1632_I MALAMONDO . Italia 1964. Regia di Paolo Cavara
Paolo
Cavara, dopo i primi lavori con Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi, decise
di intraprendere la carriera di regista in forma individuale. Per la verità, la
sua prima opera, I Malamondo, non si discosta dal solco tracciato da Mondo
cane, raccogliendo inevitabilmente un’accoglienza non troppo diversa dalla
critica. Tra
le tante trancianti stroncature, si possono citare: “Un’altra occasione
sprecata”, A.S. Corriere d’informazione, “Insomma, il solito ipocrita e
indisponente moralismo”, Vice, La Notte, “Aiuto di Jacopetti in Mondo cane
e La donna nel mondo, Paolo Cavara ne riprende il cinismo, la sardonicità,
la disperazione, ma con minor passione, con minor disincanto”, L.P. La Stampa [Jacopetti Files, da
pagina 67 a 72]. Giudizi
un po’ superficiali, per la verità, perché, contemporaneamente, c’era già chi
osservava: “È invalso l’uso di incrudelire contro film di corrotta e deformata
documentazione che vanno sotto l’etichetta comune di pellicole «sexy». Si
tratta di un giudizio frettoloso, perché da prodotto a prodotto le differenze
sono notevoli. Prendete questo I Malamondo: sotto il titolo bizzarro non
c’è che una collezione di aneddoti, ora gustosi e ora piuttosto anodini, sulle
stranezze del mondo attuale. Non è sadismo, né gusto dell’orrido” [Vice, Il Giorno, Jacopetti
Files, pagina 70].
Ancora più rinfrancante quest’altro commento: “Si tratta generalmente di
episodi ricostruiti, sì, ma con fedeltà e piglio realistico” [Guglielmo Biraghi, Il
Messaggero. Jacopetti Files, pagina 75]. Sull’autenticità di quanto mostrato da Cavara,
sembra quindi ci sia unanime accordo sul dire che si tratti piuttosto di
ricostruzioni, del resto la natura dei segmenti narrativi lo conferma. Come si
potrebbero cogliere al volo le riprese della forsennata corsa in motocicletta
dei «teddy boys» di Leicester, o
partecipare, in modo discreto, alla festa della porchetta in Versilia? E che
dire del passaggio tributato a Adriano Celentano, che sembra uno scarto
raccattato da uno dei Musicarelli del tempo? Il «Molleggiato», qui degno
rappresentante di quelli che al tempo erano definiti «urlatori», e contrapposti
ai «melodici» dell’italica tradizione della canzone italiana, interpreta Sabato
triste che, duole dirlo, è il passaggio musicalmente forse più debole del
film. Perché, il commento sonoro de I Malamondo, opera di Ennio
Morricone, è invece uno dei punti di forza del lungometraggio e, in definitiva,
la sua vera ancora di salvataggio. A questa, infatti, sembra appellarsi anche
Cavara con l’armonia di certe sue riprese, quella evocativa del lancio del paracadute
ma anche forse il passaggio migliore del film, che nasconde un piccolo colpo di
scena, con la coppia norvegese in procinto di separarsi sul molo. In questi
frangenti il regista rallenta il ritmo, che nei Mondo movie è spesso sincopato
per sua natura, e la splendida melodia tema del film, Questi vent’anni miei,
si prende la ribalta, concedendo allo spettatore attimi di pura estasi.
Tuttavia, nel complesso, I Malamondo non può certo definirsi un film
convincente. Cavara sembra non voler rinnegare totalmente la prospettiva di Mondo
cane, e propone una lettura unilaterale e forzata di quello era sicuramente
il problema principale del tempo, ovvero quello generazionale. Che, per
assurdo, visto la contingente situazione, è una soluzione anche legittima, in
un certo senso: a pochi anni dall’esplosione della contestazione giovanile,
generalizzare sulle insofferenze delle nuove generazioni, poteva essere anche
un lecito strumento per rendere l’idea. Però è vero che Cavara non ha la verve
corrosiva di Jacopetti, e la sua bravura emerge in altri momenti di cinema,
come accennato quelli citati in cui, insieme alla musica di Morricone, si
prende delle pause evocative o comunque meno aspre. Nelle intenzioni, positivo
anche il segmento ambientato a Dachau, sede del famoso Campo di Concentramento
nazista, con il quale l’autore cerca forse di allontanare da sé le etichette
che le precedenti esperienze gli avevano in qualche modo affibbiato. Ma, in
definitiva, l’autore non ha la capacità lirica per sostenere le sue ambizioni e
anche nel chiudere il suo film, per quanto gli ingredienti gli avesse preparati
a dovere, manca un adeguato supporto emotivo. Sulla la lieve musica di
Morricone, vediamo una bella ragazza, vagamente triste, che apprendiamo essere
in preda a tendenze suicide, un problema serio che affliggeva la gioventù
svedese. A questo punto Cavara chiude il suo film in una chiesa: quasi che
questa possa essere la soluzione per i disagi generazionali. La Storia dirà che
la rivoluzione sessantottina metterà al primo posto, tra gli obiettivi da
contestare, proprio la religione costituita, scendendo nelle piazze al motto di
Né Dio, né Stato, né Famiglia. E questo è simbolico di come il regista,
pur nei lodevoli intenti, non riesca, con I Malamondo, a cogliere nel
segno che si era probabilmente preposto.
Al fenomeno dei Mondo Movie, Quando la Città Dorme ha dedicato il secondo volume di studi attraverso il cinema: MONDO MOVIE, AUTOPSIA DI UN GENERE, AUTOPSIA DI PAESE
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