1634_FACCIA DI SPIA . Italia1975. Regia di Giuseppe Ferrara
La scena finale, con le Torri Gemelle
newyorkesi, le Towers 1 e 2 del World Trade Center, grondanti di sangue, è
forse il passaggio più incisivo di Faccia di spia di Giuseppe Ferrara.
Intendiamoci: si tratta di un breve frammento che, simbolicamente, riassume in
modo efficace il senso degli oltre cento minuti che l’hanno preceduto, tra cui
ce ne sono alcuni assai più pesanti, duri e violenti. Ma in quei passaggi, in
quelle ricostruzioni, che Ferrara, anche mirabilmente, opera, ci sono molti
punti in cui si può obiettare, dubitare, contestare, la tesi portata avanti dal
regista toscano. Questo non è certamente un problema, in sé stesso, dal momento
che ancora vigeva una certa libertà di espressione; però, proprio per sua
natura, l’essere schierato apertamente e spudoratamente, per un testo, ne
riduce di riflesso l’impatto. Viene cioè naturale dubitare di una tesi, quando
questa è presentata in modo univoco; certo non si può criticare qualcuno per la
convinzione delle proprie idee, tuttavia, esprimerle in modo meno fazioso
sarebbe un vantaggio, in termini di credibilità, anche per chi propugna una
certa opinione, perfino nel caso stesso dell’integrale fondatezza di questa. È
un paradosso, certo, ma in una forma di comunicazione come il cinema, che è
un’arte di massa, si deve giocoforza condensare e, a quel punto, lo spettatore
è costretto a compiere veri e propri «atti di fede» nei confronti del regista,
non potendo questi dare tutte le rassicurazioni e verifiche del caso. Ferrara
poi aveva le sue convinzioni, forti e decise, che aveva già avuto modo di
esprimere attraverso l’arbitrario uso di una violenta ibridazione tra
documentario e fiction con il suo esordio, Il sasso in bocca.
L’argomento era la Mafia, e le sue collusioni con il Potere; neanche stavolta,
il regista, si pose troppi dubbi o scrupoli, e raccontò la «sua» verità
sull’attività della CIA, il Central Intelligence Agency, il servizio segreto
statunitense, nel mondo negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo. Nel
complesso, quella di Faccia di spia, potrebbe anche essere una
ricostruzione abbastanza attendibile, tant’è che il finale, con le Twin Towers
insanguinate, è un simbolo efficace dell’imperialismo yankee. Quelle su cui,
come accennato, si possono avanzare perplessità, sono le varie ricostruzioni
che, necessariamente, devono basarsi su informazioni che, l’impressione è
quella, sono prese solo tra quante concordanti con la tesi di fondo di Ferrara.
L’accusa di faziosità è quindi anche legittima, nei confronti di Faccia di
spia, e chissà, forse anche certe scelte registiche del cineasta toscano
possono essere state tentativi di prevenire eventuali critiche in tal senso o,
magati, tese a crearsi una sorta di «giustificazione tecnica». In genere, Faccia
di spia è di difficile catalogazione, non essendo al tempo, nel 1975, già
così diffusa l’idea di docufiction tanto in voga oggi. Qualcuno lo definisce
documentario, altri film drammatico, mentre, come già ribadito, Antonio
Bruschini e Antonio Tentori, nel loro Nudi e Crudeli lo citano in una branca deviata –definita «realtà violenta»– dei Mondo movie. È una bella
intuizione e, probabilmente, lo stesso Ferrara dovette aver in mente il
fenomeno generato da Gualtiero Jacopetti e compagni, nell’assemblare il suo
bizzarro mix tra ricostruzioni con attori e filmati di repertorio di varia
natura. In ogni caso, fosse stato anche un passaggio inconscio, fu proprio la
sfacciataggine degli autori di Mondo cane, Africa addio e Addio
zio Tom, a sdoganare la «ricostruzione del vero»
come metodologia per il documentario –o presunto tale, almeno nel loro caso. L’impressione,
per la verità, è che fosse una pratica già diffusa, ovvero che i documentaristi
in molti casi «orchestrassero» le loro riprese in modo da mettere sullo schermo
quanto desiderato, finanche rispettoso di quella realtà che avevano intenzione di
documentare. Jacopetti portò questa pratica all’estremo e, in seguito, con Addio
zio Tom, imbastendo direttamente una storia di finzione, ambientata nel
passato, per ricostruire in modo fedele, almeno a suo dire, la Storia. Che
questo fosse vero, in questo momento interessa poco: quello che si può
osservare è come gli autori si presero, coscientemente e scopertamente, delle
libertà enormi, nel riguardo al trattamento della realtà che mostrarono. Questo
aspetto non fu del tutto esplicito, almeno in principio, nei Mondo movie,
sebbene la tendenza a enfatizzare alcune bufale, sembra una mezza ammissione di
scarsa affidabilità o, quantomeno, un invito a verificare l’attendibilità di
quanto visto sullo schermo. Lo scopo di Jacopetti, la necessità di alterare la
realtà a piacimento, era di poter scioccare lo spettatore, per cui serviva
calcare la mano su quegli aspetti che si mostravano già inconsueti nella realtà
ma che, sullo schermo, avrebbero funzionato in modo più eclatante se
enfatizzati. Che è un po’ il sistema della propaganda di regime, sebbene questa
abbia una tesi più nitida, più coerente, mentre i Mondo movie erano guidati, da
un punto di vista ideologico, da un certo qualunquismo. Andava bene qualunque
cosa, basta destasse sensazione. Ferrara si appropria degli stilemi dei Mondo
movie, e del cinema «di genere» italiano –si veda
la bottiglia di J&B maneggiata da Mariangela Melato– e li assoggetta ad una
tesi ben precisa, chiudendo quindi il cerchio e tornando, di fatto, al cinema
di propaganda. In questo modo, se si può legittimamente non condividere alcune
ricostruzioni del film, il regista può altrettanto legittimamente difenderle in
qualità di passaggi di «finzione».
