Translate

mercoledì 28 dicembre 2022

ENIGMA FRANJU_3: EN PASSANT PAR LA LORRAINE

1189_EN PASSANT PAR LA LORRAINE Francia 1950; Regia di Georges Franju.

3_continua. 
Il cortometraggio Le sang des betes ha una certa eco, e non è difficile immaginare il perché, visto la forza sconvolgente delle immagini. Per fortuna di Franju Le Sang des Bêtes è particolarmente apprezzato dal versatile artista Jean Cocteau che ne scrive una recensione positiva: per il regista bretone si aprono nuove possibilità la prima delle quali è un documentario sulla Lorena. Visto l’esiguo tempo a disposizione e considerata l’importanza storica della regione in questione, sottolineata sin dal font scelto per le scritte nei credits di testa, Franju intitola il suo film En passant per la Lorraine, a ribadire lo sguardo di sfuggita che è nelle possibilità di un corto. La precedenza è giustamente data alla tradizione e all’aspetto storico con le statue dei vari personaggi locali, tra cui Giovanna D’Arco, e poi un salto nella città di Nancy e a seguire le anonime pianure sotto cieli perennemente imbronciati, caratteristica dell’intero cortometraggio, famose per essere i luoghi di celebri battaglie, valga per tutti la piana di Verdun. Poi la cattedrale di Metz e le celebrazioni popolari per il 14 luglio, festa nazionale francese: con le immagini di ragazze coi vestiti che la voce narrante ci informa essere colorati – il film è in bianco e nero – tra un ballo e l’altro c’è un fermo immagine di un ragazzino elegantemente vestito. Pare sia un sopravvissuto alla strage di Oradour-sur-Glane, dove i nazisti uccisero 643 civili inermi nel 1944: al solito, Franju, inserisce almeno un elemento contrastante, in questo caso un rimando al terribile evento in un contesto di segno opposto, come appunto la festa nazionale. Oltretutto con una scelta tecnica forte come l’arresto del flusso delle immagini, in contraddizione con quello che ci si aspetta da una visione neutrale che dovrebbe avere un documentario. 

Le immagini della festa riprendono e poi le succedono i paesaggi rurali della Lorena; ad un certo punto, un traliccio in ferro di una linea elettrica compare come elemento stonato sulla scena bucolica. E’ l’anticipo al piatto forte del documentario: l’attività mineraria e siderurgica della Lorena. Qui Franju si supera, accompagnandoci in un viaggio fin dentro le miniere, le acciaierie e le fonderie con una serie di inquadrature tanto divulgative quanto tecnicamente valide da poter essere definite senza timore perfino artistiche. Siamo nell’immediato dopoguerra e miniere e impianti siderurgici non sono certo il luogo ideale da portare come esempio di sicurezza sul lavoro eppure il regista francese riesce a cogliere tanto la maestosità dell’attività quanto i rischi connessi, senza scadere nella retorica né di protesta né tantomeno celebrativa. 

E’ un film su commissione, giova ricordarlo, e l’idea delle istituzioni è alimentare il sentimento patriottico e la fiducia nel paese; Franju svolge questo compito con estremo equilibrio, appassionandosi agli aspetti tecnici del lavoro e mantenendo un profilo discreto, come si conviene ad un documentario. Ma, come detto, la sagacia dell’autore bretone è sempre in agguato: ‘la moderna miniera di Faulquemont’, recita ad un certo punto la voce narrante, mentre le immagini mostrano un edificio industriale moderno e dalle linee semplici e pulite. Mentre veniamo informati che l’impianto è anche ‘silenzioso come un ospedale’ Franju concentra il suo obiettivo sull’altissima ciminiera: nella sinistra assenza di commento sonoro un fumo nero sembra scendere, grazie alla prospettiva della macchina da presa, subdolamente lungo la colonna di cemento, quasi di soppiatto. A questo punto l’essere silenzioso che era stato presentato come un pregio dell’impianto, diventa quasi un elemento ingannevole e inquietante. Il fumo è nero e denso, e su questo non ci possono essere fraintendimenti. Il viaggio all’interno della siderurgia, tra il carbone coke e i lingotti di acciaio fuso, prosegue ed è la parte più consistente del documentario, oltre che la più interessante. Poi, prima di chiudere, Franju ripresenta gli scenari con cui ha aperto: la campagna, le bellezze architettoniche e infine la festa paesana: pochi minuti, giusto come all’inizio, quasi a simboleggiare che l’industria pesante abbia fatto incursione nella vita della Lorena e si sia piazzata in posizione centrale e dominante, relegando natura, storia e tradizione ai margini. Come si è ormai capito, Franju arriva sempre dove deve arrivare anche quando apparentemente si contiene.
_continua. 




Nessun commento:

Posta un commento