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giovedì 20 giugno 2019

I RECUPERANTI

367_I RECUPERANTI . Italia, 1970Regia di Ermanno Olmi.

Il regista Ermanno Olmi è un autore atipico e la sua cifra stilistica rifugge una narrativa forte, trascinante. Lo si capisce sin dagli esordi: l’attenzione è posta alle persone semplici, agli aspetti considerati più marginali della società italiana, dall’ambientazione montana alle vicende di chi, arrivando dalla periferia, si trova a contatto con la grande metropoli. Ma questo non vuole assolutamente dire che Olmi non sappia raccontare. C’è almeno una scena, ne I recuperanti, film del 1970, emblematica della poetica e della validità della prosa dell’autore lombardo. Gianni (Alfredo Carli) e Vu (Antonio Lunardi) devono disinnescare una grossa bomba; questo è, infatti, quello che fanno i recuperanti: recuperare materie prime dagli ordigni della guerra, spesso inesplosi. La bomba in questione è gigantesca; è un giorno di pioggia e Vu, un bizzarro vecchio male in arnese ma indomito, visto il maltempo, propone al socio Gianni di scannare il maiale. Ovvero disinnescare la bomba. L’uso di un linguaggio metaforico nel suo essere folcloristico non è un dettaglio trascurabile: indica come Olmi (coadiuvato qui da Tullio Kezich e Mario Rigoni Stern) tenga sempre desta la sua prosa, dandole profondità. La bomba viene alloggiata con la massima cura, all’interno della baita che sembra più che altro una baracca. Infatti piove dentro. La testata della bomba deve essere pulita dalla ruggine con il petrolio, e i due uomini provvedono agendo con una piuma intrisa, con grande delicatezza. Vu, sempre su di giri, mentre attende che il petrolio faccia effetto, comincia a raccontare di una volta in cui, nella sua baita, si trovò a tu per tu con una grande volpe, che voleva arraffare il suo grosso pezzo di lardo. Intanto gocciola acqua proprio sulla bomba. 
Gianni esce per sistemare il tetto della baracca, e si pensa possa succedere qualcosa da un momento all’altro, visto l’attesa creata per l’operazione di disinnesco e per la storia della volpe, mentre quello dell’infiltrazione sembra il classico granello di sabbia che manda tutto all’aria. Invece tutto poi fila per il meglio: la bomba non esplode e il vecchio racconta come prima si mangiò il lardo, e poi anche la volpe! Un passaggio narrativamente raffinato e ben costruito, anche se secondario nel contesto del racconto. Quello de I recuperanti è un film ambientato sull’altopiano di Asiago, subito dopo la seconda guerra mondiale. Gianni ritorna dal fronte russo, volenteroso di lavorare e farsi una famiglia, ma lavoro non ce n’è. Il fratello emigra in Australia e la tentazione, anche per Gianni, è forte. Ma è appena tornato e non se la sente di ripartire subito; così si adegua all’unico lavoro possibile, con altri del paese in una segheria autonoma e abusiva. 
Come accade tipicamente in Italia, lo Stato, del tutto assente per sostenere anche chi ha messo a rischio la propria vita per servirlo, è invece lesto ad intervenire in modo repressivo, nella figura delle autorità locali, che minacciano e poi sanzionano i poveri boscaioli, rei di non avere l’autorizzazione per tagliare le piante. Questo passaggio è cruciale nel tratteggiare una caratteristica della società italiana: i funzionari pubblici, di qualunque natura, sono generalmente pigri ed indolenti nelle loro proprie funzioni, non si spiegherebbe l’inefficienza diffusa a tutti i livelli, ma vengono colti dal sacro fuoco del dovere quando devo reprimere o sanzionare qualche attività che non sia perfettamente e assolutamente conforme alle migliaia di pastoie burocratiche. 
Solo per il passaggio della segheria autonoma, I recuperanti meriterebbe un posto d’onore proprio per come illustra in modo esemplare questo aspetto, senza per altro scadere nel qualunquismo, visto la proverbiale sobrietà della narrazione di Olmi. Ma il tema principale verte sulla figura di questi disperati, I recuperanti appunto, uomini disposti a sfidare la sorte, pur di cercare dimettere insieme di che vivere. Olmi è come suo solito troppo nobile, per vedere nel rischio della vita un ostacolo alla ricerca della propria realizzazione (perlomeno finanziaria); non è infatti per la tragedia occorsa a tre recuperanti, che Gianni smette l’attività e accetta di fare il manovale in cantiere, un lavoro umile e malpagato. Quello che colpisce il ragazzo, è scoprire i corpi dei soldati morti, in una trincea, laddove con Vu sperava di trovare un bottino di materie prime. Arricchirsi rovistando tra i cadaveri, assomiglia troppo allo sciacallaggio, e Gianni, non riesce proprio ad andare avanti. In fondo, il destino comune a tutte le persone sensibili in un paese che non offre speranze e non concede nessun futuro a chi non abbia due dita di pelo sullo stomaco.


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