151_KRAMER CONTRO KRAMER (Kramer vs Kramer). Stati Uniti, 1979; Regia di Robert Benton.
Ecco un film esemplare dei seventies: ci sono, se non tutti, molti dei temi cruciali degli
anni ’70, ad esempio il femminismo che sfociava ormai nella sacrosanta
consapevolezza delle donne, la crisi della famiglia come la si intendeva in
senso classico, la necessità per l’uomo di reinventarsi un ruolo e,
naturalmente, anche i primi conti da fare con queste nuove idee certamente progressiste ma che, come ogni cosa,
presentavano ad un certo punto il rovescio della medaglia. Ovvero i figli (in
questo caso uno solo, il piccolo Billy) che in mezzo a questi cambiamenti
finivano per divenire un mezzo ostacolo all’inseguimento delle gratificazioni
personali dell’uomo o della donna di turno. Nel film di Benton, magistralmente
sospeso tra l’essere ruffiano e perfettamente sincronizzato sull’onda sociale giusta, prima è l’uomo che,
dedicandosi esclusivamente al proprio lavoro, trascura la propria famiglia, poi
è il turno della donna ad andarsene in cerca di una propria realizzazione
professionale. E, per tornare agli anni ’70, è importante dire che quest’uomo e
questa donna, i Kramer vs Kramer del
titolo, sono nientemeno che Dustin Hoffman e Meryl Streep. Ai due fuoriclasse
il regista Benton lascia briglia sciolta e i due non deludono ma anzi,
trasformano una, volendo anche semplice, comunissima e banale storia di
separazione famigliare, in una notevole operazione cinematografica e,
soprattutto, in una prova di recitazione d’alta scuola. Il titolo evoca, nella
formula in uso negli Stati Uniti, il processo che è, o almeno dovrebbe essere,
uno dei momenti topici della pellicola, mentre in realtà è forse proprio in
quella fase che il film mostra un po’ la corda.
Perché nel dibattimento gli avvocati mettono in scena le
proprie requisitorie, ovviamente largamente faziose, com’è normale che sia in
un processo di questo genere; il punto è che in questo modo si scopre un po’
quella che è l’idea alla base dell’opera. Il racconto, pur se interessante, ben
congegnato e messo in scena in modo professionale, è una sorta di romanzo a tesi, dove l’autore impone il
suo punto di vista sulla problematica questione, in modo eccessivamente
di parte. E questo è sempre antipatico per lo spettatore che voglia provare a
farsi un’idea nel merito che sia un minimo personale.
Niente di grave, che in questo senso si è visto di ben peggio, ma anche questo è un aspetto tipico degli anni ’70: si narra che al tempo ci fossero ancora i cosiddetti ideali, ma non per questo era semplice conservare una propria autonomia di pensiero.
Rimane in ogni caso una sontuosa prova d’attori e una riflessione su una questione ancora irrisolta e, se posta nei termini mostrati nel film, difficilmente risolvibile.
Meryl Streep
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