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giovedì 27 febbraio 2025

ZABUTI - THE FORGOTTEN

1629_ZABUTI - THE FORGOTTEN (Zabuti) . Ucraina, Svizzera 2019. Regia di Daria Onishchenko

C’è una sequenza, all’inizio di Zabuti, lungometraggio di Daria Onishchenko noto anche come The Forgotten, che, apparentemente, non c’entra con il resto del racconto filmico. Vi si vedono sei statue di donna a grandezza naturale, fatte di sapone, che una ragazza, la stessa artista che le ha create, Maria Kulikovska, usa come bersagli per allenarsi a sparare con un fucile da guerra. I colpi, precisi nei punti vitali, al petto o alla testa, provocano degli squarci nel sapone, e le sei figure, dopo questo pesante «trattamento», finiranno esposte alla 22sima edizione della NordArt, una mostra di arte contemporanea che si svolge a Büdelsdorf, in Germania. Questo particolare non c’è, però, in Zabuti di Daria Onishchenko; l’unico contatto con il resto del lungometraggio è che la Kulikovska vi interpreta il ruolo di una giornalista separatista. Questo curioso e pittoresco personaggio, nel film si occupa di creare false notizie di stragi e bombardamenti nel Donbas, ad opera del governo di Kyiv. Sembra un poco assurdo? Beh, in linea con l’ambientazione del film, che la protagonista, Nina (Maryna Koshkina, bravissima) una maestra elementare, definisce efficacemente “una repubblica immaginaria”. Descrizione puntuale nel senso ma poco opportuna nella tempistica, ovvero durante il concorso per ottenere la cattedra in una scuola di Lugansk sotto occupazione russa, e che gli costa, di conseguenza, la possibilità di ottenere l’agognato posto di lavoro. Siamo, infatti, grosso modo ai tempi dell’uscita del film, nel 2019, e Lugansk e i vicini territori ucraini occupati –attenendoci alla didascalia iniziale– si sono autoproclamati Repubblica Popolare di Lugansk. Nina, con le sue parole, intende probabilmente dire che le repubbliche separatiste del Donbas non hanno i requisiti costituzionali per autoproclamarsi, almeno non così rapidamente come invece fecero nel 2014. Questione di opinioni, naturalmente, che al massimo possono competere ad esperti in materia; lo spettatore cinematografico può invece condividere il senso dell’aggettivo «immaginario» usato da Nina quando vede che, nella citata repubblica, fuori dalle scuole elementari ci sono militari armati fino ai denti, i bambini fanno una recita in cui il lieto fine è costituito dallo zar che riesce ad entrare in guerra e Babbo Natale porta in dono bombe a mano che esplodono. Ma c’è anche di peggio, ovvero il passaggio che segna la svolta nel racconto filmico: mentre Nina è al concorso e i bambini fanno la recita dello zar guerrafondaio, nella scuola si è introdotto Andrii (Danylo Kamenskyi) che, una volta salito sul tetto dell’edificio, srotola sulla facciata dello stesso un’enorme bandiera ucraina. Non l’avesse mai fatto, i militari, quelli armati fino ai denti che presidiano l’ingresso, lo catturano e lo sbattono in cella per tradimento, nonostante abbia solo diciassette anni. 

