154_CUSTER EROE DEL WEST (Custer of the west). Stati Uniti, 1968; Regia di Robert Siodmak.
Il regista dal pedigree nobile (La scala a chiocciola, I Gangster) Robert Siodmak, dirige
questo film molto particolare dedicato ad una delle figure più leggendarie del
West, il Generale George Armstrong Custer (il titolo di generale è usato in modo improprio,
essendo il militare un tenente colonnello,
ma tant’è, la leggenda prevarica la storia, come si sa). L’autore chiarisce
subito che non si tratta di un documentario biografico o di un film storico:
dai cavalli tutti dello stesso colore come per uno spettacolo circense, agli
stessi che avanzano segnando teatralmente il passo, fino alla scena finale,
emozionante ma per nulla verosimile, tutto lascia ad intendere che il film è un
ritratto fortemente stilizzato della figura del Custer eroico. Il militare, qui
interpretato molto efficacemente da un superbo Robert Shaw, è una figura
controversa nella storia del west e viene generalmente criticato, ma Siodmak
centra lo spirito del personaggio forse nel modo migliore di quanto sia mai
stato fatto al cinema. Perché, che lo si voglia o no, Custer è stato un eroe
del west, e quindi è giusto trattarlo come tale; la statura eroica di Custer
nel film viene quindi resa, ciononostante sono evidenziati i limiti della
persona e anche del soldato. Custer, infatti, non esce mai dal suo seminato, in
quanto come individuo è un militare fino al midollo e quindi non si pone molti
dubbi sul proprio operato: il capitano Banteen, più sensibile alla questione
indiana, pare messo lì apposta per evidenziare i limiti morali del generale.
Dal punto di vista strettamente militare, la sua sete di gloria appare come un
ulteriore evidente limite. In effetti Custer, più che come uomo, nel film è
visto come figura, e quindi
bidimensionale: durante il dialogo col sergente Mulligan, condannato a morte
all’alba successiva, viene ripreso tra un immagine appesa al muro ed una statua
della Madonna, proprio come fosse anch’esso una rappresentazione e non un uomo
in carne e ossa. Custer è quindi una sorta di marionetta nelle mani di
Sheridan: quest’idea che la strada sia già segnata è resa cinematograficamente
da almeno tre sequenze in cui abbiamo anche delle soggettive che esplicitano lo
spirito del film.
La prima nel carro dei minatori, davvero audace la
soggettiva ribaltata, poi con il militare nel condotto idraulico per i tronchi
e infine con il treno che viene lasciato andare all’indietro senza freni: in
tutti e tre i casi percorso e sorte dei malcapitati sono segnati e, non potendo costoro guidare o decidere la propria strada, alla fine finiscono tutti ammazzati. Un
po’ come capiterà a Custer, ma con una decisiva differenza. Custer infatti
riesce ad incidere, a deviare dal percorso prestabilito, e questo è certamente il
suo lato eroico, assai più che le sbandierate 60 cariche nella Guerra Civile. Egli
rifiuta di presenziare e promuovere il treno blindato, del resto già approvato
da Washington, che rappresenta sia il nuovo modo di fare la guerra, sia il
concetto di predestinazione legato all’idea dei binari su cui corre il veicolo.
Smette cioè di essere la marionetta al servizio di
Sheridan (e di chi per lui), al che viene rispedito alla frontiera, cambia
uniforme indossando quella del nemico (la giacca in pelle scamosciata con le
frange tipica degli indiani), anticipa i tempi della manovra militare,
svincolandosi ulteriormente dal disegno predefinito, e trova la gloria della
morte in battaglia. E’ difficile capire il Custer personaggio storico ma,
sebbene questo film si presenti come un prodotto di evasione assai lontano da
quella che dovrebbe essere una ricostruzione attendibile, è facile che
l’impressione finale che rimane sia più vicina alla realtà di quanto si possa immaginare. Ma, al di la’ di questo, dell’aspetto storico cioè, il film ci
racconta di un eroe, di un autentico mito del West, e lo fa nel pieno
rispetto delle regole dell’epica e del cinema.
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