367_I RECUPERANTI . Italia, 1970. Regia di Ermanno Olmi.
Il regista Ermanno Olmi è un autore atipico e la sua cifra
stilistica rifugge una narrativa forte, trascinante. Lo si capisce sin dagli
esordi: l’attenzione è posta alle persone semplici, agli aspetti considerati
più marginali della società italiana, dall’ambientazione montana alle vicende
di chi, arrivando dalla periferia, si trova a contatto con la grande metropoli.
Ma questo non vuole assolutamente dire che Olmi non sappia raccontare. C’è
almeno una scena, ne I recuperanti,
film del 1970, emblematica della poetica e della validità della prosa
dell’autore lombardo. Gianni (Alfredo Carli) e Vu (Antonio Lunardi) devono
disinnescare una grossa bomba; questo è, infatti, quello che fanno i recuperanti: recuperare materie prime
dagli ordigni della guerra, spesso inesplosi. La bomba in questione è
gigantesca; è un giorno di pioggia e Vu, un bizzarro vecchio male in arnese ma
indomito, visto il maltempo, propone al socio
Gianni di scannare il maiale. Ovvero
disinnescare la bomba. L’uso di un linguaggio metaforico nel suo essere
folcloristico non è un dettaglio trascurabile: indica come Olmi (coadiuvato qui
da Tullio Kezich e Mario Rigoni Stern) tenga sempre desta la sua prosa, dandole
profondità. La bomba viene alloggiata con la massima cura, all’interno della
baita che sembra più che altro una baracca. Infatti piove dentro. La testata
della bomba deve essere pulita dalla ruggine con il petrolio, e i due uomini
provvedono agendo con una piuma intrisa, con grande delicatezza. Vu, sempre su
di giri, mentre attende che il petrolio faccia effetto, comincia a raccontare
di una volta in cui, nella sua baita, si trovò a tu per tu con una grande
volpe, che voleva arraffare il suo grosso pezzo di lardo. Intanto gocciola
acqua proprio sulla bomba.
Gianni esce per sistemare il tetto della baracca, e
si pensa possa succedere qualcosa da un momento all’altro, visto l’attesa creata
per l’operazione di disinnesco e per la storia della volpe, mentre quello
dell’infiltrazione sembra il classico granello di sabbia che manda tutto
all’aria. Invece tutto poi fila per il meglio: la bomba non esplode e il
vecchio racconta come prima si mangiò il lardo, e poi anche la volpe! Un
passaggio narrativamente raffinato e ben costruito, anche se secondario nel
contesto del racconto. Quello de I
recuperanti è un film ambientato sull’altopiano di Asiago, subito dopo la
seconda guerra mondiale. Gianni ritorna dal fronte russo, volenteroso di
lavorare e farsi una famiglia, ma lavoro non ce n’è. Il fratello emigra in
Australia e la tentazione, anche per Gianni, è forte. Ma è appena tornato e non
se la sente di ripartire subito; così si adegua all’unico lavoro possibile, con
altri del paese in una segheria autonoma e abusiva.
Come
accade tipicamente in Italia, lo Stato, del tutto assente per sostenere anche
chi ha messo a rischio la propria vita per servirlo, è invece lesto ad intervenire
in modo repressivo, nella figura delle autorità locali, che minacciano e poi
sanzionano i poveri boscaioli, rei di non avere l’autorizzazione per tagliare
le piante. Questo passaggio è cruciale nel tratteggiare una caratteristica
della società italiana: i funzionari pubblici, di qualunque natura, sono
generalmente pigri ed indolenti nelle loro proprie funzioni, non si
spiegherebbe l’inefficienza diffusa a tutti i livelli, ma vengono colti dal sacro
fuoco del dovere quando devo reprimere o sanzionare qualche attività che non
sia perfettamente e assolutamente conforme alle migliaia di pastoie
burocratiche.
Solo per il passaggio della segheria autonoma, I recuperanti meriterebbe un posto
d’onore proprio per come illustra in modo esemplare questo aspetto, senza per
altro scadere nel qualunquismo, visto la proverbiale sobrietà della narrazione
di Olmi. Ma il tema principale verte
sulla figura di questi disperati, I recuperanti appunto,
uomini disposti a sfidare la sorte, pur di cercare dimettere insieme di che
vivere. Olmi è come suo solito troppo nobile, per vedere nel rischio della vita
un ostacolo alla ricerca della propria realizzazione (perlomeno finanziaria);
non è infatti per la tragedia occorsa a tre recuperanti, che Gianni smette
l’attività e accetta di fare il manovale in cantiere, un lavoro umile e
malpagato. Quello che colpisce il ragazzo, è scoprire i corpi dei soldati
morti, in una trincea, laddove con Vu sperava di trovare un bottino di materie
prime. Arricchirsi rovistando tra i cadaveri, assomiglia troppo allo
sciacallaggio, e Gianni, non riesce proprio ad andare avanti. In fondo, il
destino comune a tutte le persone sensibili in un paese che non offre speranze
e non concede nessun futuro a chi non abbia due dita di pelo sullo stomaco.
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