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giovedì 10 novembre 2022

L'INFERNO DEI MARI

1159_L'INFERNO DEI MARI (Morgenrot). Germania 1933;  Regia di Gustav Ucicky.

In genere liquidato come film di propaganda nazista, L’inferno dei mari, forse per l’intento di soddisfare differenti aspettative, è comunque un’opera densa di elementi interessanti. In effetti il film fu proiettato per la prima volta quasi contemporaneamente all’insediamento al potere di Hitler e lo stesso Goebbels valutò l’opera “buona entro i propri limiti”. In realtà pare che il film cercasse di incarnare i sentimenti del Partito Popolare Nazionale Tedesco (il DNVP), un movimento politico di destra ma più moderato rispetto a quello di Hitler (il famigerato Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori). In questo senso possono lasciare perplesse alcune scelte piuttosto forti nella storia, ad esempio l’evidente sentimento anti-inglese, manifestato subito in avvio con l’intonazione marziale della canzone Engelandlied che certo non era un inno d’amicizia alla bianca terra di Albione. ( “Le nostre bandiere sventolano sull'albero / Proclamano la potenza del nostro regno / Non vogliamo più sopportare / che l'inglese ci rida sopra / Perché stiamo andando, perché stiamo andando / Perché stiamo andando contro l’Inghilterra”). C’è chi vide, in questa scelta di fare un film di forte propaganda germanica, un tentativo del DNVP di migliorare i rapporti con Hitler, anche considerato la sua ascesa al potere. Al di là delle questioni politiche del tempo, questo L’inferno dei mari che si presenta apertamente come film di propaganda, non infastidisce più di tanto proprio per il suo mettere subito in chiaro le carte. In realtà, nel momento cruciale, riuscirà piuttosto a sorprendere per l’attenzione che presta alla controparte, al nemico giurato come è sostanzialmente inquadrata nel film l’Inghilterra. 

L’U Boot protagonista della storia ha appena affondato un’importante nave inglese; pur se non se ne fa il nome, pare si sottintendesse fosse quella su cui viaggiava il famoso Lord Kitchener. Il conte era un personaggio storico che perì, in effetti, su una nave diretta verso la Russia, che non fu però affondata da un siluro ma da una mina sganciata da un sommergibile. Nel caso possiamo tranquillamente considerare la cosa una licenza poetica accettabilissima. Alla guida dell’U Boot de L’inferno dei mari c’è il Tenente Comandante Liers (Rudolf Foster) che, come altri due importanti membri dell’equipaggio, proviene dal piccolo paese di Meerskirchen. Nel villaggio in Germania gli abitanti sono molto orgogliosi che la loro piccola comunità sia così ben rappresentata su uno dei famosi sommergibili della marina tedesca e, alla notizia dell’impresa militare, gli abitanti si ritrovano per una festosa celebrazione. 

Del resto il film si era aperto con una scena analoga; in ogni caso, l’idea di festeggiare uno scontro bellico tanto cruento dovrebbe suscitare qualche perplessità. D’accordo il tono fazioso dell’opera, ma la retorica del sindaco è sottolineata anche nei dialoghi come essere eccessiva, visto l’argomento bellico non così edificante. Nella seconda occasione in cui la comunità si ritrova, appunto quella per celebrare l’affondamento della nave inglese, la madre del comandante Liers (Adele Sandrock), venerata nel piccolo paese di Meerskirchen come una divinità, avendo sacrificato alla patria già due figli e avendone impegnato un terzo, spiazza tutti. Le sue parole sono infatti rivolte ai militari nemici periti nell’azione e ai loro congiunti che staranno soffrendo le stesse pene da lei provare già in due occasioni. Il suo contegno è esaltato dall’assurda spensieratezza delle altre protagoniste femminili del film, Greta (Camilla Spira) e Helga (Else Knot). Non sembra tanto esserci una forma di misoginia in questo (tra le tante, ci fu anche questa critica al film), quanto piuttosto un modo per mettere in evidenza come le persone che si facevano un’idea della guerra solo in base alla stampa o alle missive, potessero non coglierne l’essenza. E’ evidente che la madre del comandante è la persona più saggia del lotto ed è tutto tranne che entusiasta di vedere anche il terzo figlio rischiare la vita. Come detto il film è interessante anche per una sua sorta di pluralità di vedute, che in un’opera di propaganda è davvero un fatto curioso. E, a questo proposito, il dialogo tra la madre e il comandate, quasi ad inizio film, con la prima che cerca di convincere il figlio ad accettare un impiego in fabbrica, sembra infatti evidenziare i limiti della pur comprensibile prospettiva della donna. 

