1571_INTERCEPTED (Мирні люди). Canada, Francia, Ucraina 2024; Regia di Oksana Karpovych
Ormai
ci si è abituati anche a stupirsi, a fronte della genialità con cui il cinema
ucraino sta reagendo in modo sempre sorprendente, originale e sconvolgente,
alla brutalità della guerra. Intercepted, affascinante ma devastante
opera di Oksana Karpovych, propone una soluzione inedita e folgorante per
mettere su schermo quella che è nota come «invasione su larga scala» e operata dalla Russia sul
suolo ucraino dal 24 febbraio 2022. Nel periodo da marzo a novembre di quell’anno,
il servizio segreto ucraino intercettò e registrò decine di telefonate, ore e ore
di conversazione, quando i soldati russi chiamavano incautamente casa,
nonostante il fermo divieto militare. La Karpovych ha selezionato alcuni frammenti
di queste telefonate, di per sé già assolutamente sconvolgenti; ma non si è
limitata a ciò. Ha assemblato un filmato video a cui sono state quindi
associate le varie intercettazioni; ma non ha, però, scelto di mostrare fasi di
combattimento, o comunque quelle azioni concitate o efferate che si sentono
raccontare dai soldati di Mosca. Intercepted, da un punto di vista
visivo, è un viaggio attraverso i luoghi martoriati dall’azione bellica russa;
quello che resta dopo il passaggio della furia devastatrice degli uomini di
Putin. In qualche caso ci sono anche immagini con attività umana: un passante, un
uomo seduto che fuma, quattro ragazzi che giocano a pallavolo, qualche signora
affaccendata, ma sempre in un ambiente desolato, ferito; ferito a morte, forse.
Queste scene sono assai peggio di una battaglia in pieno svolgimento che,
accanto alla paura, può darti l’adrenalina del combattimento, la voglia di
sopravvivere. Nei fotogrammi di Intercepted si fanno i conti con il
fatto di essere sopravvissuti, almeno per il momento: e ora? Non sembra davvero
ci possa essere una risposta, non in quella distruzione totale che è divenuta l’Ucraina
ma la regista non ci sta chiedendo affatto questo. In effetti, una simile
riflessione può sorgere solo a visione del film conclusa, perché durante lo svolgimento
qualcosa ci turba ancora di più di quello che stiamo vedendo: le voci. La
traccia audio di Intercepted lascia assolutamente atterrito anche il più
scafato spettatore. Il tema principale, in realtà, non sarebbe nemmeno bellico
e nemmeno inerente alla crisi russo-ucraina, ma assai più generale, più basilare,
andando a scovare il più malefico e pericoloso legame che si può istaurare –e
troppo spesso si istaura– nella società umana, a qualunque latitudine: quello
tra madre e figlio maschio. La condizione assoggettata della donna in tanti
paesi, e i troppi casi di femminicidio in Italia, sono forse tra i potenziali
sviluppi che questo troppo spesso malsano binomio favorisce ma, in questo caso,
la questione bellica è ben più urgente e comunque, come vedremo, meno
opinabile. Le donne intercettate, perlopiù madri dei soldati russi, lo dicono
infatti apertamente ai loro pargoli ormai cresciuti, e più volte: ammazzate
tutti gli ucraini che trovate, civili e donne compresi. Un militare racconta
che hanno ucciso una donna ucraina davanti ai suoi due figli piccoli: “Giusto!”,
approva sua madre. In un’altra telefonata, il soldato riferisce delle torture inflitte
ai prigionieri, tipo quella delle «21 rose», dove ci si accanisce sulle venti
dita del malcapitato, i venti petali della «rosa» che si aprono proprio come un
bocciolo durante la fioritura. Per spiegare quale è il ventunesimo petalo da
torturare, il ragazzo russo utilizza un linguaggio volgare, e di questo si
scusa con la madre; che, peraltro, evidentemente soddisfatta dell’operato del
suo figliolo, non si scandalizza certo per la parolaccia. Per la cronaca, nelle
decine di intercettazioni, c’è anche qualche interlocutrice che sembra
sinceramente sconvolta da quanto apprende, dalle atrocità che i militari
ammettono tranquillamente di compiere. In un caso, una di queste donne ha un
comportamento ambiguo: sembra del tutto compiacente della violenza inflitta
agli ucraini, quando, ad un certo punto, se ne esce con queste parole: “La
distruzione è una scelta. È quando lasci gli altri decidere per te. Noi abbiamo
fatto questa scelta semplicemente rimanendo in silenzio”. Il figlio abbozza una
replica, ma lei lo prega ripetutamente di non chiamarla più. C’è anche, ma si
riportano questi casi che sono le eccezioni, il soldato che prega la moglie di
provvedere ad evitare al loro figlio un futuro sotto le armi. In effetti le
intercettazioni non riguardano solo le madri: una moglie recapita il messaggio
della figlioletta al marito, militare russo impegnato nella famigerata «Operazione
Militare Speciale». La bambina, mentre lavora con la scuola a confezionare pacchi
di aiuti umanitari, esorta il padre a uccidere tutti gli ucraini e a tornare al
più presto a casa, con la palese soddisfazione della mamma per l’amorevole augurio.
Il padre chiede lumi: a chi sono destinati gli aiuti? Ai militari russi o ai
civili ucraini? La risposta di sua moglie –“ai soldati”, ça
va sans dire– lo tranquillizza. In generale, comunque, si registra un’enorme
spossatezza, una pesantezza che grava sui militari, che stanno evidentemente
patendo la situazione e, nella maggior parte dei casi, sfogano quindi la loro rabbia
per la mancanza di via di uscita su chiunque gli si pari d’innanzi.
Da un punto di vista formale, la regista ben coadiuvata dal direttore della
fotografia Christopher Nunn, sfrutta al meglio gli scenari devastati dalla
guerra che, ormai lo abbiamo imparato, ben si prestano a venire rappresentati
sullo schermo in modo simbolico. Tende svolazzanti delle finestre sventrate su
palazzi martoriati, quasi fantasmi che si agitano per la disperazione –ormai quasi
un cliché visivo dei film ucraini su questo conflitto– ponti distrutti che si
protendono vanamente sulle acque di qualche fiume, si alternano allo schermo
ricolmo di oggetti rotti, spaccati, distrutti, sparsi per ogni angolo dell’inquadratura:
questa è l’Ucraina oggi. Quello che vediamo è un paese distrutto, mentre, nelle
orecchie, abbiamo la frustrazione di quei soldati che questa distruzione l’hanno
perpetrata. Un’incongruenza che spiega meglio di ogni altra cosa il nonsense di
questa guerra.
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