enright è ben studiato per evitare eccessi faziosi: certo, la storia è ambientata sulla sponda sudista ma gli unionisti sono comunque ben poco coinvolti nel lungometraggio. Servono giusto per inquadrare la vicenda e, in uno dei rari passaggi iniziali, hanno anche un atteggiamento amichevole verso i nostri tre protagonisti. In realtà, divergenze con Cottrell a parte (che però cambia partito durante la storia), quello che si evidenzia sempre più, nel corso del film, sono i differenti modi di approccio sia alla guerra, con il solo Lee che si arruola, che agli affari, nel caso di Kip e Charlie. 

Il contrasto che avviene tutto interno a uomini del Sud impedisce il formarsi di schieramenti uniformi del tipo buoni da una parte e cattivi dall’altra. Posizioni diverse e fortemente contrastate frantumano questa possibilità di leggere la guerra con una divisione manichea con ragioni (o torti) disposti in modo uniforme da una sola parte. Questo aspetto è reso in parte concreto dalla scena in cui i confederati si scontrano con i contrabbandieri di Kip travestiti da nordisti: la battaglia è cruenta e vedrà lo sterminio della pattuglia di soldati ma lo scontro è frutto di un equivoco, visto che si tratta di uomini che stanno sotto la stessa bandiera. Una dimostrazione narrativamente concreta di quanto fosse folle la Guerra Civile. 

Enright, come regista, ha avuto spesso un’attenzione particolare nel precisare col giusto puntiglio situazioni sociali che nei film di genere, come erano i western degli anni quaranta, venivano invece trattate troppo spesso con superficialità, e questo oltre ad avere un occhio vigile sull’aspetto morale delle sue storie. Il finale, con la conversione prima di Kip, che si era incaponito contro Lee, reo di avergli soffiato la fidanzata, e poi addirittura di Charlie, il più venale e meno positivo dei tre, è un passaggio che avrebbe fatto meritare lo status di western classico all’opera, se non fosse che il regista è troppo legato agli stilemi del western romantico. Del resto questo memorabile momento lo dobbiamo prevalentemente a Rouge, la cantante da saloon interpretata dalla sontuosa Alexis Smith. La ragazza, tra l’altro, si produce in vari numeri canori, tutti scenograficamente riusciti in modo perfetto e ben amalgamati nella storia, confermando, oltre alle sue doti, la nota competenza di Enright su questo versante, maturata durante il suo periodo alla Warner Bros. Da ottimo rappresentante della corrente romantica del genere western, Il ranch delle tre campane non si limita alla presenza della sola Smith ma vede coinvolta anche una giovanissima Dorothy Malone nella parte di Deborah, la fidanzata di Kip che poi si sposa con Lee quando il primo sparisce dalla circolazione per fare il contrabbandiere di armi. 

La trama romantica è talmente ben orchestrata da sfociare nel melodramma, con la Rouge interpretata dalla Smith che tiene benissimo la scena sfoggiando una serie di audaci vestiti, davvero inconsueta per un western, nel tentativo di sedurre Kip, comprensibilmente restio a dimenticare una sventola come Deborah. Che, oltretutto, si guadagna punti anche facendo volontariato come crocerossina. Rouge, invece, cura i suoi interessi nel contrabbando e quando se ne tira fuori torna a fare la cantante nel saloon ma, sul più bello, è capace di ribaltare completamente a suo vantaggio la situazione. Sprona Kip, imbruttito dall’alcol, ad andare in soccorso di Lee, in pericolo di vita. Questi, che rappresenta la figura istituzionale del trio di protagonisti, a guerra finita è divenuto un Ranger del Texas e Charlie, che è invece rimasto una sorta di contrabbandiere, non ha visto di buon occhio il cambio di casacca dell’ex socio. Ma Kip non ha troppo voglia di intervenire, vedendo in Lee soltanto l’amico che lo ha tradito prendendo per sé Deborah; nel bel passaggio finale Rouge costringe l’uomo ad ammettere che quella è pura e semplice ottusa gelosia. Di nuovo, con Enright alla regia, è femminile il ruolo più memorabile e nello specifico è Alexis Smith a fornire la prestazione migliore in ogni singolo aspetto che la trama sottoponga agli interpreti. Sensuale, ironica, morale, commovente: una vera mattatrice.   





Alexis Smith 








Dorothy Malone 


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