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giovedì 23 settembre 2021

SULLY

896_SULLY ; Stati Uniti, 2016; Regia di Clint Eastwood.

E’, come prevedibile, un’opera molto interessante Sully, film del 2016 di Clint Eastwood. Interessante ed esplicativa. Ci svela, forse, anche il perché dell’essere sempre più classico del cinema del grande vecchio di Hollywood. Ora, questo suo filmare in modo sobrio e asciutto, prende un senso che va oltre il gusto estetico o allo stile. Perché la storia di un pilota che atterra con un aereo di linea su un fiume, sembrava fatta apposta per mettere in scena i mirabolanti effetti speciali che la settima arte offra oggi ad un regista. E che dire dell’eroismo del pilota? A prima vista, altro carburante per una possibile storia esaltante ed entusiasmante sull’Eroe Americano già ammirato in tanti film di Hollywood. Ma ad Eastwood interessa altro. Ad esempio, lo scontro di cui ci hanno parlato tanti racconti o pellicole di fantascienza. Quelli in cui le macchine, i robot, gli automi, divenuti senzienti, prendevano controllo del mondo a discapito degli umani. Bene, un po’ a sorpresa, quel tempo è arrivato. Ma non siamo in un film di fantascienza come Essi Vivono (1988, regia di John Carpenter); purtroppo no, purtroppo è la quotidiana e grigia realtà di oggi. Talmente grigia, talmente ordinaria, che per raccontarla con credibilità, occorrono freddezza e lucidità. Occorre uno stile sobrio e asciutto; classico, appunto. Perché altrimenti si finirebbe per pensare che sia tutto finto, che sia un film; ecco, magari proprio un’americanata, come si suole dire. Insomma, vi pare credibile che un computer conti più di un uomo? Figuriamoci, è credibile come un areo di linea che atterra indenne su un fiume.
Per questo il film ha questo stile e per questo si basa su una storia vera.

Infatti il mondo di oggi è davvero diviso in due, e c’è una parte migliore, come esplicitato nei titoli di coda, quella ancora umana, che conosce un mestiere, un lavoro, e lo fa con dedizione. Nel film, non solo il pilota (Chesley Sully Sullenberger, interpretato magistralmente da Tom Hanks), ma tutto l’equipaggio, i passeggeri, i soccorritori. Gente normale che, quando occorre, può tranquillamente (si fa per dire) assurgere al ruolo di eroe: working class heroe, l’eroe della classe lavoratrice. Fai il tuo dovere con coscienza e sarai un eroe. Questo ci hanno insegnato: qua Superman non serve, basta che ognuno faccia la sua parte.
Questa è la parte migliore del mondo, della nostra società. Quelli che sanno fare qualcosa e che lo fanno, nella realtà di tutti i giorni. Prendendo decisioni sulla propria pelle, facendo i conti con la propria coscienza. Il fattore umano, la famigerata X di cui alla fine deve prendere coscienza la donna membro della commissione.
La parte peggiore è invece quella che si contrappone a quella migliore: tecnocrazie e burocrazie informatizzate, che usano le macchine, i computer, per manipolare la realtà a piacimento. Inseriscono i dati negli elaboratori al proprio comodo, ostentando poi come dogmi sacri e insindacabili i risultati dei processi del calcolo informatico. Il culto dell’algoritmo ha raggiunto i vertici della società e, prima fra tutte, governa naturalmente l’economia. 


D’altra parte, se il comandante si pone come obiettivo salvare tutte le 155 vite umane imbarcate sul suo volo, i membri della commissione si interrogano sul fatto che i danni sostenuti nell’ammaraggio potevano essere risparmiati con un ritorno all’aeroporto. Chi guarda il conto delle vite umane e chi invece il danno economico: questa è la sintesi della disfida filosofica ma che riguarda la nostra vita concreta.
Sullo sfondo di questa battaglia tra la parte migliore e quella peggiore, c’è la stampa. La stampa salta da una parte all’altra, ora incensa l’eroe, ora lo mette in discussione. Ma è realmente efficace solo quando recita il suo ruolo di buffone di corte, come nella scena al David Letterman Show.
Emblematicamente, nel film, le scene più importanti, emozionanti, sono quelle che i protagonisti rivivono, nella loro mente, a occhi aperti o in sogno, oppure ascoltando le registrazioni. Comunque cose frutto di esperienza, cose concrete. All’opposto tutte le riprese video dei reportage dei media rimangono invece, clamorosamente, sullo sfondo, inefficaci, incapaci di cogliere l’essenza delle cose. Futili come chiacchere da bar, dove, nel film, efficacemente viene posta una tv che parla dell’accaduto.
Il finale del film, volendo, è anche consolatorio. Apparentemente un lieto fine, potremmo dire; ma la vittoria in tribunale porta con sé comunque i germi di un futuro tutt’altro che roseo: i 35 secondi con cui si stabilisce, a posteriori, il tempo di reazione del pilota sono solo apparentemente la chiave di salvezza per il fattore umano, che ne esce compresso in quell’esiguo tempo. Ma poi, chi stabilisce che siano 35 secondi? Qualcuno non presente in aula. Altro passaggio filmico di rara efficacia.
Alla parte migliore della società, a quelli marchiati dalla X del fattore umano, non resta che trovarsi in gruppo a raccontarsi la propria esperienza, come si vede nelle scene finali del film.
Un po’ come nei circoli degli ex-alcolisti, è vero; ma raccontarci l’un l’altro la propria esperienza, come in fondo fa il cinema, è la nostra speranza di salvezza.
Il nostro fattore umano. 





Laura Linney


Anna Gunn


Molly Hagan


2 commenti:

  1. Proprio ieri sera con mio padre si parlava del principio di immediatezza e del fatto che a volte le prove sorpassano la fase istruttoria... Ma quei 35 secondi mi sanno davvero di scenario distopico...
    O_o

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  2. Stiamo in uno scenario distopico, mi sa... :(

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