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mercoledì 6 marzo 2019

BRUCIA RAGAZZO, BRUCIA

313_BRUCIA RAGAZZO, BRUCIA . Italia 1969;  Regia di Fernando Di Leo.

Nel 1969, la sessualità femminile non era certo argomento abituale di cui parlare al cinema: e allora, in questo senso, il regista Fernando Di Leo dimostra particolare coraggio con il suo Brucia ragazzo, brucia. Al di la della scelta rischiosa, che portava prevedibilmente in dote anche una sicura notorietà scandalistica, se analizziamo con un certo distacco la scelta del regista pugliese, dobbiamo riconoscere che essa va nel punto più centrale della contestazione sessantottina al modello borghese. C’è il sesso, ovviamente, c’è la condizione della donna e c’è anche l’aspetto economico, perché l’atteggiamento dei Frisotti nella sfera sessuale di coppia è subordinato alla carriera del marito. In sostanza si può dire che Di Leo, con la sua critica, colpisca nel punto più doloroso il sistema. E, per farlo, mette in scena un film drammatico con pesanti venature erotiche: l’ingegner Frisotti (Michel Bardinet) accompagna la moglie Clara (Francoise Prévost) al mare, fuori stagione, e la lascia con la figlioletta e Bice, sorella della donna. Mentre l’uomo è assente, Clara è sedotta da Giancarlo, il bagnino (Gianni Macchia), che fa conoscere alla donna il reale piacere del sesso, cosa che col marito non era mai accaduta. E a ribadire figurativamente questo concetto, nel corso del lungometraggio, vedremo i due coniugi, mentre sono in camera, inquadrati in modo che le testiere del letto li facciano sembrare in una gabbia: se dividere il letto con Giancarlo aveva liberato la sessualità di Clara, nel matrimonio era invece vissuto come una prigione. Per dare corpo alla sua storia e mantenere vivo l’interesse, il regista gioca un po’ con lo spettatore: al di la della banale avventura extraconiugale, sembra sempre che debba succedere qualcosa di drammatico. 
In principio, Giancarlo complotta con la fidanzata Marina (Monica Strebel), pianificando la seduzione di Clara; d’accordo l’amore libero, e i due ragazzi sono mezzi hippy, ma la cosa risulta un po’ sospetta. Poi Marina si assenta, e quando torna, chiama a rapporto i due amanti clandestini: qui si potrebbe pensare anche ad un ricatto, vista la messa in scena. Ma è un altro falso allarme. Infine, quando Clara è invitata a passare una notte all’insegna dell’alcol con Giancarlo e Marina, ad un certo punto salta fuori una pistola, e la donna viene addirittura sottoposta ad una sorta di processo: la stessa Clara sembra spaventata, ma i due si limitano a sparare al faro della loro macchina, evidentemente ubriachi.

Quindi l’idea che il tradimento potesse, per Clara, nascondere un pericolo da parte dei due giovani, era infondato. Ma, a parte questi dettagli di una trama di fatto inesistente, Clara è turbata da quanto provato in ambito sessuale: in ogni caso intende sinceramente parlarne con il marito, che ancora ama e con il quale vuole condividere la sua scoperta. La donna ci mette tutta la buona volontà per cavare un miglioramento della propria vita di coppia, partendo da un tradimento alla stessa, e il suo tentativo non è del tutto campato in aria. Ma ovviamente non convince minimamente il marito: il quale, più che indispettito per il tradimento in sé, pare trovi insopportabile che la moglie abbia scoperto le gioie del sesso e ci si voglia dedicare (insieme a lui, beninteso). Questo è il cuore della critica di Di Leo: l’uomo rifiuta la donna, da cui si vuole ora separare, perché adesso è divenuta incompatibile con la sua carriera professionale, e non tanto per il tradimento sessuale. La minaccia di sottrarle la custodia della figlia, fa crollare Clara, che prova a suicidarsi: il marito rientra in casa, e la trova ancora viva, ma, opportunisticamente, attende l’indomani per chiamare l’ambulanza.
Un ritardo borghesemente calcolato: massimo risultato, col minimo sforzo.  



Françoise Prévost


Monica Strebel




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