Uno stratagemma che lascia le mani libere a Ferrara che può quindi sparare «ad alzo zero» sulla politica imperialista americana di cui la CIA fu il braccio armato. Inoltre, i passaggi cruenti, le interminabili scene di torture, le mutilazioni e tutto il campionario di violenza gratuita che il film sciorina manco fosse il peggiore degli shockumentary, se da un lato conferma l’iscrizione di Faccia di spia al «genere», dall’altro affianca i destinatari della critica di Ferrara –la CIA ma anche i suoi alleati cileni, italiani, greci e compagnia varia– a queste pratiche aberranti. Il montaggio schizofrenico che associa immagini di natura completamente diversa –le frenetiche operazioni della borsa valori di Wall Street seguono le cataste di cadaveri delle vittime del golpe cileno– diventa l’arma per veicolare le idee del regista, in modo chiaro e ficcante. La summa, di questo tutto lavoro, che lo condensa e ne smussa i dettagli più faziosi e a cui potrebbero essere mosse obiezioni, è la citata scena delle Torri Gemelle che, nel complesso è certamente significativa della Storia del pianeta dal dopoguerra fino ad allora, e, purtroppo, anche oltre. Si potrebbe chiudere qui, ma sarebbe un peccato non citare il bravissimo Adalberto Maria Merli, nei panni del capitano Felix Ramos, cubano al soldo della CIA, Claudio Camasio nel difficile ruolo di Ernesto Che Guevara mentre Salvatore Cucciolla è un credibilissimo Giuseppe Pinelli, l’anarchico accusato della Strage di Piazza Fontana. Ferrara opera un casting di stampo metalinguistico, utilizzando cioè gli attori per il peso del curriculum che si portano appresso. Questo era rimarcato, almeno nell’originale edizione nel film, anche nella scelta di Pietro Valpreda che interpretava sé stesso, certificando la natura ibrida, metà documentario, metà ricostruzione, di Faccia di spia; nella versione circolante ora questo passaggio è spesso assente. Cucciolla, che, tra le moltissime intense parti, aveva interpretato un altro anarchico, ovvero Nicola Sacco in Sacco e Vanzetti [1971 regia di Giuliano Montaldo], con la sola presenza assimila lo Stato italiano del dopoguerra a quello statunitense degli anni Venti del XX secolo, capace di condannare alla sedia elettrica due innocenti senza porsi troppi scrupoli. Tra i principali interpreti non rimane che Mariangela Melato, nei panni di Tania, una rivoluzionaria seguace del Che. La Melato era una grande attrice con un fascino magnetico, dovuto alla bellezza non certo banale, e, se ebbe comunque una carriera notevole, non ebbe il successo popolare che avrebbe forse meritato. In Faccia di spia, per la verità, nei panni della rivoluzionaria, non è proprio convincentissima ma Ferrara, probabilmente, la utilizza come testimonial del cinema di finzione italiano dell’epoca e, sotto questo aspetto, difficilmente avrebbe potuto trovar di meglio. Un’attrice che poteva passare, con immutata classe, sugli schermi dei film drammatici, grotteschi, poliziotteschi, comici, di fantascienza, e via di questo passo. Perfino dei Mondo movie.
Mariangela Melato
Galleria
Al fenomeno dei Mondo Movie, Quando la Città Dorme ha dedicato il secondo volume di studi attraverso il cinema: MONDO MOVIE, AUTOPSIA DI UN GENERE, AUTOPSIA DI PAESE
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