Come madre è naturale che non possa accettare che anche il terzo figlio debba morire per la patria, ma Liers non può, e soprattutto non vuole, esimersi dal fare il proprio dovere. In effetti in questo ambito si apre un ulteriore fronte nel lavoro degli autori de L’inferno dei mari con almeno due obiettivi da conseguire. Il primo e più evidente è contrastare la pessima fama dei sommergibili tedeschi accusati in genere di praticare una sorta di moderna forma di pirateria. C’è anche una battuta ironica, in uno dei dialoghi, in questo senso. E se nella prima azione dell’U Boot il sommergibile si comporta come appunto ci si attende, colpendo la nave nemica di soppiatto, ben diverso è il secondo scontro che vede coinvolto il nostro scafo. 

In questo caso i tedeschi cadono in un tranello ordito dagli inglesi che utilizzano come esca un veliero senza bandiera in un primo momento e con bandiera danese una volta che si scoprono avvicinati dai nemici. Mentre i tedeschi tergiversano sul da farsi, non volendo colpire imbarcazioni neutrali, una nave da guerra inglese si avvicina di gran carriera riuscendo in questo caso a cogliere il sommergibile in superficie e quindi impreparato. Notare che, al tempo dell’uscita del lungometraggio in Inghilterra, i britannici presero assai male questo frammento del film che li dipingeva come infingardi e ci scappò un mezzo incidente diplomatico tra i due paesi. Un altro aspetto che contribuisce al tentativo di normalizzare la fama dei sommergibili è, se vogliamo, proprio l’entusiasmo dei paciosi abitanti di Meerskirchen per le imprese del loro U Boot. Viene infatti difficile pensare che gente tanto a modo possa esaltarsi per azione indegne e, quindi, indirettamente si cerca di far passare quelle dei sommergibili tedeschi come normali azioni di guerra.

L’altro aspetto che L’inferno dei mari dà l’impressione di voler contrastare è l’infamante nomea che la Marina Imperiale Tedesca si era fatta in patria sul finire della Grande Guerra. Ai tempi si diffuse la convinzione che l’ammutinamento della Hochseeflotte, la flotta d’alto mare tedesca, fosse stata la pugnalata alle spalle alla Germania e che avesse un peso decisivo nella sconfitta nel conflitto. Il comportamento eroico di tutti i membri dell’equipaggio dell’U Boot protagonista del film, sia ufficiali che semplici marinai, cercava quindi di rinobilitare la reputazione della marina tedesca. Va detto che poi gli autori trovano un escamotage narrativo ben costruito perché a sacrificarsi siano solo i due membri dell’equipaggio che non avessero nessuno ad attenderli a casa. Dopo lo scontro con la nave da guerra inglese, l’U Boot, colpito e affondato, giaceva infatti sul fondo poco profondo del mare. I sopravvissuti erano dieci, i dispositivi di salvataggio otto: alla proposta del comandante di lasciare la salvezza ai semplici marinai, sacrificando sé stesso e il tenente Phipps (Fritz Genschow), l’altro ufficiale ancora in vita, l’equipaggio si era rifiutato. Il fatto che Phipps avesse capito solo allora che il suo amore per Helga non fosse corrisposto, essendo la ragazza innamorata del suo comandante, aveva romanticamente contribuito a spingere il tenente a suicidarsi insieme ad un marinaio scapolo e senza legami, in modo da permettere la salvezza dei restanti. Un’azione eroica forse estrema ma comunque positiva, sebbene un po’ troppo razionale per essere pienamente comprensibile a livello umano. Eppure in questa azione c’è chi ci vide un’esaltazione del tipico eroe nazista per il quale l’unica soluzione alla sconfitta (in questo caso duplice, sia militare, lo scafo affondato, che sentimentale, con Helga che amava Liers) era il suicidio. Come detto, un’opera con tanti risvolti molto interessanti. E, a conti fatti, un bel film a prescindere dagli intenti propagandistici. 


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