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domenica 10 marzo 2019

LA DONNA DEL BANDITO

315_LA DONNA DEL BANDITO (They live by night). Stati Uniti 1948;  Regia di Nicholas Ray.

L’esordio come regista nel mondo del cinema di Nicholas Ray avviene con questo film che si presenta come lavoro molto personale ed innovatore. Che l’autore avesse una visione delle cose particolare, lo si capisce sin dal fatto che al centro della vicenda che racconta, una storia di gangster, mette una coppia di giovani, con la presenza femminile che non è, quindi, la classica dark lady del cinema noir. Il titolo dell’opera originale, They live by night, sottolinea lo sguardo per il tempo inconsueto previsto dal regista: questi personaggi non vivono di giorno, come la gente comune, ma di notte. Certo, siamo nel 1948, e anche se il genere in voga all’epoca (e a cui si ascrive il film) si chiama noir, a ricordare le ombre notturne che infestavano quelle storie, l’idea che questi personaggi del film vivessero di notte ha comunque una sua forza originale. Del resto, la didascalia iniziale ci mette sull’avviso: si tratta di una inconsueta storia di un ragazzo e una ragazza. E per una volta è pertinente anche il titolo scelto dai distributori italiani: La donna del bandito mette al centro dell’attenzione la presenza femminile intesa però come compagna del tipico protagonista. Anzi, la versione italiana mette meglio in risalto quella sorta di sfasamento focale dell’operazione di Ray: perché in un film di gangster ci si aspetta di assistere alle gesta dei criminali o di una avvenente femme fatale, al massimo dei poliziotti che, pur se avversari di questi personaggi, sono però i paladini della giustizia. Invece l’attenzione di Ray è posta su una coppia di giovani di cui l’uomo è un bandito, mentre la donna si barcamena in una condizione di supporto, più che altro sentimentale, unita a quella di disapprovazione, seppur un po’ timida, per la condotta criminale dell’amato. 
E’ evidente che la differenza con gli altri crime-movie, anche al netto dell’esplicitazione del titolo italiano, la fa Keechie (Cathy O’Donnell) ovvero La donna del bandito, senza la quale Bowie (Farley Granger) sarebbe un gangster come tanti. E’ quindi un film che ha il centro focale sfasato rispetto ai canoni classici del genere. Questo aspetto, lo sfasamento, è la cifra più interessante del film, perché è inerente proprio alla coppia di personaggi al centro della vicenda ed è la preoccupazione principale del regista, che sottolinea come per i suoi giovani protagonisti non ci sia posto nella società americana. Non a caso, i due momenti critici della storia d’amore dei due ragazzi, sono all’insegna di qualcosa di possibile, di probabile, ma non incisivamente centrato. Quando si incontrano per la prima volta, i due si scambiano una serie di può darsi: Bowie_Hai problemi? Keetchie_Può darsi. B_Chi sei? Sei di queste parti? K._Può darsi. B._ Non è che hai avuto la visita di due amici? K._ Non è che ti sei slogato il piede destro? B._Può darsi.


Può darsi: letteralmente c’è una possibilità, ma non la certezza; anche se, ovviamente, nella circostanza narrativa la parola è usata per verificare l’identità dell’altro, senza scoprirsi. Però la sensazione di incertezza rimane. Bowie manifesta poi apertamente l’interesse per Keechie con il regalo dell’orologio (in seguito, in un altro momento cruciale, ricambiato dalla ragazza) e il tema dell’orario che non è mai preciso, netto, ma manca sempre qualche minuto allo scoccare dell’ora, è un altro elemento che indica come i nostri personaggi siano fuori tempo, fuori bersaglio.