Nina, che è un’insegnante, si sente in dovere di prendere le difese di quello che, in fondo, è solo un ragazzino, o comunque un minorenne. Si reca quindi alla prigione dove Andrii viene detenuto, offrendosi di pagare la cauzione, o quel che potrebbe essere: come già intuito, la donna non è particolarmente, diciamo così, avveduta, e la sua missione è un po’ come l’agnello che va in visita al macello. I due uomini in divisa che la accolgono, pretendono, e ottengono, un pagamento «in natura», come si diceva un tempo; in ogni caso, pur se molto turbata, Nina riesce ad andarsene con Andrii. Galeotto il coprifuoco, che nel frattempo è sopraggiunto, e i due sono obbligati a passare la notte insieme. Non succede niente di piccante, sia chiaro, che Nina, in quel senso, ha già dato ed è particolarmente scossa. Suo marito, Yura (Vasily Kukharskiy) l’aspetta a casa preoccupato, tuttavia i due, almeno in passato, avevano avuto un buon rapporto di coppia, seppur appassito anche per via delle divergenze geopolitiche; in ogni caso, la notte passata fuori, in sé, non crea particolari problemi ai coniugi. Almeno tra di loro, perché i guai stanno comunque arrivando: Andrii si innamora della donna, e questo sarebbe il meno, una semplice bega sentimentale, mentre ben più grave è che le autorità della LNP, acronimo per Repubblica Popolare di Lugansk, mettono ora gli occhi su Nina e Yuri. L’uomo è impegnato in commerci poco leciti, ma questo conta poco, mentre la moglie è una sostenitrice dell’uso della lingua ucraina, e, ora, e qui c’è il vero problema, ha avuto a che fare con Andrii, che si scopre collabori con i Servizi Segreti di Kyiv. Un pesante pestaggio subito da Yuri funge da «foglio di via» per la coppia, con l’uomo costretto ad accontentare la moglie Nina che voleva da tempo lasciare la LNP. Qui c’è un passaggio narrativo piuttosto interlocutorio: Yuri, malconcio per le botte ricevute, possiede con forza la moglie, quasi volesse sfogare la sua rabbia in un rapporto sessuale dai toni più accesi del solito. Nina ne esce ancora una volta turbata, e, pensando di dover abbandonare Lugansk, si reca a salutare Andrii: una «saluto» particolarmente affettuoso, diciamo così, con la quale la donna vuol forse riappacificarsi con il sesso dopo quello ai limiti della violenza subìto dal marito. Il quale l’ha seguita e osserva ora la scena furibondo ed esterrefatto, con una pistola in mano, pronto a farsi giustizia del rivale in amore; per fortuna sopraggiunge qualcuno e non ci sono conseguenze immediate. È il giorno della partenza da Lugansk, Yuri lascia intendere a Nina di sapere del suo tradimento e, nonostante tutto, la pone di fronte ad una scelta: se vuole, rimanga pure con il suo giovane amante. La donna se ne va con il marito, in virtù, probabilmente, dell’antico amore, forse mai sopito del tutto. Ritroviamo quindi Nina e Yuri a Kyiv, alle prese con una società non certo idilliaca, con alcune delle storture e i limiti delle moderne democrazie occidentali. È una descrizione un poco forzata, con il tema del razzismo nei confronti degli abitanti del Donbas che ritorna più volte, ma serve a non idealizzare eccessivamente il cosiddetto «mondo libero», che di magagne ne ha certamente molte. La regista prova quindi a mostrare come, sebbene non sia un modello perfetto, quello occidentale sia comunque preferibile, pur con i suoi difetti, a quello proposto dal Cremlino e dai suoi simpatizzanti. Un paragone che, in ambito cinematografico, richiama alla mente la saggezza del grande Fritz Lang, che raccontava come nei suoi noir americani non ci fossero realmente i «buoni» e i «cattivi» quanto, piuttosto, i «cattivi» e i «molto cattivi» e i primi dei quali erano, per convenzione narrativa, i «buoni» e i secondi i «cattivi». La ritrovata armonia sessuale, con il giocoso rapporto nel finale, suggella una sorta di lieto fine molto interessante, perché dimostra come anche un macho del calibro di Yuri possa perdonare il tradimento della sua donna, se l’obiettivo è la felicità reciproca. 

La morte di Andrii, annunciata alla televisione dalla nota giornalista separatista, sempre un po’ sopra le righe, serve per chiudere ogni possibile rimpianto sentimentale e, forse, a stemperare la leggerezza del finale, in fondo l’Ucraina rimane un paese in guerra. Ma soprattutto, la comparsa sullo schermo di Maria Kulikovska ci ricorda le sue creazioni artistiche, le donne di sapone prese a colpi di fucile. Come per alcuni particolari della vicenda di Nina e Andrii [la vicenda dei protagonisti è ispirata da fatti reali, dal sito Vogue Ukraine, pagina web https://vogue.ua/article/culture/kino/mariya-kulikovskaya-i-darya-onishchenko-o-semkah-filma-zabuti-41925.html, visitato l’ultima volta il 15 dicembre 2024], 
anche la faccenda delle statue in sapone ha un rapporto stretto con la realtà. Nel 2012 la Kulikovska, insieme alla curatrice Olena Chervonik, avevano dato il via al progetto artistico Homo Bulla, un’espressione metaforica già usata in passato da Erasmo da Rotterdam per indicare la delicatezza della vita umana, breve e luminosa come una bolla di sapone. [dal sito della Fondazione Isolyatsia, pagina web https://izolyatsia.ui.org.ua/en/homo-bulla/#culture, visitata l’ultima volta il 15 dicembre 2024]. Con lo scoppio della guerra e la secessione delle repubbliche del Donbas, la Fondazione Isolyatsia, dove si trovavano le sculture, venne sequestrata e trasformata in poligono di tiro dai filorussi che utilizzarono, con la loro tipica delicatezza, le opere artistiche della Kulikovska come bersagli. [Ibidem]. Nel film, Maria, prende a fucilate lei stessa le sue sculture, che sono, tra l’altro, copie della sua stessa immagine, ma certo non avrà gradito il trattamento riservato dagli occupanti alle sue creazioni. Tuttavia l’artista non sembra perdere la vena ironica e la sua interpretazione della giornalista separatista, quella che inventa panzane clamorose pur di ingraziarsi le autorità secessioniste, ha una chiave recitativa grottesca che rasenta il sublime. Tre donne, impegnate in questo film, che si dimostrano tutte e tre molto brave: artiste del calibro di Daria Onishchenko, Maryna Koshkina e Maria Kulikovska, con il clima di propaganda che c’è da quelle parti e non solo, sono una speranza per la verità.  





       

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