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domenica 20 marzo 2022

I CACCIATORI DELL'ORO

989_I CACCIATORI DELL'ORO (The Spoilers). Stati Uniti 1942;  Regia di Ray Enright.

Ad Hollywood dovevano pensare che la novella di Rex Beach The Spoilers fosse un testo davvero valido visto che, prima de I cacciatori dell’oro, erano stati già ben tre gli adattamenti cinematografici. Quello di Ray Enright del 1942 è però davvero memorabile, non fosse altro che per gli illustri interpreti: Marlene Dietrich, John Wayne e Randolph Scott! Arrivata dalla Germania nel 1930, la Dietrich si era ambientata alla grande, nel cinema americano, dimostrando di sapersela cavare anche nei western, sebbene I cacciatori dell’oro ne fosse un esempio atipico, ambientato com’è in Alaska. Comunque Marlene era in grado di piegare ai suoi stilemi anche un genere dalle peculiarità così spiccate come quello ambientato alla frontiera, soprattutto se a dirigerla c’era un regista come quello de I cacciatori dell’oro. Ray Enright non era forse quello che si definisce un maestro di cinema, ma conosceva il suo lavoro ed era particolarmente attento alla definizione delle figure femminili. Anche nei suoi western, in cui l’aspetto esteriore di quell’attenzione si può facilmente osservare nella cura del vestiario delle sue protagoniste. In questo la Cherry Malotte interpretata da Marlene ne è un esempio eclatante, con i suoi voluminosi e ricercatissimi abiti mentre cammina sulle passerelle malmesse delle vie fangose di Nome, la cittadina dove è ambientata la vicenda. Sebbene possa sembrare strano, la sua sintonia con John Wayne era notevole: i due avevano già lavorato insieme ne La taverna dei sette peccati (1940, regia di Tay Garnett) e il Duca era in grado di lasciare una certa egemonia alla Dietrich senza uscirne per questo sminuito. 

Marlene era al contempo una donna bellissima e la quintessenza insuperabile (e insuperata) di fascino androgino e prova che la sua alchimia con un marcantonio come Wayne fosse tuttavia perfetta è la scena in cui il monumentale attore attende la compagna indossando uno dei suoi vistosi abiti. E’ la prima e unica volta in cui John Wayne appare sullo schermo, seppur brevemente, en travesti. Il terzo vertice di un triangolo che ben difficilmente può definirsi melodrammatico è Randolph Scott: nonostante possa sembrare oggi un po’ strano, l’attore americano aveva al tempo già una discreta fama oltre che una notevole esperienza nei generi più disparati e non solo legata ai western. 

Ad esempio, nel 1940 aveva infatti avuto un ruolo importante nella leggera commedia americana Le mie due mogli, (di Garson Kanin) e questa sua attitudine ai modi eleganti gli riesce perfetta nel ruolo di McNamara. Il losco funzionario dell’agenzia mineraria, dietro l’impeccabile aspetto, è la mente che organizza una truffa, dall’apparenza legale, per defraudare i legittimi proprietari delle miniere della zona. Scott ha la presenza scenica anche fisica per reggere l’urto di Wayne, caso assai raro nell’intera storia del cinema, e proverà ad inserirsi tra il personaggio del Duca e quello di Marlene, approfittando dei loro battibecchi, ma senza troppa fortuna. Se l’aitante attore poteva tenere testa al giovane Wayne, come testimoniato dalla lunghissima scazzottata tra i due, (quasi 4 minuti) che demolisce l’intero locale di Cherry, con la formidabile donna il nostro non riesce nemmeno ad imbastire un confronto. 

Il tema del racconto può sembrare un po’ scivoloso, sebbene vada ricordata l’appartenenza de I cacciatori dell’oro alla corrente romantica del genere. I western degli anni 40, celebrando spesso le gesta dei fuorilegge, avevano un rapporto difficile con la Legge e l’ordine; d’altronde raccontavano con nostalgia il periodo più selvaggio del selvaggio west, quando la cosiddetta civiltà era ancora una miraggio. Sebbene ambientato in Alaska, ai tempi della febbre dell’oro, I cacciatori dell’oro può essere assimilato ad un western romantico: siamo pur sempre alla frontiera, c’è una diffusa autonomia dalla legge e dalle istituzioni e, a livello cinematografico, spicca la presenza femminile della protagonista, il personaggio della Dietrich ovviamente, che domina tutto quanto il lungometraggio. Enright, forte della sua esperienza come regista di commedie musicali, trovò subito il registro adatto al western romantico, in questo caso approfittando anche della presenza di Helen (Margaret Lindsay), che prova vanamente a rivaleggiare con Cherry Malotte, insediando Roy. Può essere che, inizialmente, l’intento di Helen sia una sorta di strategia, ma poi si innamora sinceramente dell’uomo. Sulle prime intenzioni sentimentali della ragazza può sorgere infatti qualche dubbio: arrivata a Nome insieme allo zio Horace (Samuel S. Hind), che si spaccia per il giudice atteso in città, è invece parte di una banda di truffatori insieme al congiunto e a McNamara. 

Il quadro, seppur con tutti i distinguo del caso, non è molto edificante: in un paesino di frontiera arrivano presunti rappresentanti della Legge il cui unico scopo è defraudare i legittimi proprietari delle miniere: Inoltre, la disputa tra Roy, favorevole a seguire un percorso legale, e il suo vecchio socio Al (Harrey Casey), che invece riceve i suddetti rappresentanti della Giustizia a colpi di fucile, vede il secondo avere ragione. In sostanza se ne ricava che a Nome possono fare benissimo a meno della Legge; volendo, c’è anche una sorta di ironica critica alla moderne forme istituzionali. La comunità ha infatti eletto a sua regina il personaggio di Cherry, che ha una improbabile pettinatura che ricorda una corona d’oro oltre ad un guardaroba degno di una sovrana. Quando passa per le citate passerelle in legno di Nome gli uomini si buttano nel fango della strada pur di scansarsi ed è riverita da tutti, sebbene mantenga un certo distacco e non approfitti di questo suo enorme prestigio. La sua regalità innata risolve anche la questione razziale, un altro dei temi cari ai western romantici, visto che con la sua cameriera personale Idabelle (Marietta Canty), una corpulenta donna di colore, ha una naturale sintonia. Nel film Idabelle ha il compito, assolto alla grande, di alleggerire il tono della vicenda ed è protagonista di un gustoso sketch con John Wayne quando questi si tinge il volto di nero. Anche questo, la sua versione di colore, è un altro unicum nella carriera del Duca. E, a proposito del personaggio di Wayne, partner di Cherry Malotte, non a caso si chiama Roy (che è scritto in modo assai simile a roi, re, in francese) e nel film McNamara , tra l’altro, fa un esplicito riferimento in questo senso quando prova a salire sul trono. Un po’ come dire che nell’ovest il carisma di personaggi come Cherry Malotte o Roy poteva benissimo supplire alle infrastrutture sociali, tra l’altro più permeabili alla corruzione e al malaffare.
Avendo Marlene Dietrich a disposizione, è un cambio che non si farebbe fatica ad accettare nemmeno oggi.   





Marlene Dietrich





Margaret Lindsay

1 commento:

  1. e vabbè, un passo alla volta :)...non poteva essere disinvolto con entrambi, sarebbe stato troppo destabilizzante :D ...forse più dei vestiti di Marlene...e delle strane apparizioni del Duca :P

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