Mentre alle domande su che ora sia, Keetchie risponde sempre in modo impreciso (da E’mezzanotte meno dieci a Non lo so. Questo [l’orologio] non cammina ancora), oppure l’orologio pubblico di Zeldon che Bowie controlla segna che mancano pochi minuti alle otto, l’autista del pullman si lamenta del tempo che i ragazzi gli fanno perdere perché lui, a differenza di loro, ha un orario da rispettare. Il tema della marginalità è poi connesso anche all’attività criminale dei nostri protagonisti, e Ray lo mostra in modo congruo, con una messa in scena dei momenti sbagliati della professione dei banditi: le tre rapine, che sono il momento cruciale dell’attività della banda, non sono mai riprese sullo schermo. La prima avviene prima dell’inizio del film,  e il regista azzarda un fermo immagine dell’auto dei gangster lanciata a tutta velocità (ma mostrata immobile sotto i titoli di testa) come a sottolineare che non ci interessa quello che avviene prima. In effetti, visto la tempistica di come è imbastita la sequenza, si potevano cominciare i titoli sulle scene della rapina: invece Ray blocca l’auto dei banditi in fuga, evitando di mostrarci quello che succede prima. Scelta audace e coraggiosa, per un esordiente dell’epoca, e che dimostra una forte vocazione figurativa anche da un punto di vista simbolico. Nella seconda rapina il regista rimane in auto con Bowie per mostrare il pasticcio con il commerciante che gli aveva venduto l’orologio il giorno prima; è chiaro che, oltre ad evitare di mostrarci anche questa rapina, Ray ne approfitti per indicare come sia la maggior importanza data a Keetchie rispetto al colpo da eseguire con la massima attenzione, a distinguere il bandito dai suoi complici. 
La terza e conclusiva rapina è saltata a piè pari dal regista che, ormai, non si fa più alcuno scrupolo nei confronti della consuetudine narrativa di genere, e arriva ad omettere un’azione tanto importante nella quale addirittura perde la vita T-Dub (Jay C. Flippen), che della banda era il capoccia. Banda che era composta unicamente dai citati Bowie e T-Dub, oltre a Chickamaw (Howard da Silva): come salta subito all’occhio i personaggi principali del film, i tre banditi e la ragazza, usano tra loro nomignoli curiosi e non veri e propri nomi. Forse questo serve ad evidenziare che non si tratta di persone comuni; un’anomalia in tal senso che è rimarcata anche da Bowie che, in un dialogo con Keetchie, non si capacita di come la gente normale passi il proprio tempo libero con le ordinarie attività. O anche dalle risposte della giovane che ripete più volte che non ha idea di cosa facciano le altre ragazze. 
Sono quindi tutti personaggi border-line, ma se Bowie vuole soltanto vivere in un cantuccio isolato con la sua ragazza, i suoi colleghi fanno della loro professione quasi un’attività lavorativa normale, e lo dicono anche al ragazzo, quando questi è riluttante ad unirsi a loro per un’ulteriore rapina: prima il dovere, poi il piacere. Si potrebbe intuire come i complici, banditi di professione, non siano fuori dalla società, ma in antitesi, in alternativa: fanno parte di una società parallela. E il distorto senso del dovere coniugato ad una insana idea di amicizia, permettono i ricatti morali con cui i due uomini, certamente più smaliziati di Bowie, corrompono il ragazzo. Da questo comportamento, mostrato quando la banda ha bisogno di riunirsi, si può intuire anche come sia stata la loro nefasta influenza a male istradare il ragazzo ai tempi del carcere, in una fase antecedente ai fatti narrati dal film.  
Anche se le istituzioni, con il racconto del processo sbrigativo ai danni del giovane, non è che ci facciano una grande figura in ogni caso. E non giova certo loro il terribile finale, dove inducono al tradimento Mattie ( Helen Craig) la cognata di T-Dub, in una scena moralmente pesantissima. Niente di buono anche dalla stampa, che travisa la realtà dei fatti alla ricerca di mero sensazionalismo. Comunque, anche se sul film grava una incombente sensazione di angoscia (del resto si intitola Vivono di notte ad indicare la perenne necessità di nascondersi), da questo suo primo lungometraggio Ray non sembra un autore completamente pessimista. E’ molto bello, molto pulito, il sentimento ingenuo che accomuna i due giovani: nel film, non c’è mai un’allusione, uno sguardo malizioso. Il sesso non ossessiona Ray che non sente la necessità di infilarcelo a tutti costi: certo, c’era il codice Hays in vigore, ma sarebbe bastata un’occhiata languida per farci intendere quello che c’era da intendere.
Invece, nonostante i rapporti sessuali siano implicitamente presenti, visto lo stato di gravidanza di Keetchie nel finale, l’attenzione è posta sull’amore solidale tra i due giovani: che, secondo Ray, è più importante del lavoro, dell’amicizia e anche del denaro, visto che la coppia spende pochissimo della propria parte di bottino e Bowie è disposto a cedere tutto quello che ha pur di non ritornare alla vita di gangster. A rendere ulteriormente l’idea del rapporto naturale e non malizioso, corrotto, tra i due giovani, è il ripetuto paragone con gli animali domestici, che in genere nutrono un affetto incondizionato per i loro padroni. Keetchie prima dice esplicitamente che curerebbe anche un cane con la stessa premura che presta a Bowie, mentre in seguito si paragona, lei stessa, ad un cane e poi ad un gatto. Il sentimento istintivo tra i due giovani non deputa quindi alla morale comune una grande importanza: Bowie si potrebbe definire completamente ignorante in materia, (in modo un po’ ingenuo), mentre la più oculata la ragazza non ha però alcun dubbio nell’innamorarsi di quello che è, in definitiva, un criminale. Il regista sembra consapevole che questo suo ingenuo ottimismo purtroppo non abbia cittadinanza nella società, e lo struggente finale non ci lascia troppe speranze. Bowie, in punto di morte che si preoccupa soltanto che il figlio in arrivo abbia la stoffa di Keetchie, sembra da un lato augurarsi che il figlio non faccia il criminale ma, e questo è certamente l’aspetto più amaro, non sia nemmeno tanto ingenuo e sprovveduto quanto lui. Perché, forse, le persone migliori sono proprio quelle con un candore di fondo, un’ingenuità naturale, ma sono anche le meno adatte alla società moderna che, sia con le istituzioni che con la malavita, cerca unicamente di imbrigliarne lo spirito e piegarle alle proprie necessità.
Nell’immediato dopoguerra americano, non c’era già più posto per i ribelli senza una causa di Nicholas Ray. 


Cathy O'Donnell



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