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martedì 7 settembre 2021

BIANCO E NERO A COLORI

887_BIANCO E NERO A COLORI (La victoire en chantant). Costa d'Aviorio, Francia, Germania e Svizzera, 1976; Regia di Jean-Jacques Annaud.

Premiata con l’Oscar per la miglior pellicola straniera nel 1977 in rappresentanza della Costa d’Avorio, Bianco e Nero a colori di Jean-Jacquest Annaud è un’opera strepitosa. E’ difficile pensare oggi ad un linguaggio tanto lontano dal politicamente corretto quanto è quello che si respira in Bianco e Nero a colori: non solo viene messo alla berlina il colonialismo europeo con graffiante sagacia, ma non sono risparmiate ficcanti stoccate anche alle ideologie occidentali più illuminate e persino gli africani sono tratteggiati senza alcuna reticenza. Ed è proprio sotto questo aspetto che il film di Annaud vince a mani basse la sua partita: è un terreno che doveva essere scivoloso anche al tempo (e oggi totalmente impraticabile) ma l’intelligenza e l’acume del regista riescono a inquadrare sempre il racconto in modo inequivocabile, scongiurando qualsiasi possibile obiezione di razzismo o qualunquismo ideologico. Così i francesi sono mostrati nella loro sciocca arroganza, i tedeschi nell’ottusa intransigenza, gli africani dei villaggi nell’opportunismo senza pudore e quelli della savana allo stadio quasi primitivo ma, grosso modo tutti quanti, sempre pronti a cavalcare l’onda giusta nel momento che capiti. Fresnoy (Jacques Splesser) il giovane geografo, intelligente ed istruito (insomma, uno che sembra essere meno ottuso degli altri), una volta acquisito il prestigio approfitta subito dei privilegi connessi. E peggio di lui fanno la sua donna, la ragazza africana con cui decide di accompagnarsi, e Barthelémy (Marius Beugre Boignan), nativo che si comporta al volo da arrivato appena il suo superiore Fresnoy acquista il potere in quel di Fort Coulais. 

La vicenda è infatti ambientata nello sperduto avamposto dell’Africa Equatoriale Francese, abitato da un pugno di bianchi che gestiscono una sorta di posto di commercio. I possedimenti coloniali tedeschi sono ad un tiro di schioppo e siamo nel gennaio 1915: che cosa ci fanno, allora, Kraft (Dieter Schidor), ufficiale dell’imperatore Guglielmo II, e i suoi askari, tranquillamente all’interno dell’insediamento francese? Qui cominciano le cose buffe del racconto, che la musica di Pierre Bachelet accompagna adeguatamente: pare che, da quelle parti, nell’Africa equatoriale, non sia ancora giunta la notizia dello scoppio della Grande Guerra. Che arriva giusto a quel punto con un pacco di giornali recapitati a Fresnoy. Uno dei passaggi più spassosi dell’opera è proprio legato alle reazioni dei coloni francesi di Fort Coulais alla lettura dei giornali da parte del geografo: “Jaures è stato assassinato!” esclama sgomento Fresnoy, e il sergente Bosselet (Jean Carmet), l’unico militare bianco nell’avamposto, alza le spalle mal celando la sua ignoranza nel merito. Il geografo si acciglia e smette di leggere ad alta voce mentre padre Simon (Jacques Monnet) afferra un altro quotidiano e si lascia sfuggire una esclamazione non proprio consona alla sua veste: “Dio del Paradiso! Amici miei, siamo in guerra!”. 


Ecco una notizia che sembra poter scuotere il serafico Bosselet: “Siamo chi?”. “Noi, la Francia.” Risponde l’altro religioso, padre Jean de la Croix (Peter Berling) che intanto ha preso un altro giornale. Naturalmente i quotidiani sono dell’agosto del 1914, evidentemente c’è un certo ritardo nel consegnare la posta nell’Africa Equatoriale. E quindi Caprice (Maurice Barrier), uno dei commercianti del forte, si chiede come sia andata a finire quella guerra scoppiata ormai da mesi ma i giornali più recenti sono del 13° agosto, con la Grande Guerra assai lungi dall’essere conclusa in qualche modo. Per lo strampalato ritrovo di persone rimane un altro interrogativo, formulato dalla bella Marinette (Catherine Rouvel, deliziosa), consorte di Caprice, che domanda chi sia il nemico contro cui si combatte. 

Contro la Germania, ovviamente”, risponde padre Simon, sorprendendo Paul Rechampot (Jacques Dufilho), gestore dell’altro emporio del forte e convinto che la guerra fosse contro gli inglesi. Paul si allarma subito ma non perché il nemico tedesco sia vicinissimo, ma bensì perché ha appena fatto credito di quasi 58 franchi a Kraft. E’ solo al quel punto, mentre Paul si lamenta col fratello Jacques (Claude Legros) e Maryvonne (Dora Doll), giunonica moglie di uno dei due Rechampot (o di tutti e due?), dei soldi persi ora che la Germania non onorerà certo i debiti con un emporio nemico, che Caprice focalizza che il fronte è appena al di là del torrente. Questo è il divertente prologo alle azioni militari, che andranno dal reclutamento dei nativi nelle assai improvvisate truppe coloniali francesi, alla prima vera e propria azione di guerra, l’attacco a sorpresa dell’insediamento tedesco. La natura farsesca dell’operazione, che somiglia ad una carnevalata inconsapevole, non ne evita il fallimentare e tragico risultato, a riprova della validità del testo filmico che, pur nel suo essere leggero, non manca di momenti altamente drammatici. Gli sviluppi della situazione, l’ascesa carismatica di Fresnoy e, a quel punto, il suo rivelarsi non certamente molto più degno dei suoi compari di avventura, il comportamento ambiguo dei religiosi, le meschinità dei coloni e le bizzarrie dei nativi, tutto coopera alla riuscita di un quadro cinico, disilluso ma anche tanto, tanto divertito e divertente. Si ride per non piangere, ovviamente, ma che altro si può fare. Non tanto per quel che vale l’Oscar, un premio di una associazione privata con evidenti conflitti di interessi, ma in questo caso si tratta di un riconoscimento strameritato. 







Catherine Rouvel



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