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sabato 11 settembre 2021

LE JENE DEL QUARTO POTERE

890_LE JENE DEL QUARTO POTERE (Deux hommes dans Manhattan)Francia, 1959; Regia di Jean-Pierre Melville.

Ripudiato esplicitamente dal suo autore (“In che posizione lo colloco nella mia opera? Non lo colloco, lo ripudio”), Le jene del quarto potere è invece un film decisamente interessante. Certo, alcuni aspetti un po’ sperimentali del lungometraggio sono evidenti, come l’uso continuo delle panoramiche (a dispetto della carenza di movimenti di macchina o carrelli): la storia è ambientata a Manhattan e Melville, che tra l’altro è pure uno dei due attori protagonisti, sembra si stia guardando un po’ in giro. Quello dell’ambientazione newyorkese è un altro aspetto degno di interesse perché l’autore, che con la sua opera sta contribuendo a definire i canoni del polar (termine che deriva dalla fusione di policier e noir, e che è una corrente tipicamente francese del poliziesco), si rese conto, guardando Giungla d’asfalto, dell’assoluta somiglianza tra una scenografia d’interni del film di Huston e quella di una sua opera rimasta incompiuta. Oggi, in tempi di globalizzazione, la cosa può sembrare poco rilevante, ma all’epoca era certamente un aspetto curioso che fu portato allo scoperto dal genere noir, per via del suo mettere l’ambientazione urbana sempre in piano. Quindi Melville, anche per via dei suoi problemi produttivi nella terra natia, decise di trasferire il suo poliziesco in America, a New York, una volta costatato che il terreno su cui muoversi era molto simile. Che poi il termine poliziesco è un po’ inappropriato perché, sebbene Le jene del quarto potere racconti di un’indagine, di poliziotti non v’è traccia, nella storia. Si tratta, in effetti, di un’indagine giornalistica, ma ha tutti i crismi dell’investigazione poliziesca, con l’affannosa ricerca di un diplomatico francese in servizio all’ONU e scomparso senza motivo dalla Grande Mela.

Nella parte dei due giornalisti protagonisti Pierre Grasset è Delmas, un fotografo donnaiolo e alcolizzato, e lo stesso Melville è Moreau, individuo certamente più a modo. Se, a livello di trama, il film resta sempre godibile, aiutato in questo da una certa licenziosità del soggetto (si indaga nel mondo dello spettacolo o nei locali a luci rosse), si nota subito la mancanza di un nemico, di una vera e propria controparte ai due segugi sulle tracce del diplomatico. In realtà la parte del cattivo finisce per farla Delmas, il fotografo, che si rivela essere un tipo piuttosto spregiudicato, anche perché Melville lo mette a fianco di Moerau che è, al contrario, diligentemente conformato ai buoni costumi. Questo taglio del tutto sorprendente dell’opera che, per essere un film poliziesco, non vede praticamente mai i nostri in pericolo, né alcuna minaccia fisica si para mai al loro orizzonte, lascia così il campo sgombro per i dubbi morali che la coppia di reporter deve affrontare. E se per Moreau è facile la scelta (anzi, sembra quasi una non-scelta, ma piuttosto un’obbedienza di routine all’etica), Delmas si dimostra un personaggio molto interessante, in grado di destreggiarsi tra costrizioni dell’autorità (il superiore di Moreau che lo intima di attenersi alle disposizioni), comportamenti fortemente censurabili (l’interrogatorio alla donna sul letto d’ospedale o la vile messa in scena per infangare la memoria del diplomatico e aumentare il valore delle fotografie), ma anche decisioni sofferte e moralmente oneste.
Sempre con il sorriso sulle labbra e un bicchiere in mano: un po' come il cinema di Melville.  









Monique Hennessy



2 commenti:

  1. la globalizzazione...che gran tristezza, posso dirlo? :-(
    comunque questa cosa che non subiscono minacce fisiche mi piace ;)

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  2. Mah, in realtà credo che la globalizzazione sia cominciata sin dall'inizio di quella che noi intendiamo per civiltà. Se invece si intende certi eccessi, sono d'accordissimo. Io, per dire, detesto l'utilizzo smodato di anglicismi nel linguaggio. Qualche termine ci sta, così come anche dal latino o dal francese o da altre lingue, ma senza esagerare. Invece oggi si usano parole inglesi per dire cose banali come 'incontro' per non parlare in ambito professionale.

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